La campagna elettorale torna in aula. Per approvare le truffe del Superbonus e stipendi più alti ai manager di Stato
Oltre i 240 mila euro che era il “tetto” messo dal governo Renzi. Il leader di Iv: “Una mossa geniale. Ce ne siamo accorti alla fine, se avessimo detto no avremmo bloccato tutto di nuovo”. La rabbia di palazzo Chigi. I 17 miliardi del decreto Aiuti dovevano essere dedicati solo al caro energia

La campagna elettorale che torna nelle aule parlamentari a una settimana dal voto non è un bello spettacolo. Anzi, il lato oscuro della politica viene fuori tutto insieme e senza vergogna: liti e offese; sghignazzamenti vari e anche qualche lacrima perchè è l’ultima seduta della legislatura (al Senato; alla Camera domani); soprattutto gli interessi di parte con dinamiche che assomigliano tanto all’assalto della diligenza. Passa ad esempio, pare con il benestare di tutti anche se Italia viva ne prende subito le distanze (Renzi: “abbiamo dovuto votare altrimenti si bloccava tutto un’altra volta”) un emendamento che toglie il limite di 240 mila euro agli stipendi dei manager di stato. Era una norma voluta dal governo Renzi nel 2015 e ottenuta tra non poche difficoltà. Ieri con un colpo di spugna, a pochi giorni dal voto e sfruttando soldi che il Tesoro ha faticosamente trovato tra bilancio e nuove entrate, i partiti hanno pensato bene di approfittare in cambio di qualche piattino di consenso. Palazzo Chigi, quando ha saputo dell’emendamento, è andato in bestia, ha provato a fermarlo ma il prezzo sarebbe stato troppo alto. Ovverosia fermare i 17 miliardi del decreto Aiuti bis. Non è escluso però che il governo intervenga per ripristinare il tetto con un’altra norma. Farla così sotto il naso e in maniera sfacciata utilizzando risorse che il governo ha trovati per aiutare famiglie ed imprese, grida un po’ vendetta.
Superbonus: no al condono tombale dei 5 Stelle
Sortisce analogo effetto anche l’emendamento al Superbonus edilizio del 110%. Alle fine ieri, in attesa che iniziasse l’aula convocata per le 12, il sottosegretario all’economia, il leghista Federico Freni, si è presentato ottimista al banco del governo con l’attesa riformulazione: “Vedrete, accontenterà tutti”. Così è stato. La soluzione trovata prevede che la responsabilità in solido nella cessione dei crediti di bonus edilizi e super bonus si configuri solo se il concorso nella violazione avviene “con dolo o colpa grave”. Stabilisce anche, la mediazione, che per i crediti sorti prima della stretta antifrode del novembre 2021, i soggetti diversi da banche, intermediari e assicurazioni, debbano acquisire comunque l’asseverazione ex post. Insomma, i 5 Stelle pressati da costruttori e società edili - vere o presunte perchè questo è il cuore della truffa, diventano titolari di super bonus società fittizie e scatole vuote - non hanno ottenuto il libera tutti, il condono tombale che avrebbero voluto “in tutela di 40, 50 mila aziende” (ogni giorno il numero cambiava, pare siano 7 mila quelle incagliate). C’è però la dodicesima correzione per tenere in piedi una norma che è stata fin da subito presa di mira da truffatori e impostori. E di sicuro i crediti bloccati non saranno liberati come vorrebbe qualcuno.
L’assalto alla diligenza
Insomma, un assalto alla diligenza nella forma di 400 emendamenti ( ne sono rimasti in piedi un centinaio) come se il decreto Aiuti, valore 17 miliardi, fosse una qualunque legge di bilancio dove partiti e deputati cercano di strappare qualcosa per ottenere in cambio consenso. Si tratta invece di una misura di emergenza per trovare soldi da destinare a famiglie e aziende. E dire, poi, che i partiti, una volta dimissionato Draghi rimasto quindi senza l’arma della fiducia, si erano impegnati ad approvare le misure urgenti per la crisi energetica senza fare storie. O speculazioni elettorali. Così non è stato. E’ stato per fortuna respinto con perdita l’emendamento 5 Stelle che chiedeva di cassare “il comma 2 dell’articolo 3” che è quello che blocca gli aumenti unilaterali nei contratti di fornitura di energia fino a fine marzo 2023 e ne prevede anche la retroattività. E’ l’arma che ha il governo per impedire che l’effetto speculativo ricaschi sull’utente finale. Una sorta di price cap italiano. Un tentativo di sperare la speculazione. Sarà l’azienda fornitrice a questo punto, che nel frattempo ha fatto guadagni pazzeschi, a cercare di rivalersi sulla borsa del gas. L’emendamento 5 Stelle - da loro stessi non rivendicato nè sbandierato, quindi c’è da chiedersi per chi lo hanno fatto - non sarebbe mai passato. Draghi su quel punto aveva alzato la muraglia cinese. Così come sul bonus annuale all’insegnante “esperto”: restano i soldi ma è sparita la dizione “esperto”. I sindacati, e quindi i partiti fratelli d’Italia compresi, hanno pretesto la cancellazione della parola “esperto”. Discriminatoria. E’ da capire bene ora come saranno assegnati i 5 mila euro di premio annuale.
La corsa alla bandierina
La mediazione sul super bonus ha scatenato la gara ad intestarsene il merito. A partire dal M5s, con Giuseppe Conte che si attribuisce il merito di una soluzione che salva 40mila imprese edilizie, lavoratori e famiglie e, dopo giorni a sentirsi accusato di ostruzionismo, attacca: “Ora Letta chieda scusa e con lui tutti gli altri”. Il Pd replica secco: “Stavano tutti lavorando ad una mediazione accettabile e in maniera discreta ben prima che Conte cominciasse a sbraitare sul super bonus. Come fa anche su altre cose, del resto. Conte farebbe bene piuttosto a scusarsi per aver fatto cadere il governo e aver messo il paese in questa situazione proprio adesso che avremmo bisogno di avere un premier con pieni poteri che ci rappresenta in Europa”. Anche il Pd, del resto, si unisce al coro dei partiti impegnati a mettere il cappello sulla mediazione. “Salviamo gli onesti e blocchiamo le frodi” dice la Lega. “Abbiamo lavorato fin dal primo giorno per una soluzione” puntualizzano i Dem. La viceministra all’economia Castelli, che ha lasciato i 5 Stelle per andare con Di Maio, avverte gli ex colleghi: “Non ci provate perchè abbiamo le prove”. Ora tocca all'Agenzia delle Entrate adeguare la circolare che a giugno aveva già corretto per l’undicesima volta il testo originale. Il ragionamento fatto da Draghi è quasi banale: una misura aggiustata e corretta dodici volte non può più essere in grado di funzionare. Ma sarà il problema del governo che verrà.
Il decreto contiene anche l’attesa proroga dello smart working per fragili e genitori under 14, l’innalzamento del tetto (da 750 a 1.000 euro) per l'impignorabilità delle pensioni. Salta la stretta sulle delocalizzazioni che pero' dovrebbe essere recuperata con il prossimo decreto aiuti ter.
Il terzo decreto Aiuti
Decreto cui si continua a lavorare, ma che prima di arrivare in cdm deve completare qualche passaggio. Il primo è arrivato sempre ieri con l'ok del Senato (domani toccherà alla Camera che voterà anche sul dl aiuti bis) alla Relazione sull'aggiustamento di bilancio che autorizza l'utilizzo di 6,2 miliardi di extragettito. Un tesoretto che consentirà di portare la dote complessiva del decreto a quasi il doppio. Le misure in cantiere sono destinate soprattutto alle imprese, per le quali c’è da scongiurare il rischio di blocco produttivo (per cui il governo sta lavorando anche con un Energy release rilascio di oltre 20 terawattori di energia e 2/3 miliardi di mc di gas).In particolare, si lavora alla proroga del credito di imposta, con possibile estensione anche ai piccoli esercizi (quelli con potenza sotto i 16,5 kw). Perde quota la cig scontata. Torna anche la rateizzazione delle bollette per il quarto trimestre dell'anno. Per le famiglie si punta ad ampliare il bonus sociale. Nel provvedimento si starebbe studiando anche una possibile accelerazione rispetto all'Europa sul fronte dei prezzi energetici, agendo sul costo del gas e sulla separazione dei prezzi dell'elettricità. Il Consiglio dei ministri dovrebbe essere convocato per venerdì mattina.
La bagarre in aula
Il ritorno in aula della campagna elettorale ha significato comizi da parte di alcuni leader. Matteo Salvini ha preso la parola - non succedeva dal 5 maggio quando si rivolse al premier Mario Draghi, chiedendo uno sforzo per la pace, e citando Papa Francesco - e lo ha fatto a modo suo: chiedendo lo scostamento di bilancio, dicendo che le misure non sono sufficienti, attaccando i banchi del Pd “dove qualcuno che manda la cameriere a fare la spesa non ha capito cosa sta succedendo. E allora poi non vi lamentate se non vi votano più”. Salvini ha più volte messo in imbarazzo gli alleati e persino uno come Ignazio Larussa - che certo non disdegna le iperbole - ha dovuto indossare i panni del pompiere e richiamare all’ordine Salvini. L’ordine di scuderia in casa Fratelli d’Italia è ordine e rigore, assumere atteggiamenti istituzionali. Diciamo che non viene proprio a tutti facile facile.
Quello di Salvini è stato un polemico discorso di fine legislatura, nell'ultima discussione di legislatura nell'aula del Senato dedicata alla relazione governativa sull'aggiornamento degli obiettivi di finanza pubblica. “Ho sentito qualche intervento - ha esordito - come quello del senatore del Pd che dice che bisogna essere responsabili e affidabili, e che parlare di scostamento di bilancio in questo periodo sarebbe da irresponsabili. Senatore ma lei una bolletta del gas o della luce, del bar sotto cassa o della falegnameria, l'ha mai vista?”. Salvini è tornato anche ad attaccare l’Europa. Del resto le promesse di Meloni (“tornerò a proteggere l’Italia e a farla rispettare in Europa”) non suonano alla fine in maniera tanto diversa. Secondo il segretario della Lega “ci sono due modi di farepolitica: andare a Bruxelles con un bel nodo alla cravatta e dire 'abbiamo fatto i compiti, abbiamo fatto perdere il lavoro a due milioni di persone ma siamo stati responsabili'. Per me fare politica è fare gli interessi delle italiane e degli italiani. E mentre sui banchi del Pd sghignazzano, vi assicuro che nelle fabbriche italiane non hanno niente da ridere”. I dem non ci stanno, si alzano, attaccano a loro Salvini, chiedono l’intervento di La Russa che è costretto a frenare Salvini, “la prego senatore si attenga al tema”. Ma l’appello non sortisce effetto. Anzi. Dai banchi del Pd salgono malcontento accese, “questo non è luogo per fare comizi”. Larussa prova a placare e freddare la situazione. A Salvini chiede di “rientrare nel proprio ruolo”. Niente, la diretta tv fa gola. “Non so se voi vivete nel paese reale, io porto la voce di pensionati, lavoratori, imprenditori, se i senatori rumoreggianti (indicando i 5 Stelle, ndr) me lo consentono…”. Apriti cielo, una provocazione dietro l’altra con la presidente Casellati, giunta all’ultima seduta del Senato da lei presieduto, che si commuove prima di lasciare il posto a Larussa.
“30 miliardi di scostamento”
Ma Salvini è un martello. Il chiodo è lo scostamento di bilancio “Se vogliamo mettere in sicurezza il Paese entro la fine dell'anno bisognerà intervenire con uno scostamento di almeno 30 miliardi di euro” insiste citando varie fonti a sostegno del suo allarme, dalla Cgia di Mestre all'ex presidente di Confindustria Vincenzo Boccia. Sul decreto aiuti ter in preparazione, se l'importo sarà quello annunciato, cioè di 13 miliardi, Salvini non ha dubbi: “Abbiamo sbagliato a capire, in questo modo non mettiamo certo in sicurezza il sistema. Io sto portando in questa aula la voce di lavoratrici e lavoratori e vi dico: vergognatevi”. Il leader della Lega è una figura tra il capopopolo, l’angelo sterminatore arrivato dal cielo e il giustiziare.
Un modo di porsi totalmente diverso - almeno negli ultimi quindici giorni - rispetto a quello di Giorgia Meloni, posata, coda di cavallo e orecchini, toni decisi ma bassi, contraria allo scostamento di bilancio. “Non credo sia necessario oggi - ha detto ospite della Cna - credo che i fondi ci siano, lo scostamento è ultima ratio. Prima dobbiamo risolvere il problema, il meccanismo speculativo che sta gonfiano i prezzi. Prima è inutile mettere soldi, sarebbero buttati”. Una bella distanza per essere nella stessa alleanza politica