Il presidente Usa riunisce il G7: “Sostegno a Kiev”. Da Bratislava a Washington la crepa del dietrofront
Un cambio nel paradigma delle alleanze contro Mosca è l’unico vero “cigno nero” che il governo Meloni può temere. Uno dopo l’altro, prima l’Ungheria, ora anche la Polonia a cui si aggiunge la Slovacchia stanno dicendo basta. Come con gli immigrati. E sono tutti alleati della nostra premier
“Ci può essere un solo cigno nero per il governo Meloni. Si chiama Ucraina”. Una settimana fa, nel giorno delle esequie pubbliche e laiche di Giorgio Napolitano un politico di destra, con lungo curriculum, vicino a Meloni spiegava perché non esistono all’orizzonte crisi di governo e meno che mai governi tecnici. Perché il problema non saranno la legge di bilancio, l’immigrazione, “C’è solo una variabile che prescinde dalla nostra volontà - aggiunse - che cambi lo scenario negli Stati Uniti e quindi rispetto alla guerra in Ucraina”. Otto giorni fa la Slovacchia non era ancora andata al voto e il leader populista di sinistra e filuputinista Robert Fico, costretto alle dimissioni nel 2018 sull’onda delle proteste per il duplice omicidio del giornalista Jan Kusiac, non aveva ancora vinto grazie a due concetti chiave: “Basta anni a Kiev”, “stop agli immigrati”.
Prima Washington
Otto giorni fa la Camera e il Senato americano non avevano ancora votato il bilancio-tampone in grado, fino a metà novembre, di evitare lo shutdowm. In quel bilancio i repubblicani di ultradestra hanno fatto in modo che non venisse inserito il pacchetto (sei miliardi) di aiuti militari a Kiev. Sullo sfondo il monito del Pentagono al Congresso sull'esaurimento a breve dei fondi per il Paese aggredito.
E’ un bilancio tampone, tra poco più di un mese sarà rivotato ma per la prima volta in 19 mesi la voce Ucraina è assente dalle voci di bilancio. E lo è perché i gruppi della destra repubblicana stanno alimentando la campagna contro Kiev e a favore dello stop della guerra.
Occhio al voto nei lander e in Polonia
C’è un filo rosso, molto sottile ma non per questo meno importante, che si sta sviluppando tra Washington e Bratislava. Domenica 8 ottobre lo stesso filo potrebbe sfiorare le urne dei lander di Assia e Baviera, di Francoforte e Monaco per capirsi, 6 milioni di abitanti il primo e 13 il secondo, per misurare ancora una volta l’ascesa dell’estrema destra. Il 15 ottobre è la volta della Polonia dove l’ex premier e già presidente del Consiglio europeo ha coalizzato la “Piattaforma civica”, un’alleanza contro l’attuale maggioranza definita “un governo nazionalista di destra che sta mettendo i polacchi contro i polacchi”. Tusk è dato al 27 per cento nei sondaggi. Morawiecki, amico e alleato di Giorgia Meloni, è dato ancora in vantaggio di 4/5 punti, sta promettendo di alzare gli stipendi medi a circa duemila euro, paventa scenari apocalittici sull’immigrazione (“Tusk è amico di Scholtz e farà della Polonia una seconda Lampedusa”) e a settembre ha annunciato che non invierà più armi all’Ucraina. La Polonia e il Pis che sono stati i primi sostenitori del popolo ucraino.
Poi comincerà la campagna elettorale per le europee (giugno). Mentre negli Stati Uniti si comincerà a votare nei singoli stati per decidere i candidati dei Repubblicani e dei Democratici anche se il quadro al momento dà come sicuro il ritorno in campo del pluriprocessato (e per quella data anche arrivato a sentenza) Donald Trump contro cui si dovrebbe contrapporre l’uscente Joe Biden.
Ottime notizie per Putin
Ecco in questo quadro, la guerra come sappiamo è in una sorta di stallo e non c’è dubbio che per Putin quelle in arrivo da Europa e Stati Uniti siano ottime notizie. Ottime anche per tutti coloro, Italia compresa, che unendo estrema destra ed estrema sinistra si sono sempre schierati contro il sostegno a Kiev, hanno appoggiato Putin e detto no alla Nato. Ora il tiranno russo vede nel voto del Congresso americano e nel piccolo-grande blocco dell’est Europa - Fico è grande amico di Orban - i primi tasselli che vengono meno nel sostegno all’Ucraina sia nel sostegno militare ed economico che nel sostegno al processo di adesione dell’Ucraina alla Ue. Uno scenario - quello dell’affaticamento, della stanchezza fino a girarsi dall’altra parte delle democrazie occidentali - che alimenta la speranza di Mosca di poter ribaltare le carte in tavola e arrivare alla vittoria. Per logoramento. Perché le liberaldemocrazie, secondo l’ideologia del Cremlino, saranno anche più forti economicamente ma sono più deboli e non hanno la stoffa per resistere.
Biden chiama il G7
Di fronte a tutto questo ieri il presidente Usa ha capito che era necessario mandare un segnale chiaro a Mosca e ad un pezzo di Europa. Nel pomeriggio italiano, la mattina a Washington è stata convocata una sorta di riunione infornale e a distanza del G7 a cui ha partecipato ovviamente anche Giorgia Meloni la cui posizione sull’Ucraina e Zelesnky non ha mai tentennato. In videcollegamento il Presidente Usa ha incontrato il Primo Ministro canadese Trudeau, il Presidente della Commissione europea von der Leyen, il Presidente del Consiglio europeo Michel, il Cancelliere tedesco Scholz, la premier italiana Meloni, il premier giapponese Kishida, il Segretario generale della NATO Stoltenberg, il Presidente polacco Duda, il Presidente romeno Iohannis, il premier britannico Sunak e la Ministra degli Esteri francese Colonna. La Casa Bianca ha poi diramato un comunicato per spiegare che l’incontro “è servito per coordinare il nostro continuo sostegno al popolo ucraino che difende la sua libertà e indipendenza contro la brutale invasione russa. Il Presidente Biden - si legge ancora nel comunicato - ha ribadito l'impegno degli Stati Uniti a sostenere l'Ucraina per tutto il tempo necessario a difendere la sua sovranità e integrità territoriale”. I leader hanno discusso gli impegni “per fornire all’Ucraina le munizioni e i sistemi di armi di cui ha bisogno per difendere il suo territorio contro l'aggressione russa, per rafforzare le difese aeree dell'Ucraina, per proteggere le sue infrastrutture critiche dagli attacchi aerei della Russia ora e nei prossimi mesi, e per proteggere le sue infrastrutture energetiche in vista dell’inverno”. Si è discusso anche del lavoro in corso “per ampliare gli sforzi dei donatori per sostenere la ripresa economica dell’Ucraina”.
Il segnale chiaro della Casa Bianca
La Casa Bianca ha ritenuto necessario - e lo era - dare un segnale forte rispetto a quanto è successo nell’ultima settimana e che poteva dare, comunque alimentare, indicazioni ambigue circa l’alleanza e il supporto a Kiev dopo i dubbi seminati dal provvedimento anti shutdown senza i 6 miliardi previsti per Kiev.
Negli Usa gli aiuti all’Ucraina - di cui Washington è il primo contributore mondiale - spaccano il partito repubblicano, arrivato ad una prima resa dei conti alla Camera tra la fronda trumpiana, contraria ai fondi per Kiev, e lo speaker Kevin McCarthy.
“Non possiamo in nessun caso permettere che venga interrotto il supporto americano all'Ucraina. Sono in gioco troppe vite, troppi bambini e troppe persone” aveva messo in guardia Biden lunedì in una riunione del governo alla Casa Bianca da dove la portavoce Karine Jean Pierre aveva preannunciato un nuovo e imminente pacchetto di aiuti. “Mi aspetto che lo speaker della Camera e la maggioranza dei repubblicani al Congresso mantengano il loro impegno per garantire il passaggio del sostegno necessario per aiutare l'Ucraina a difendersi dall'aggressione e dalla brutalità russa” aveva aggiunto citando l'ex segretaria di stato Madeleine Albright per cui gli Usa sono “la nazione indispensabile nel mondo”.
Ma poche ore dopo il controverso deputato Matt Gaetz (è stato accusato - poi archiviato - di sfruttamento della prostituzione), un fedelissimo del tycoon, ha presentato una mozione di sfiducia per destituire McCarthy, al quale aveva già fatto sudare l'ambita nomina con 15 votazioni. Una mossa spregiudicata che rischia di creare un caos politico-istituzionale. Intanto il capitolo fondo Ucraina è rimasto fuori dal bilancio.
Salvini e gli anti Nato
Non c’è dubbio però il tema sia già entrato nella campagna elettorale. Di ogni paese europeo. Salvini, ad esempio, sfrutterà il malcontento e darà spazio alla sua russofilia, di cui non ha mai fatto mistero pur barattandola per “voglia di pace”. Come se chi sostiene Kiev fosse un pericoloso bellicista o guerrafondaio e non fosse invece in palio l’essenza stessa della democrazia e dell’autodeterminazione di un popolo. Un sentiment, quello di Salvini, che trova brodo di cultura sia nell’estrema destra che nell’estrema sinistra. Proprio la maggioranza che ha fatto vincere Fico in Slovacchia. E che anche Salvini è disposto ad ingraziarsi pur di guadagnare consenso. Anche a costo di dividere la maggioranza.