Il Colle tace ma, più che ‘preoccupato’, è ‘arrabbiato’ con tutti i protagonisti della crisi
Il caso Cesa complica la vita al governo “Responsabili sì, impresentabili no” è il grido

Al Quirinale, in questi giorni, sono talmente ‘arrabbiati’, più che ‘preoccupati’, che hanno obbligato persino i tre leader del centrodestra (Salvini, Meloni e Tajani), abituati di solito a esternare a più non posso dopo ogni iniziativa e ricevuti, invece, alla chetichella, ieri sera, al Quirinale, come pure il premier Conte, ricevuto al Colle l’altro ieri, a limitarsi a scarni e laconici comunicati e dichiarazioni in merito a quanto hanno detto – e, soprattutto, hanno sentito – dalla viva voce del Capo dello Stato, andando al Quirinale.
Il Colle è infuriato con tutti i protagonisti della crisi
Il Colle ce l’ha un po’ con tutti. Con Salvini e Meloni, che gli hanno chiarito che la loro unica opzione alla soluzione della crisi non sono governi di ‘unità nazionale’ o ‘tecnici’ o ‘istituzionali’, ma solo e soltanto le urne anticipate. A dirla tutta, il Colle, nei mesi passati, alle prime avvisaglie della crisi (in fondo, Renzi aveva ‘avvisato’ il Quirinale di cosa avrebbe fatto con una telefonata al Colle a novembre), aveva sondato Salvini e la Lega, via Giancarlo Giorgetti (solido interlocutore del Quirinale e amico di Draghi), per capire se c’era, o meno, lo spazio per un governo ‘di tutti’ (o quasi tutti: l’ostilità della Meloni era data per scontata), o meglio di ‘salvezza nazionale’, nel caso Conte fosse caduto, ma la risposta – di Salvini, ovviamente, non di Giorgetti, che su questo come su altri punti ha ‘rotto’ col segretario – era stata negativa. Solo Berlusconi, via Gianni Letta, dava ampie rassicurazioni che ci sarebbe stata, ma il Cavaliere è sempre più lontano dalla politica e Tajani appare sempre più schiacciato sulla linea ‘barricadera’ di Lega e FdI.
Berlusconi non basta. Salvini e Meloni urlano ‘al voto’
Insomma, le ‘rassicurazioni’ del Cav non sono bastate e Mattarella giustamente non si fida di aprire una crisi di governo ‘al buio’. Del resto, anche ieri, nell’incontro, il centrodestra ha indicato una sola via: elezioni anticipate, chiudendo ogni altra ipotesi di governi parlamentari che possano mettere in sicurezza il prosieguo della legislatura.
Certo, Berlusconi ha espresso fin dall'inizio perplessità rispetto alla possibilità di andare al voto anticipato in piena pandem, ma ora le condizioni sono cambiate e da qualche tempo il Cavaliere sostiene che, piuttosto che perdere due anni nell'immobilismo, sarebbe meglio andare a votare. Ma il centrodestra allargato non è affatto compatto su questo. Non a caso i tre piccoli (Udc, orba di Cesa, Noi con l’Italia di Lupi e ‘Cambiamo’ di Toti) non sono saliti al Colle con i tre ‘grandi’ (Lega, FdI, FI). Il governatore Giovanni Toti, infatti, da giorni propende per l'opzione governo di larghe intese, così come Lupi, l’Udc e parte di Forza Italia.
In questo modo, però, e cioè con l’ostilità preconcetta del grosso del centrodestra a una soluzione di governo di responsabilità, ostilità che il Colle lo ha verificato anche ieri, viene tolta a Mattarella la possibilità di avere in serbo una carta ‘alternativa’ alla ricomposizione del Conte bis 2,: quella, appunto, di un governo ‘del Presidente’ che, certo, avrebbe avuto un uomo come Mario Draghi alla sua testa, e che, anche solo come arma di pressione, sarebbe servita a incentivare, a mo’ di pistola carica sul tavolo, gli alleati di Conte e i nuovi ‘Responsabili’ a formare presto un governo.
Lega e FdI, Pd e M5s, Conte e Renzi: tutte le ‘delusioni’
Il Colle non capisce, e quindi non può apprezzare, neppure l’atteggiamento di chi oggi sta sulla tolda di comando del Pd: Zingaretti, Orlando, e Bettini, etc., cioè il Nazareno, continuano a dire e sostenere, in lungo e in largo, a destra e a manca, che le scelte sono solo due: ‘o Conte o il voto’, ‘o il governo guidato dall’attuale premier o le urne’. Impediscono cioè, a loro volta, che si creino le basi per soluzioni diverse: da un governo a guida dello stesso Pd a un governo a guida Draghi passando per una ormai sempre più improbabile e chimerica ricomposizione con i renziani.
I ‘pre-requisiti’ chiesti al premier e non soddisfatti
Ma il Colle ce l’ha, e ne ha ben donde, anche con Conte. Mattarella aveva chiesto al premier due ‘fatti’ concreti: “numeri certi e certificati, per rilanciare la maggioranza, soprattutto al Senato, con tanto di nomi, cognomi, indirizzi e volontà espresse e scritte su un fogliettino” la prima cosa. “Un fatto politico nuovo”, cioè un partito in pianta stabile, e per intero (ad esempio, tutta FI e non alcuni suoi transfughi) o “un gruppo parlamentare nuovo e stabilmente costituito”, alla Camera come al Senato, che poteva arrivare dietro le bandiere e le insegne dell’Udc, del Psi o di altri ancora, ma non certo dietro le gracili e inconsistenti bandiere del Maie.
Nessuno di questi due pre-requisiti è stato soddisfatto, da parte del premier, sia all’atto della sua prima visita al Colle, prima del discorso alle Camere di lunedì e martedì scorso, che dopo, cioè l’altro ieri. La maggioranza ‘nuova’ – sia che debba nascere un Conte due bis, sia che sia un Conte ter – non si palese, non prende quota, stenta a venire fuori, alla luce del sole e allo scoperto, in modo ‘pulito’ ed ‘evidente’.
I neo ‘Volenterosi’ dovranno essere figure adamantine
Anzi, per sovrannumero scoppia la grana Cesa, indagato per associazione mafiosa, segretario di quella Udc che Conte ha corteggiato per giorni, offrendogli posti e altro. Morale, al Quirinale, a Conte, gli hanno dato una bella strigliata, quella che carte si chiama un ‘liscia e busso’, di quelle che il premier, probabilmente, si ricorderà a lungo, strigliata ammantata, all’esterno, dei crismi dell’informale ‘il presidente ha ascoltato e taciuto’, il che – tradotto dal quirinalese – vuol dire che a stento ha trattenuto la rabbia. Senza dire dell’uso spudorato di un termine, ‘Costruttori’, appioppiato dal premier e dai suoi spin doctor di Chigi a degli ‘scappati di casa’ dalle storie personali, idee politiche e solidità morale improbabili a dire poco. Un accostamento offensivo, per il Colle, dato che è stato Mattarella, nel suo discorso di fine anno, a usare (e di fatto coniare) il termine, ma che voleva riferirsi alle forze sane – sociali, economiche e anche politiche – del Paese, non certo ai ‘Responsabili’.
“Il governo deve avere i voti da sé” la tesi di Mattarella
In ogni caso, ora Conte dovrà dimostrare, conti alla mano, a Mattarella, e una volta per tutte, che i numeri della sua nuova, e ancora tutta da verificare, maggioranza di governo non solo sono certi e certificati, con gruppi costituiti alle Camere in modo organico e trasparente alle loro spalle, ma anche che, sulle votazioni che contano (fiducia, leggi, conversione di decreti legge e dpcm, etc.) i voti delle ‘opposizioni’ (dentro le quali va calcolata, ormai, pure Iv) non si pongano nelle condizioni di essere decisivi. I voti delle opposizioni dovranno, dunque, essere tutt’al più ‘aggiuntivi’ ma non ‘sostitutivi’ di quelli della maggioranza di governo che deve avere i numeri per fare, volendo, da sé.
Non che il Colle non ce l’abbia con Renzi (e Di Maio…)
Non che il Colle non sia ‘arrabbiato’, ovviamente, anche con Matteo Renzi, che lo tira in ballo un po’ troppo spesso nelle sue continue, ossessive, esternazioni pubbliche e che, altrettanto troppo spesso, si appella al suo ‘alto magistero’, ma volendo decidere lui, al posto del Colle, quando si vota, se si vota, quali sono i possibili sbocchi di una crisi che – al Quirinale non lo dimenticano – è stato Renzi a provocare, nonostante avesse assicurato al Colle che, al fotofinish, si sarebbe fermato e, prima dell’ultima curva, decelerato, impedendo di far sbandare l’esecutivo e, anche, il Paese.
E non che, inoltre, il Colle non sia rimasto molto ‘deluso’ da un Movimento 5Stelle cui per due volte, nel 2018 e nel 2019, ha assegnato la responsabilità di farsi promotore di entrambi i governi – prima il gialloverde e poi il giallorosso – e che doveva essere, di quei governi, la spina dorsale e l’architrave, verso gli junior partner (Lega prima, Pd dopo), almeno in termini numeri, come la Dc al Colle tanto cara lo era, rispetto agli alleati, nei ‘vecchi’ governi di coalizione.
Il Colle si è ormai rassegnato: Conte deve andare avanti
Ma, proprio perché ‘non’ vi sono alternative a questo governo e alla sua maggioranza – per quanto ‘rappattumata’ e ‘raccogliticcia’ possa essere – al Colle si sono rassegnati. Esclusa ogni idea di ‘governissimo’, se non si vuole andare al voto anticipato: per il Colle sarebbe un danno e una follia per un Paese stremato dal virus come dalla crisi economica. Senza dire che consegnerebbe il governo del Paese ai ‘sovranisti’ e ‘trumpiani’ all’italiana, cioè ai ‘nemici’ di tutti gli ‘amici’ di Mattarella (von der Layen, Merkel, Macroni, e ora Biden) che a lui e solo a lui guardano, preoccupati che l’Italia possa diventare il malato d’Europa da isolare e mettere in quarantena, politicamente ‘infetta’. Una prospettiva che il Colle teme, anche se non può dirlo.
I ‘paletti’ del Quirinale e quelli messi persino da Conte
Ecco perché non resta che puntare tutte le fiches su Conte. Al Colle ci tengono a far sapere che, però, come condizione minima di decenza, Conte ha consentito, e assicurato, che i ‘nuovi innesti’ arriveranno da parlamentari “non inquisiti né compromessi da indagini in corso” o, men che meno, “dalla fedina penale sporca”. Il caso Cesa – indagato quattro volte in dieci anni – ormai è diventato un ‘caso di scuola’. Come lui, cioè, no. Inoltre, il premier ha assicurato che i parlamentari in arrivo non saranno ‘scappati di casa’ o ‘figure improbabili’ – stile, per capirsi, il senatore macchietta e oggi zimbello del Paese Alfonso Ciampolillo – ma parlamentari ‘seri’ e ‘normali’. La loro provenienza arriverà, dunque, “da ex democrat oggi in Italia Viva e da ex M5s oggi nel Misto” ha garantito, con un filo di voce, di fronte alla ‘sfuriata’ di Mattarella, il presidente del Consiglio. Infine, “nascerà un nuovo gruppo, solido e con numeri certi, alla Camera come al Senato”. Servono venti deputati alla Camera – deroghe sotto i venti sono concesse solo a chi ha presentato un simbolo elettorale alle Politiche del 2018, come è stato per Leu, che ne ha 13 – e dieci senatori al Senato, ma questi devono essere collegati a un simbolo elettorale presente alle ultime elezioni 2018.
“Niente scappati di casa o macchiette alla Ciampolillo”
Insomma, niente ‘personaggi improbabili’ che credono alle scie chimiche e che vogliono curare la Xylella col sapone (vedi alla voce: Ciampolillo) e basta coi transfughi di FI dal passato di super-destra (Polverini) o berluscones (Rossi). Riuscirà Conte a mantenere tutte queste ‘promesse’ e portare al Colle, all’atto del rimpasto o della nascita di un nuovo governo, tutti i pre-requisiti che il Colle gli chiede? Non ci vorrà molto per scoprirlo. Il Quirinale ha ‘invitato’, in modo cortese ma fermo, il premier a ‘risolvere’ la crisi nel giro di “una settimana o due al massimo”. Dopo, il Colle chiamerà il game over, il rien va plus, o meglio suonerà la campanella. E se il Pd e il centrodestra saranno ancora attestati sul ‘no, no, no’ a ogni idea di governissimo, pur se a malincuore, a Mattarella non resterà che compiere il gesto che ogni Presidente non vorrebbe mai compiere: lo scioglimento anticipato delle Camere e nuove elezioni.
Il ‘caso Cesa’ complica la vita alla stabilità di Conte
Quello che non ci voleva, per il povero Conte, specie dopo la’strigliata’ presa dal Quirinale appena due giorni fa, era che gli si dovesse complicare la vita a causa del caso Cesa.
Del resto, l’Udc – il cui nome (Unione democratica di centro) e soprattutto simbolo (lo scudocrociato) valeva e vale oro, al mercato della politica: ha il pieno diritto a costituire un gruppo autonomo, in base al Regolamento del Senato, proprio come il Psi di Nencini e Maraio, simbolo – quello socialista – che ha permesso a Iv di farsi un gruppo.
La Binetti appare assai tentata, e Saccone pure (solo De Poli, su tre senatori Udc, giura fedeltà al centrodestra), ma si tratterà, da oggi in poi, di singoli passaggi, nulla di più. L’Udc si avvia a un congresso straordinario per il post-Cesa, ma conoscendo i suoi dirigenti e la sua base, resterà salda nell’alveo del centrodestra con cui è alleata ovunque.
La ‘soglia di sicurezza’ indicata dal dem Franceschini
Urge, dunque, ‘irrobustire’ la maggioranza di governo, che spera di poter contare su almeno 315-320 voti alla Camera, ma che ad oggi vede come un miraggio i 161 voti al Senato, senza dire che, come ammette lo stesso Dario Franceschini, la ‘soglia di sicurezza, a palazzo Madama, “è di 170 voti”. Ad oggi, un numero impossibile da raggiungere, per Conte. Inoltre, c’è anche la necessità, da parte dei giallorossi, di aiutare la nascita di nuovi gruppi parlamentari autonomi per ‘bilanciare’ il peso di Iv sia in aula che nelle commissioni. Il povero ministro D’Incà sul tema ci sta perdendo il sonno.
Fallita la ‘maggioranza Ursula’, resta solo quella ‘Maie’
E’ fallita anche, dopo l’ennesimo abboccamento, via Gianni Letta, con Berlusconi, l’ipotesi di una maggioranza ‘Ursula’, coinvolgendo cioè l’intera Forza Italia, in modo organico e coerente. Berlusconi lascia fare Tajani e Tajani è in scia pedissequa e ossequiosa a Salvini e Meloni. Resta solo la ‘caccia’ ai singoli Responsabili, che prosegue, ma che per ora fa scarsi proseliti. Ieri sera, tre deputati ex M5s e oggi iscritti al gruppo Misto (Aiello, Trano e Ermellino) sono andati a palazzo Chigi, uscendone abbastanza soddisfatti,pronti a sostenere il governo, ma i ‘sottogruppi’ presenti nel Misto servono a ben poco, alla maggioranza.
Il lavorìo di Tabacci alla Camera e del Maie al Senato
Alla costituzione di un gruppo autonomo alla Camera ci sta lavorando l’ex diccì, oggi ‘contiano’, Bruno Tabacci: il suo Centro democratico è passato già da quattro a ben 13 deputati, ma ora stenta ad arrivare a venti. La Polverini è già arrivata, poi però è arrivato pure lo stop. Ieri, nella ‘Corea’ del Transatlantico, luogo appartato per eccellenza, Tabacci ha visto Gianfranco Rotondi, leader della piccola nuova Dc, che porterebbe in dote sé stesso, e altri deputati di FI (il calabrese Maurizio D’Ettore, pronto al grande salto) e due o tre ex deputati M5s oggi nel Misto. Con i tre deputati del Maie, ‘quota’ venti sarebbe quasi raggiunta e, in ogni caso, sembra alla portata dei novelli ‘tabaccini’.
Ma Tabacci e Nencini vogliono pure loro fare i ministri
Ma Tabacci, come Nencini, chiedono a Conte un passo che il premier non vuole fare: dimettersi e costruire un ‘Conte ter’ in modo da poter rimpastare quasi tutti i ministri (e proprio Nencini e Tabacci si vedono bene nel ruolo…). Proposito lodevole, a suo modo, e ambizione ammirevole, ma che si scontra con un ‘problemino’: se c’è il rimpasto, nessuno – neppure il premier – può costringere un suo ministro attuale a dimettersi, come ricorda a ogni più sospinto il deputato e costituzionalista dem Ceccanti (“Il potere di revoca dei ministri, in Costituzione, non esiste”). Per non voler fare dei nomi, eccoli: De Micheli per parte dem, che in molti vogliono sostituire con Delrio, anche nel suo partito; poi un lungo rosario di nomi a 5Stelle: Azzolina, Catalfo, Pisano, etc., ritenute inadeguate non solo dal Pd, ma anche dentro gli stessi pentastellati. D’altro canto, solo Gualtieri, Amendola, Provenzano, Boccia sono ritenute pedine ‘inamovibili’ dal Pd, Guerini – stimatissimo al Colle come da Conte – potrebbe andare agli Interni per sostituire la Lamorgese, se questa dovesse essere sacrificata – come l’altro tecnico di area, Manfredi, per far largo ai nuovi parvenu della mensa governativa, i ‘Responsabili’. L’altro problema è che il premier vuole evitare a ogni costo il ‘Ter’. Conte teme le insidie e le trappole dell’apertura della crisi formale, con le sue dimissioni e le consultazioni.
La pressione sui gruppi di Iv e il ‘dilemma del Senato’
La pressione sui renziani ex dem si fa ogni giorno più forte, ovviamente, nel frattempo, perché – come dicono nel Pd – “con Renzi mai più è un bandito, ma i renziani sono amici”. Per ora, però, il gruppo di Iv sia di Camera che del Senato, al netto delle defezioni già registrate (due alla Camera, De Filippo e Rostan, e due assai vicine al Senato, Grimoldi e Comincini, oltre al socialista Nencini) regge l’onda d’urto e Renzi assicura: “al massimo ne perdo cinque o sei, non di più”. I problemi maggiori, come sempre, stanno tutti qui, però, dentro palazzo Madama. Il Maie, come sottogruppo del Misto, è già arrivato a 5 senatori grazie a due ex M5s, ma per arrivare a dieci ne servono altrettanti. Ogni singolo senatore peone - dalla ‘macchietta’ Alfonso Ciampolillo, che aspira a fare il ministro all’Agricoltura, al molto più serio Gregorio De Falco che, ieri, a Rainews24, chiedeva “punti programmatici seri e chiari, non poltrone” – intende far pagare a caro prezzo, a Conte, il suo appoggio.
I 5Stelle ora fanno gli schizzinosi contro gli indagati
Inoltre, i 5Stelle ora iniziano a fare gli schizzinosi, sull’arrivo dei Responsabili. “Al tavolo con chi è indagato per reati gravissimi noi non ci sediamo” dice Alessandro Di Battista, anche se lascia una porta aperta ai ‘Volenterosi’ dalla fedina penale ‘pulita’. “Il consolidamento del governo non potrà di certo avvenire a scapito della questione morale, dei valori fondanti dei 5 Stelle” dice Di Maio. I grillini, cioè, ora vogliono restare ‘incinti, ma solo un po’...