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Guerra in Medioriente, l’Italia chiede all’Onu di potenziare le regole d’ingaggio della missione Unifil

Da ieri sera tavolo di crisi permanente a Palazzo Chigi. L’Italia, paese che guida il G7, fa un appello a tutti gli attori per la de-escalation. Nessuno pensa al ritiro dei militari italiani, sarebbe un atto unilaterale e di codardia. Le regole d’ingaggio attuali impediscono al contingente Onu di sequestrare le armi inviate nella regione da Teheran

Claudia Fusanidi Claudia Fusani   
Giorgia Meloni e Antonio Tajani (Ansa)
Giorgia Meloni e Antonio Tajani (Ansa)

Mentre l’attacco iraniano su Israele è ancora in corso, Giorgia Meloni riunisce a Palazzo Chigi una sorta di consiglio di guerra: c’è il ministero degli Esteri Tajani, il ministro della Difesa Crosetto, il sottosegretario Mantovano, tutti i capi dell’intelligence e anche il consigliere militare della premier, l’ambasciatore Saggio. Sono le 19 e 30 in Italia. Mai come questa sera, negli ultimi vent’anni, lo scenario è stato così chiaro ed esplicito, impossibile fare sconti, a cominciare dal lessico: c’è la guerra in Medioriente. Teheran ha ordinato il lancio di oltre duecento missili balistici, quelli superveloci, una manciata di secondi e sono sull’obiettivo: Israele ha subito attivato il suo Iron dome, il sistema di difesa aerea, per neutralizzare l’attacco; al suo fianco si sono schierati gli Stati Uniti con la Casa Bianca che si è subito preoccupata di informare la stampa del fatto che “sia in atto da giorni un aggiornamento continuo tra Washington e Tel Aviv” e che “gli Stati Uniti sono al fianco dell’alleato Israele contro il regime di Teheran”.

Iron dome ha funzionato

I duecento missili, tutti puntati su Tel Aviv, sono stati intercettati da Iron dome, il sistema di difesa israeliano, ma anche dall’antiaerea americana. Le portaerei nel Mediterraneo sono state schierate e hanno fatto il loro lavoro. Tutto sommato i missili di Teheran hanno fatto pochi danni: solo un paio di feriti lievi a Tel Aviv per via di alcune schegge; le famiglie sono state chiuse nei rifugi per un paio d’ore ma poi c’è stato il cessato allarme e sono stati anche riaperti i cieli. “L’Iran è in guerra, noi stasera abbiamo pareggiato i conti (dopo gli attentati che il 30 luglio hanno ucciso il leader di Hamas Ismail Haniyeh e tre giorni fa il leader di Hezbollah Nasrallah, ndr),  consideriamo la nostra azione è conclusa se Israele non risponderà altrimenti Tel Aviv finirà in cenere”. Ma Nethanyau ha parlato alla nazione e al mondo pochi minuti dopo il cessato allarme: “L’Iran ha commesso un grosso errore e la pagherà cara”. Anche Londra e Parigi hanno rivendicato di “aver fatto il suo dovere al fianco di Israele”. Parigi

È guerra

Guerra, appunto. Gli analisti concordano su un punto: siamo solo alla fine del primo tempo di una lunga partita iniziata anni fa; Israele vuole abbattere il regime degli ayatollah e di tutti i suoi proxi, Hamas, Hezbollah, Houti e questa sa di poterlo fare grazie all’appoggio della popolazione civile iraniana e dei paesi arabi sunniti ma soprattutto intenzionati a chiudere la stagione delle guerre e dare finalmente respiro economico a tutta l’area. Anche il popolo libanese chiede pace e stabilità. Sulla Palestina il discorso è un po’ più complicato.

In questo quadro, diventato chiaro e definitivo ieri sera, Gorgia Meloni ha convocato il “suo” consiglio di guerra e ha parlato come leader del paese che guida il G7.

Tre decisioni

La riunione a Palazzo Chigi è durata più di un’ora. Sono state assunte tre decisioni: da ieri sera è attivo un tavolo permanente, per essere pronti ad adottare “tempestivamente le misure necessarie”; l’ “appello” a tutti gli attori a fermarsi per evitare una “ulteriore escalation”; la richiesta alle Nazioni Unite di rivedere e “rafforzare” il mandato della missione Unifil e “assicurare la sicurezza del confine tra Israele e Libano”.

La premier ha convocato d’urgenza ministri, ambasciatori e vertici dei servizi - già in allerta da settimane per il rischio di riverberi della crisi in Medio Oriente sulla sicurezza nazionale - non appena i missili puntano su Israele. L’allerta era già massima e la situazione monitorata “minuto per minuto”. Quello che conta, ora, è rassicurare i cittadini italiani presenti nell'area, oltre al contingente di più di mille soldati di stanza proprio sul confine israelo-libanese.

Il quadro è stato definito “drammatico” e stamani (ore 8.30) i ministri Tajani e Crosetto riferiranno alle commissioni unite Esteri e Difesa di Camera e Senato. Se necessario ci sarà anche l’informativa in aula.

Tremila civili e mille soldati

In Libano ci sono circa tremila italiani stanziali che vorrebbero rimanere almeno finché sarà possibile. E oltre un migliaio di soldati con la missione Unifil - il contingente italiano più numeroso - che al momento resta al sicuro, nei bunker. Una forza di interposizione chiusa nei bunker: un paradosso. Non saranno ritirati. A meno che l’Onu e il Consiglio di sicurezza non decidano di farlo. Cosa assai improbabile. Una decisione unilaterale dell’Italia oltre che improponibile sarebbe bollata come codardia. Questo per prevenire qualche richiesta dei pacifisti di turno. Alcuni esponenti leghisti già chiedono di “riportarli a casa” se venissero meno le condizioni di sicurezza. La Lega sfrutta sempre, con spiccato qualunquismo coincidente con un falso nazionalismo, ogni tensione internazionale per spostare la politica estera italiana contro la Nato, Washington, Israele e a favore di Mosca e di un finto quieto vivere al grido “facciamoci gli affari nostri”. Ci aspettiamo che da Pontida domenica prossima si alzi qualche bandiera palestinese.   

Nuove regole d’ingaggio

I “civili” e la “sicurezza” dei militari italiani sono “la priorità” ha detto la premier che ha sottolineato il “ruolo cruciale” dei soldati italiani e l'importanza della missione sotto l’egida delle Nazioni Unite anche in un colloquio nel pomeriggio con il primo ministro libanese Najib Mikati. Il governo ha già stanziato “primi aiuti per la popolazione civile” che va messa nelle condizioni di “ritornare al più presto di tornare alle proprie case”.

I contatti con i paesi dell'area si moltiplicano, compresi libanesi e israeliani, e anche le riflessioni sul ruolo della missione Unifil. Il ministro Crosetto giù in giornata aveva spiegato che sulla “validità” della missione è in corso “una riflessione da più di sei mesi con l’Onu”, ci sono “interlocuzioni quotidiane”.  Le regole di ingaggio, è il ragionamento italiano, non hanno dato finora “i frutti auspicati” a cominciare dal fatto che andrebbe data “effettiva ed immediata attuazione alla risoluzione dell'Onu 1701, che prevede una fascia di territorio a sud del Litani ed a nord della 'blue line' in cui siano presenti solo le armi delle forze armate libanesi e di Unifil”.

Quelle attuali sono inutili

Ora, il problema è proprio nelle regole d’ingaggio che prevedono che la missione Unifil sia sul territorio libanese dal 2006 in quanto “ospite” del governo di Beirut che è a sua volta una perfetta spartizione, massima summa del manuale Cencelli, delle forze politiche libanesi Cristiane, laiche e sciite, Hezbollah compreso. Dunque i soldati delle missione non possano fare nulla se non dopo averlo condiviso e comunicato al governo. Diversamente, ogni atto di iniziativa sarebbe inteso come un atto ostile. In pratica i nostri soldati hanno le mani legate. E se in questi quasi vent’anni hanno garantito ad una generazione di vivere bene o male lontana dalle bombe, i nostri soldati non hanno potuto fare nulla rispetto al continuo e costante invio di armi che Teheran ha garantito in questi anni alle milizie di Hezbollah. Il quale Hezbollah è stato foraggiato e addestrato a colpire Israele, cosa che ha costantemente fatto in questi anni seppure a bassa intensità.

Il grande equivoco

Eccolo qua il grande equivoco. Il ventre molle della missione Unifil. Difficile se non impossibile per Hezbollah “partito”, quello nella coalizione di unità nazionale che governa il Libano, affrancarsi dai piani di Teheran che con una mano consegna armi e con l’altra mette soldi e sostiene il welfare della popolazione sciita presente in Libano.

I militari del contingente internazionale non sono comunque “obiettivo diretto degli attacchi” ha rassicurato Crosetto in contatto continuo in queste ore anche con la presidenza della Repubblica. Pronti anche, per ogni eventualità, piani di evacuazione con navi e aerei sia per i civili italiani rimasti in Libano che per i militari.

Claudia Fusanidi Claudia Fusani   
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