Così Grillo è sparito e Conte si è preso il Movimento 5 stelle
La storia inizia da un discorso parlamentare di un senatore pentastellato sconosciuto
Vale la pena di partire da un passaggio dell’ultimo discorso a Palazzo Madama, di un senatore pentastellato – oggettivamente non famosissimo presso il grande pubblico, per usare un eufemismo - Gabriele Lanzi, impiegato modenese, eletto sul proporzionale in Emilia Romagna che, intervenendo sul decreto Aiuti bis, con raffiche di applausi dai compagni di gruppo al Senato ha attaccato: “Abbiamo provato a convincervi della bontà delle nostre proposte in tutte le sedi possibili, in Consiglio dei ministri, in Commissione, qui in Assemblea: lo abbiamo fatto perfino per mezzo della famosa lettera che il nostro presidente Giuseppe Conte ha inviato a luglio scorso al premier Draghi. Le nostre parole sono sempre cadute nel vuoto, fin quando il Presidente del Consiglio non ha deciso di gettare la maschera e di attaccarci frontalmente”.
E giù applausi.
“Lo ricordate? È successo solo poche settimane fa in quest'Aula: un attacco indegno, intellettualmente disonesto e persino istituzionalmente scomposto, che verteva proprio su una delle nostre misure più importanti, il superbonus. È una vergogna che lo Stato non onori un contratto legittimo”.
E giù altri applausi.
“A tutti loro voglio dire che non finisce qui e non finisce così. La storia ci darà ragione, una storia che ripartirà dal 25 settembre, quando i cittadini ci ridaranno la fiducia, consentendoci di continuare a cambiare il Paese, proiettandolo verso un futuro economicamente sostenibile. Se ne faccia una ragione chi, invece, vuole riportarlo indietro ai vecchi fasti. Siamo noi a essere dalla parte giusta; Giuseppe Conte lo abbiamo noi”.
E i resocontisti parlamentari hanno annotato puntigliosamente altri applausi. Ci mancava solo il coro: “Solo noi, solo noi, Giuseppe Conte l’abbiamo noi”, esattamente come negli stadi. Immagine dialettica e quasi plastica del fatto che – nonostante la presenza in maggioranza per più di un anno e mezzo e, tecnicamente, tuttora la partecipazione all’esecutivo con due ministri ancora in carica, Fabiana Dadone e Stefano Patuanelli – il ventre molle del MoVimento sente Mario Draghi come un usurpatore che ha fatto fuori i buoni del governo giallorosso e ovviamente Giuseppe Conte.
Però nelle parole del senatore Lanzi - oltre a una sorta di revanscismo rispetto a dicembre 2020 e gennaio 2021, e ovviamente rispetto a quello del 13 febbraio 2021, data del giuramento dell’esecutivo di Draghi - c’è in qualche modo il nuovo MoVimento Cinque Stelle.
Così come c’è nella quasi assenza del “garante” Grillo dalla campagna elettorale. Con Beppe che sta pensando seriamente a tornare a fare una tournèe. Ma non politica.
Negli ultimi giorni, dall’inizio di settembre, sul suo profilo Facebook, Grillo ha postato articoli sulla fine del lavoro in presenza, sul metaverso, sull’intelligenza artificiale, su Cernobbio e Assisi, contro le Olimpiadi a Cortina, sull’economia degli abbonamenti, sulle lenti a contatto utili per diagnosticare il cancro, sulla politica che si fa con gli acquisti nel proprio carrello della spesa, e su come la natura sia più efficace dell’aria condizionata.
Insomma, in mezzo a tutto questo, solo un post di condivisione di un video del lavoro di Giuseppe Conte con l’hastag regolamentare #dallapartegiusta.
Ed è una rivoluzione copernicana, perché con il tour per l’Italia del 2013 e ovviamente con le sue uscite pubbliche del 2018 e persino con la sua epocale intervista a Bruno Vespa a “Porta a Porta”, Grillo era stato il protagonista delle due precedenti campagne elettorali.
E aveva anche un ruolo ufficiale, certificato dal fatto che nei programmi depositati al ministero dell’Interno, il capo politico del partito risultava essere proprio “Giuseppe Piero Grillo”, in questa veste coinvolto nelle consultazioni, formali e informali, di Sergio Mattarella e di Mario Draghi.
Stavolta, invece, Grillo è come sparito dalla campagna elettorale.
E, al momento, Conte ricambia. Clamoroso, come giustamente notato da Matteo Macor, fuoriclasse dei racconti elettorali, il fatto che l’ex presidente del Consiglio non abbia al momento previsto una tappa in Liguria e nella Genova di Grillo, nonostante nel 2018 sia stata la Regione del Nord con percentuali simili, uguali o superiori a quelle dal quartiere Ardeatino di Roma in giù, dove i pentastellati hanno vinto tutti i collegi, tranne quello della fenomenale Patrizia Prestipino, regina dei voti Democratici della Capitale.
Addirittura, a Genova città, in un collegio che allora si chiamava, sia alla Camera al Senato “Unità urbanistica San Fruttuoso”, definizione di una bruttezza rara, i due collegi cittadini, battendo i superbig di centrodestra e centrosinistra furono appannaggio di due allora pentastellati: Mattia Crucioli a Palazzo Madama, oggi presidente dei senatori di CAL-Uniti per la Costituzione, i duri dei duri, no Pass e filorussi, e Marco Rizzone a Montecitorio, oggi candidato con i centristi del centrodestra di Noi Moderati, in quota del sindaco di Venezia Luigi Brugnaro.
E insieme a loro, dalla Liguria, arrivò una pattuglia notevolissima, di cui è rimasto uno solo: l’ex sottosegretario a Trasporti e Infrastrutture del Conte bis Roberto Traversi, che infatti è stato ricandidato.
Ed è interessante vedere come invece tutti gli altri eletti liguri siano fra i protagonisti della diaspora grillina: Rizzone per l’appunto è in Coraggio Italia; Sergio Battelli, presidente della commissione Politiche dell’Unione Europea, e Simone Valente, ex sottosegretario alla presidenza del Consiglio con delega alla partecipazione nel Conte uno, sono andati con Luigi Di Maio in Insieme per il futuro; Leda Volpi alla Camera e Crucioli al Senato sono in Alternativa; Elena Botto apolide nel Misto di Palazzo Madama; Matteo Mantero in Potere al Popolo.
E questo è successo a casa di Grillo, che non è andato a votare per il MoVimento alle recenti comunali genovesi, dove pure era candidato capolista un ottimo esponente come Luca Pirondini, ortodossissimo e gran lavoratore, e in lista c’era anche Fabio Ceraudo, altro grillino radicato sul territorio, tanto da essere eletto nel suo Municipio, quello di Sestri Ponente e Cornigliano.
Oggi Pirondini, contianissimo, è candidato al Senato, così come in uno dei due collegi uninominali per Palazzo Madama corre Enrico Maria Nadasi, uno dei primissimi firmatari dello statuto del MoVimento nel 2013 e commercialista di Grillo. «Ma non è stato Beppe a chiedermi di candidarmi», ha spiegato Nadasi all’Adnkronos, una sorta di Bibbia giornalistica sulle vicende pentastellate: «Il Movimento lo vivo al di là di Grillo. È stata una "chiamata alle armi" alla quale ho risposto positivamente, con convinzione. Per il Movimento si tratta di un momento particolare, delicato: un conto è presentarsi quando si in tasca la certezza di vincere, un conto è presentarsi quando c'è un mare tempestoso... Ecco, io non ho voluto starmene con le mani in mano. Il M5S ne ha subite di tutti i colori, tradimenti interni, diretti e indiretti. Il Movimento ha reso un servizio al Paese, è stato attaccato e ha pagato la poca esperienza politica. Ha scontato una certa ingenuità. Ma ora tante foglie e tanti rami secchi sono caduti.... Gente raccolta per la strada che pur di scavallare il secondo mandato e restare attaccata alla poltrona ha dato vita a una scissione per proseguire la propria carriera politica. Eppure conoscevano le regole del Movimento».
Insomma, persino Nadasi che è il più grillino dei grillini, letteralmente, è fedele a Conte e alla sua linea.
E sui manifesti elettorali e sulle livree degli autobus di Genova e d’Italia, insieme allo slogan della campagna “Dalla parte giusta” campeggia la foto sorridente (e giovanile) di Giuseppe Conte in camicia bianca, col nome “CONTE PRESIDENTE” più visibile del simbolo del MoVimento.
Segno di una metamorfosi che porterà un buon risultato con due bacini fortissimi: reddito di cittadinanza al Sud e “bimbe di Conte”, signore, soprattutto anziane al Nord.
Grillo chi?