G20, Meloni conferma l’Italia nella Nato: “Inutile dialogare con Putin”. E sfida Salvini e Orban: “Armi all’Ucraina anche nel 2025”
Si è concluso il summit di Rio de Janeiro. Scarse e vaghe conclusioni sui conflitti in Ucraina e Medioriente. E anche sul clima. Un po’ meglio sulla fame nel mondo e sulla tassa per i super-ricchi. L’impegno dei 20 per un’economia multilaterale e senza dazi, contro le minacce di Trump. Molto attivo il leader cinese Xi in cerca di sponde europee per contrastare la nuova amministrazione Usa. E a Rio si vedono anche i leader europei per sbloccare l’impasse sulla Commissione
Mentre noi siamo qui ad occuparci di Emilia Romagna e Umbria, di chi ha vinto e chi ha perso, di nuovi accordi e possibili alleanze, persino di Autonomia, il mondo fronteggia la minaccia nucleare sventolata dal solito Putin, Mosca bombarda Kiev e Xi cerca uno sponda in Europa per stare pronto di fronte alle minacce commerciali di Trump. Insomma, questioni un po’ preoccupanti. Ammesso che il vecchio ordine mondiale, nei fatti, stia per essere messo in soffitta, quello nuovo si sta configurando con grande velocità e molte sorprese. E di fronte alla vittoria del MAGA pensiero, anche con incertezze e preoccupazione. Come ha ben fotografato il G20 che si è concluso ieri a Rio de Janeiro.
In linea generale, i maggiori analisti, ad esempio i think tank di Ispi, concordano nel dire che “nessun progresso concreto c’è stato sulla lotta al Linate chance” e che sui conflitti in corso in Ucraina e in Medioriente “ci sono state solo dichiarazioni vaghe”.
“Un bicchiere mezzo vuoto”
E’ un “bicchiere mezzo voto” quello che esce dal vertice delle 20 grandi economie riunite in Brasile, nonostante gli sforzi del presidente di turno, Luiz Inacio Lula da Silva. Lo dimostra la dichiarazione finale votata all’unanimità ma solo perché “annacquata nella parte che avrebbe dovuto individuare responsabilità e fissare impegni da parte degli Stati membri”. Nel documento viene generalmente riconosciuta “la necessità di aumentare i finanziamenti per il clima” fino a “trilioni di dollari da tutte le fonti” ma senza specificare chi dovrebbe contribuire maggiormente al sostegno delle azioni per mitigare l’impatto del cambiamento climatico. D’altra parte, secondo i paesi occidentali, e in particolare l’Europa, obiettivi più ambiziosi possono essere concordati solo se si amplia la base dei contribuenti, includendo alcuni paesi in via di sviluppo più ricchi, come Cina e i produttori di petrolio del Medio Oriente. Ma sul loro coinvolgimento le resistenze sono insuperabili. Le conclusioni, evidenziano gli osservatori, costituiscono un sostanziale passo indietro sulla transizione green visto che non è menzionato l’impegno per “una transizione giusta, ordinata ed equa dai combustibili fossili nei sistemi energetici” compreso invece nell’ultima Cop, a Dubai lo scorso anno. Una tendenza purtroppo già vista a Baku la scorsa settimana e che sconta il grande punto interrogativo Usa visto che Trump ha già annunciato il disimpegno dagli obiettivi di abbattimento dell’energia fossile (anche se Musk e gli amici suoi della Silicon Valley investono molto in energia alternative, dunque vediamo). I dati inoltre dicono che la globalizzazione, dopo un picco post Covid nel 2023, ora sta rallentando in modo anche piuttosto brusco.
La tassa per i supericchi del mondo
Il presidente Lula ha ottenuto, ed era il suo obiettivo, l’impegno per abbattere le disuguaglianze a cominciare dalla fame e dalla povertà. Un progetto che riguarderà mezzo miliardo di persone entro il 2030. Secondo le Nazioni Unite nel 2023 hanno sofferto la fame 733 milioni di persone. Una prima assoluta, nella dichiarazione finale del vertice, è l’impegno dei firmatari a garantire “nel pieno rispetto della sovranità fiscale” che “le persone molto ricche siano effettivamente tassate”: è il massimo che si è riusciti a fare per andare incontro alla cosiddetta global minimax tax proposta dalla presidenza brasiliana, che vorrebbe tassare i super ricchi della Terra (stando ai dati, circa 3mila multi miliardari). Secondo la proposta brasiliana, arenatasi contro un muro di obiezioni, una tassa del 2% sui super redditi potrebbe portare a un gettito di 250 miliardi di dollari l’anno.
La trama di Xi nei suoi bilaterali
Più interessante è osservare come si sono mossi i venti leader mondiali alle fine di questo anno elettorale destinato a sconvolgere, sulla base del voto popolare, l’ordine mondiale. In linea generale si può dire che dal G20, l’ultimo di Biden, si è levato un chiaro no alla ricetta di dazi e protezionismo del futuro presidente Usa. Non ci sono dichiarazioni ufficiali su questo. Ma molti indizi. Il leader cinese ha cercato nuove sponde tra gli alleati di Washington in Europa e Sudamerica per imbastire uno scudo contro le politiche commerciali aggressive promesse dal Trump 2.0.
E’ come una trama di fili di seta quella di Xi. Da osservare e valutare anche come possibile “merce di scambio” per chiudere alle giuste condizioni la guerra in Ucraina. Il leader cinese avrebbe trovato la disponibilità di numerosi interlocutori, da Sholz a Macron, da Milei a Lula. Per quello che riguarda l’Italia, basta e avanza la lunga visita che il presidente Mattarella ha da poco concluso a Pechino. I dazi di Trump non minacciano solo i beni in arrivo dal Dragone con tariffe fino al 60%, ma anche le merci provenienti dal resto del mondo con dazi del 10 o 20%. Molti di più di quello che era già successo nel primo mandato Trump (2016-2020). Per consentire “al commercio e agli investimenti di realizzare pienamente il loro potenziale e di agire come motori della crescita e della prosperità globale” hanno sottoscritto i leader del G20 nel loro comunicato finale “occorre un sistema commerciale multilaterale basato su regole, non discriminatorio, equo, aperto e inclusivo, sostenibile e trasparente, con l'Organizzazione mondiale del commercio al centro”.
Un’architettura con “condizioni di parità e concorrenza leale, in linea con le regole dell’Omc”. Insomma, un manifesto contro la deriva trumpiana.
Tutti i leader, anche Giorgia Meloni, sono stati impegnati in una girandola di bilaterali. Iperattivo è stato proprio Xi.
Al cancelliere tedesco Olaf Scholz, il cinese ha chiesto un aiuto a Bruxelles per sciogliere il nodo dei dazi sulle e-car made in China il prima possibile, assicurando che la Cina “è pronta a lavorare con la Germania per consolidare la partnership strategica complessiva”. Col francese Emmanuel Macron ha condiviso il desiderio di vedere “una pace duratura in Ucraina” mentre con l'argentino Javier Milei, filo trumpiano e anti Lula e anti comunista - il mandarino “ha trattato temi rilevanti per le relazioni bilaterali includendo la cooperazione costruttiva e l'estensione delle relazioni commerciali”. L’incontro con Lula si è svolto nella residenza ufficiale dell’Alvorada (per una minaccia di attentato per cui l’antiterrorismo ha compiuto arresti in diretta durante il G20) invece che nella sede del governo a Palazzo Planalto. I due hanno sottoscritto un ricco pacchetto di intese bilaterali, memorandum e accordi di cooperazione in settori come l’industria automobilistica, l'agricoltura, il commercio e l’industria. Musica per Lula. Un po’ meno per Putin, che ha sfruttato in questi anni un esclusivo rapporto con Xi e con i Brics in genere (a Rio era presente Lavrov).
E i bilaterali di Giorgia
Molto attiva nei bilaterali anche la premier Giorgia Meloni. Che da Rio manda un primo segnale a Trump e ai consigli non richiesti dall’amico Bannon: l’Italia resta saldamente nella Nato, a fianco di Kiev e lo farà fino alla fine, fin quando sarà necessario, finché non si arriverà ad una pace giusta, “cosa che in questo momento Putin chiaramente non vuoi e non cerca”. La premier ha incontrato i giornalisti italiani alla fine del vertice nell’atrio del suo hotel a Capacabana, a 50 metri dalla spiaggia più famosa del mondo. E ha usato parole nette, non scontate non solo per posizionare l’Italia ma anche per “parlare” a Putin e ai suoi alleati in Europa, come Orban e lo stesso Salvini. “L’Italia invierà armi a Kiev anche per tutto il 2025” ha detto Meloni che ha difeso la decisione di Biden, con cui si è aperto il G20, di consentire a Zelensky di usare i missili a lungo raggio. Un via libera che “cambia lo scenario di questa guerra” come ha subito sottolineato Putin che ha minacciato l’uso del nucleare (non è la prima volta) e ha scatenato l’inferno di missili e droni su Kiev e Odessa. Meloni ha proprio per questo escluso colloqui con Putin (come ha fatto Scholtz) visto che lo zar ha bombardato l’Ucraina mentre il G20 era in corso. Ogni volta che i G7 e i G20 si sono riuniti in questi due anni, Putin ha voluto sottolineare la sua “assenza” con bombardamenti e aggressioni. In generale però la presenza di Lavrov al summit e i Brics (le economie mondiali emergenti come Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica, Egitto, Emirati arabi, Etiopia e Iran) che sono molto tiepidi per non dire ostili alla causa ucraina.
Fitto, verso la soluzione
Su una cosa almeno il G20 è stato utile: dovrebbe aver sbloccato l’impasse della commissione von der Leyen 2 circa le vicepresidenze esecutive del conservatore di destra Raffaele Fitto e della spagnola e socialista Ribeira. Nella città carioca i leader Ue e Ursula von der Leyen hanno avuto modo di affrontare la questione. Il premier spagnolo Pedro Sanchez ha aperto alla possibilità di votare il candidato italiano. La mossa di Sanchez è stata il grimaldello per sbloccare lo stallo, ma non è bastato. Lunedì sera i tre capigruppo della maggioranza, Manfred Weber, Iratxe Garcia Perez e Valerie Hayer si sono visti per aprire il tavolo della trattativa. Al centro l'ipotesi di elaborare un patto scritto che ricalchi il programma già enunciato da von der Leyen ma, soprattutto, che allontani l'ipotesi di un’asse tra il Ppe e le destre. A corroborare l'accordo ci sarebbero due elementi: attendere che Ribera riferisca sulle alluvioni di Valencia alle Cortes spagnole prima di darle il via libera e assottigliare le deleghe del terzo pomo della discordia, il candidato ungherese Oliver Varhelyi.
L’appello di Monti e Prodi
A Rio si sarebbe comunque arrivati ad un patto scritto per delimitare “all’interno dei confini europeisti” (le forze politiche filoeuropee) l’azione della maggioranza Ursula. Giochi conclusi? Nient'affatto. Perché il problema della maggioranza Ursula è la sua fragilità interna. A pesare sono i contesti politici nei singoli Stati membri. Il 27 novembre è fissato il voto dell’eurocamera al governo del von der Leyen 2. Prima le commissioni voteranno i sei vicepresidenti. Un passaggio stretto ma importante per capire cosa succederà mercoledì 27 novembre. Il rischio che l’Europa nasca azzoppata - una iattura nel contesto internazionale - è stata scongiurata ieri da due ex premier italiani e due simboli dell'Europa unita, come Romano Prodi e Mario Monti. “In questo momento - è il contenuto del loro appello - con le enormi sfide che l’Unione Europea deve fronteggiare ad Est e ad Ovest, confidiamo che davanti a candidati qualificati come Teresa Ribera o Raffaele Fitto non prevalgano le tensioni intestine, in particolare tra i gruppi considerati più europeisti quali i popolari e i socialisti”.