[Il caso] Fraccaro asfalta il guru: il ministro M5s è l’anti-Casaleggio. E Bonafede butta nel cestino la riforma delle intercettazioni

Il ministro per i Rapporti con il Parlamento smentisce il suo datore di lavoro Davide Casaleggio: “Quest’aula prima di tutto”. Il Guardasigilli attacca Renzi: “voleva mettere il bavaglio all’informazione in concomitanza con il caso Consip e impedire ai cittadini di ascoltare le parole dei politici indagati”. Ma il ddl è del 2014 e lo scandalo Consip del 2017

Riccardo Fraccaro
Riccardo Fraccaro

Ministri in ordine sparso. E in conflitto. Con il Movimento e con il proprio ruolo. Riccardo Fraccaro, ministro grillino per i “Rapporti con il Parlamento e la democrazia diretta” smentisce il suo guru Davide Casaleggio che ha ufficialmente iniziato il count-down del Parlamento in quanto istituzione e luogo della democrazia rappresentativa. Alfonso Bonafede dimentica di essere ministro della Repubblica e alla prima conferenza stampa a palazzo Chigi in veste di Guardasigilli, pensa di essere ancora leader dell’opposizione e accusa il Pd di aver voluto la riforma delle intercettazioni, che ieri Bonafede ha definitivamente cestinato, “solo per mettere il bavaglio all’inchiesta Consip”. La prima, quella di Fraccaro, è una clamorosa smentita delle origini stesse del Movimento e della Casaleggio-pensiero che del Movimento è il motore e l’amministratore delegato. La seconda è oggettivamente, calendario alla mano, una notizia sbagliata, una fake news, che pronunciata nella sede del governo lascia assai perplessi.  Entrambe misurano la distanza tra fare propaganda e governare e quanto possa essere arduo il passaggio dalla prima alla seconda.

Asfaltato da Casaleggio Jr

L’audizione del ministro Fraccaro davanti alla Commissione Affari costituzionali era in calendario da tempo. A parte qualche intervista, doveva essere il momento in cui finalmente, nelle sedi istituzionali, veniva spiegata quella nuova dicitura comparsa il primo giugno, giorno del giuramento, accanto al suo nome: “Ministro per la democrazia diretta”. Solo che domenica Davide Casaleggio ha rilasciato un’intervista con cui superava a destra e a sinistra, in pratica ha asfaltato il suo ministro. E il Parlamento. “Oggi grazie alla Rete e alle tecnologie -  ha detto il giovane Casaleggio, alla cui società ogni parlamentare eletto versa ogni mese 800 euro, ora in tour per diffondere il verbo di Rousseau - esistono strumenti di partecipazione decisamente più democratici ed efficaci in termini di rappresentatività popolare di qualunque modello di governo novecentesco. Il superamento della democrazia rappresentativa è inevitabile”. In pratica, il Parlamento entro breve sarà sostituito dalla democrazia diretta che “è già una realtà grazie alla piattaforma Rousseau che per il momento è adottata dal M5s ma potrebbe essere impiegata in molti altri ambiti e da molti altri soggetti e il cui fondamento è uno-vale-uno, principio cardine della democrazia partecipativa”.

La smentita del ministro

L’intervista di Casaleggio è stata vissuta con grande imbarazzo dai vertici del Movimento che ora hanno in mano Palazzo Chigi, il Parlamento e i luoghi decisionali della democrazia. Quel luoghi che, per l’appunto, sono, ciascuno a suo modo, il braccio operativo della democrazia rappresentativa che il giovane Casaleggio considera morta e sepolta.

Manco a dirlo, ieri alle 15 il Parlamento-tacchino era tutto orecchie pronto per prendere nota di come e quando sarebbe “finito” cucinato nel banchetto di Natale. E il ministro Fraccaro non ha potuto fare altro che smentire il suo guru e datore di lavoro David Casaleggio. Luigi Zanda e Stefano Ceccanti lato Pd, Paolo Francesco Sisto lato Forza Italia, hanno cominciato esattamente da qui la sessione delle domande. Intende lei utilizzare la piattaforma Rousseau anche nella gestione e amministrazione della cosa pubblica e dell’attività parlamentare? “Non ho doti divinatorie e non posso dirvi cosa succederà tra qualche lustro, e non è nemmeno mio compito “ha preso fiato Fraccaro. Per poi continuare: “Posso dirvi la volontà e il programma del governo in questa legislatura. Noi vogliamo mettere al centro il Parlamento, altrimenti non ci saremo nemmeno presentati. Aggiungo poi che non c'è la volontà di applicare la piattaforma Rousseau al Parlamento con cui non c'entra nulla”. Dunque nessun “superamento”del Parlamento così come viene evocato da Davide Casaleggio nel suo Rousseau-tour. Anzi, il Presidente della Camera Roberto Fico lo mette “al centro di tutto” e proprio ieri, in occasione di un incontro con i presidenti di tutte le 14 commissioni, ha ragionato su come lavorare di più e meglio, “coordinare le attività parlamentari e innalzare la qualità delle leggi”. 

La democrazia diretta e i dubbi di Ceccanti

Dunque il ministro Fraccaro si mostra paladino della democrazia rappresentativa, chiarisce che “non c’è alcun progetto di riforma del vincolo di mandato”; che invece è allo studio una norma che impedisca “il prolificare dei gruppi parlamentari” e che i 5 Stelle “non hanno progetti circa un referendum, anche se consultivo, per uscire dall’euro” mentre potranno essere indetti “su nuove cessioni di sovranità (qualche nuovo trattato europeo, ad esempio la convenzione di Dublino, ndr) e prima dell’entrata in vigore”. Le forme della “democrazia diretta” in sostanza sono iter più agevolati per le leggi di iniziativa popolare e l’eliminazione del quorum nei referendum abrogativi. Per quanto tranquillizzante (“Fraccaro sembra avere uno standing molto istituzionale” è il commento più diffuso), Stefano Ceccanti (Pd) messo in guardia da due criticità. La prima riguarda la disponibilità del ministro a “referendum propositivi anche su leggi di spesa purché i cittadini riescano ad indicare coperture certe”.  “Arrivati a questo punto, chi valuta la congruità di quelle proposte?” chiede Ceccanti. E inoltre, se sarà abolito il quorum ai referendum, “è stato valutato il rischio di esporre il Paese al volere di alcune minoranze?”. Attenzione, ha commentato Ceccanti, “a non far rientrare dalla finestra il Casaleggio buttato fuori dalla porta…”.

Le intercettazioni secondo Bonafede

Mentre il ministro Fraccaro spiegava a Montecitorio perchè il governo non è allineato con il Casaleggio-pensiero, il ministro Guardasigilli Alfonso Bonafede spiegava, a palazzo Chigi, perchè la riforma delle intercettazioni dei governi Renzi-Gentiloni è stata ieri cestinata nella riunione del Consilgio dei ministri. “Perché voleva mettere il bavaglio all’informazione in concomitanza con il caso Consip e impedire ai cittadini di ascoltare le parole dei politici indagati” ha detto il ministro tornando per qualche minuto sui banchi dell’opposizione. Bonafede ha dato la sua spiegazione in conferenza stampa (appena la seconda in undici riunioni del consiglio dei ministri), al fianco del premier Conte, del ministro Tria e del sottosegretario Giorgetti.

Conte: “Lo scriveremo con più calma”

In realtà è dal 2006 che il Parlamento, ad ogni legislatura, prova a mettere mano sulle intercettazioni. Il ddl Orlando era riuscito ad arrivare fino all’approvazione finale ma ieri il governo ne ha deciso l’entrata in vigore nel maggio 2019, tutto il tempo per riscriverlo e cambiarlo. “Lo faremo con più calma e attenzione” ha chiosato il premier Conte che dunque ammette di volere comunque una riforma delle intercettazioni, indispensabile strumento di indagine ma anche usate spesso per campagne politiche.  A parte che cinque anni sono un tempo sufficiente per fare le cose “con calma e attenzione”, la verità è che il dossier intercettazioni ha sempre diviso politica, stampa e magistratura. La domanda, sacrosanta e legittima, è sempre la stessa: quando la tutela della privacy può e deve essere prevalente rispetto alle urgenze investigative?

I tempi dell’inchiesta Consip

Ecco perché il tono e le motivazioni espresse da Bonafede ieri sono sembrate poco ministeriali, molto politiche, non esatte. Il ddl intercettazioni è stato varato nel 2014 con il complesso pacchetto della riforma della giustizia. E’ stato l’ultimo atto approvato dal governo Gentiloni il 29 dicembre 2017. L’entrata in vigore era prevista dopo sei mesi. Cinque anni di stop and go, accelerazioni e frenate, molti compromessi figli di una maggioranza che teneva dentro Pd e centristi. Alla fine nessuno contento nonostante la richiesta di molti di trovare un rimedio a pubblicazioni spesso strumentali.

L’inchiesta Consip, nata per corruzione, è diventata pubblica il 22 dicembre 2016 con la clamorosa iscrizione al registro di vertici dell’Arma e l’ex ministro Lotti per rivelazione di segreto istruttorio.  Conosce alcuni passaggi clamorosi a febbraio-marzo 2017 quando la procura di Roma leva l’indagine ai carabinieri del Noe. Nei mesi successivi si legge di tutto e di più, soprattutto i depistaggi nei confronti di Tiziano Renzi (indagato) e la fabbricazione di prove false. Una storia per cui sono stati indagati magistrati, carabinieri, un pezzo di servizi segreti. Ora, affermare che la riforma delle intercettazioni sia figlia del bisogno di mettere a tacere quell’inchiesta, è quantomeno azzardato e illogico. Il Pd ieri ha reagito in massa all’accusa di Bonafede: l’ex ministro Orlando ha indicato e pubblicato le date del percorso del ddl intercettazioni; il capogruppo Delrio è sceso in conferenza stampa al suo fianco; Matteo Renzi ha postato un video su Facebook sul ministro Bonafede-Malafede.