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Flessibilità di bilancio e gestione degli immigrati: due grandi opportunità per l'Italia a Bruxelles

Ed è più facile che, a coglierle, siano un governo giallorosso, piuttosto che una riedizione del patto Lega-5stelle, un governo elettorale o anche un governo istituzionale

Maurizio Riccidi Maurizio Ricci   
Ursula Von Der Leyen è la presidente della Commissione Ue
Ursula Von Der Leyen è la presidente della Commissione Ue

C’è una opportunità – anzi due – che si aprono in questo momento, a Bruxelles, per l’Italia. Ed è più facile che, a coglierle, siano un governo giallorosso, piuttosto che una riedizione del patto Lega-5stelle, un governo elettorale o anche un governo istituzionale, sotto l’ombrello diretto di Mattarella. Non c’entra la nomina del prossimo rappresentante italiano nella Commissione. E neanche, specificamente, la imminente formulazione della manovra economica per il 2020. La posta in gioco è più importante e condiziona il futuro sia dell’Europa, che del posto che vi occupa l’Italia. I dossier su cui sta per aprirsi la discussione sono, infatti, cruciali. Il primo è la flessibilità di bilancio. Il secondo è la gestione degli immigrati e del diritto d’asilo.

METTERE MANO ALLE REGOLE

SGP 2.1, ovvero Stability and Growth Pact, seconda edizione, è il titolo del voluminoso rapporto che gli uffici tecnici di Bruxelles hanno preparato per impostare una revisione delle regole che oggi governano la formazione dei bilanci pubblici dei paesi dell’eurozona. L’obiettivo che si dà la nuova commissione, presieduta da Ursula von der Leyen, è di arrivare, entro 12 mesi, ad una drastica semplificazione delle regole attuali, stilate al picco della ossessione-austerità dei vertici europei. In parte, è un risultato paradossale. In linea di principio, infatti, le regole sono semplicissime: il disavanzo non deve superare il 3 per cento del Pil e il debito il 60 per cento. Chi sta sopra questo tetto deve ridurre il debito al ritmo del 5 per cento l’anno, fino ad arrivare al sospirato 60 per cento (dove, ad esempio, si trova oggi la Germania). Il problema è che queste regole non sono, ragionevolmente, applicabili: l’Italia, per fare un caso, dovrebbe ridurre il debito di 4-5 miliardi di euro l’anno, con ripetute manovre lacrime e sangue, che, con tutta probabilità, aggraverebbero il problema.

Consapevoli del vicolo cieco, a Bruxelles hanno via via vestito le regole del Patto di codicilli e procedure interpretative, che dessero qualche possibilità di manovra. Ne è uscito un mostro: un volume di spiegazioni, interpretazioni, esempi che arriva a 108 pagine. E che è contestatissimo da plotoni di economisti. Perché le regole di ortodossia finanziaria – per restituire loro un minimo di flessibilità – sono condizionate ad una serie di simulazioni statistiche che, ad esempio, dovrebbero accertare se quel disavanzo e quel debito sono dovuti ad una cattiva congiuntura (e quindi perdonabili) o, invece, ad una cattiva politica (e allora niente scuse). Per gli appassionati della materia, è la differenza fra disavanzo nominale e disavanzo strutturale. Ma le simulazioni statistiche sono sempre discrezionali e, spesso, non credibili (secondo Bruxelles, l’Italia non potrebbe avere una disoccupazione sotto il 9 per cento). Da qui la polemica, contro le regole a cui dovrebbe attenersi la Commissione, che conducono da anni gli economisti di sinistra, convinti che si tratti di una ricetta per la recessione e che, ora, è stata ripresa con vigore, in Italia, dagli economisti vicini alla Lega, come Bagnai.

CHE VUOL DIRE SEMPLIFICARE?

Semplificare, allora. Ma la parola ha due significati diversi, a seconda della collocazione geografica di chi la pronuncia. A Madrid, a Roma, ad Atene significa restituire ai governi la possibilità di varare politiche anticicliche: spendere di più per sostenere l’economia in recessione, incassare più tasse, quando l’economia si è ripresa. Ad Amsterdam, a Berlino significa avere la possibilità di impedire ai reprobi di nascondersi dietro la complessità delle regole e, finalmente, punirli davvero. Non come è avvenuto meno di due mesi fa, quando la procedura d’infrazione contro l’Italia, che sembrava scontata, è stata alla fine accantonata.

Proprio l’Italia ha un posto centrale in questa partita. Perché è l’unico paese nuovamente in recessione, ma, in realtà, in ristagno da decenni. Contemporaneamente, però, è quello che tutti guardano con sospetto: perché ha un debito record – il singolo elemento di maggior fragilità per la stabilità finanziaria dell’eurozona – e perché, con il megafono di Salvini, sbeffeggia il coordinamento con gli altri paesi europei e si ripropone, dichiaratamente, di sforare i limiti. In questo senso, il governo uscente è l’alibi più corposo, dietro il quale si possono mascherare i paesi del Nord per negare politiche espansive: “Rilassare le regole? Figurarsi cosa farebbe Salvini”.

IL COLORE DI CHI GOVERNA A ROMA

Fra le due posizioni in Europa, si tratta di muoversi su un crinale strettissimo. I risultati, però, sarebbero importanti. Ad esempio, si potrebbe ottenere lo scorporo delle spese per investimenti dal computo del disavanzo, dando una boccata d’ossigeno alla ripresa. Ma ogni passaggio, quando si rimette mano alle regole, è delicatissimo (lo abbiamo visto con la legislazione sui salvataggi bancari, dove le preoccupazioni italiane non hanno avuto spazio) e l’Italia deve far valere tutto il suo peso. Conta, infatti, anche, parola per parola, come le cose vengono scritte. Ecco perché, piuttosto che un governo elettorale o anche istituzionale, è meglio che a discutere ci sia un governo solido e di piena legittimità politica. Anche il colore conta, però. Di fronte ai timori, alle diffidenze, agli scetticismi dei governi rigoristi è importante che Roma fornisca garanzie credibili che non approfitterà di regole più aperte per forzare spesa facile, come far passare sussidi per investimenti. Da questo punto di vista, il Pd, con solidi e storici agganci nell’Europa che conta, è molto più spendibile di Salvini, emarginato dalle elezioni europee.

IL DOSSIER MIGRANTI

A conclusioni analoghe porta l’esame dell’altro dossier – anche più esplosivo – che la Commissione presieduta da Ursula von der Leyen dovrà affrontare nei prossimi mesi: i migranti. O, meglio, la riforma del diritto d’asilo. Lentamente, si sta diffondendo la consapevolezza che un sistema in cui le ondate di migranti si scaricano e si fermano nei paesi di primo sbarco, consentendo ai paesi di secondo arrivo di rispedirli al mittente (così recitano le regole del trattato di Dublino) non è a lungo sostenibile per i paesi – come Italia, Grecia, Spagna – che ne sopportano il peso. Matteo Salvini sosterrebbe che è il risultato della politica del pugno duro che ha applicato verso gli sbarchi, coinvolgendo gli altri paesi. Ma, senza altrettanto clamore, gli altri paesi erano già coinvolti in proprio. Questo dicono le cifre. Finora, nel 2019, 4.300 persone sono sbarcate in Italia. I “porti chiusi” (alle Ong) di Salvini ne hanno fermati, forse, qualche centinaio. Nello stesso periodo, ne sono arrivate 24 mila in Grecia, 16 mila in Spagna. L’anno scorso, la Francia ha ricevuto 120 mila richieste d’asilo, il doppio di quelle ricevute dall’Italia.

Il problema di una redistribuzione dei migranti, dunque, esiste e non riguarda solo l’Italia. E’ un altro dibattito delicatissimo, in cui ogni passaggio è cruciale. A Bruxelles stanno considerando la possibilità di usare la leva finanziaria per sventagliare l’accoglienza. Come? Dando incentivi finanziari a chi accoglie i migranti e togliendo finanziamenti comunitari a chi li rifiuta. In termini più espliciti, dando soldi a Roma, Madrid, Atene. E togliendoli a Budapest, a Varsavia e a Bratislava. Una ipotesi esplosiva per gli equilibri europei e, per questo, è tanto più importante capire chi sono gli alleati. Anche qui, molti più margini di manovra per un governo giallorosso che per un governo legato alla solidarietà con Orbàn e Le Pen.

Maurizio Riccidi Maurizio Ricci   
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