"Zitti e buoni!”. Draghi mette a tacere i partiti e ribadisce che il governo “tiene la barra dritta”
Il cdm vara all'unanimità i decreti contro il caro-bollette, mettendo in campo 8 miliardi per questo obiettivo e anche per scongiurare frodi sui bonus edilizi, a cominciare dal Superbonus
Il cdm vara all'unanimità i decreti contro il caro-bollette, mettendo in campo 8 miliardi per questo obiettivo e anche per scongiurare frodi sui bonus edilizi, a cominciare dal Superbonus. Il premier si concede una sola battuta (“Ministri bravi, un governo bellissimo”) e non nega le divergenze che l’hanno portato, l’altro giorno, a minacciare la crisi di governo contro partiti riottosi e rissosi, ma tiene il punto: “Ho ricordato alla maggioranza il nostro mandato, indicato dal presidente Mattarella. L'ho detto con il massimo rispetto. Possiamo rivedere le modalità di confronto, ma teniamo dritta la barra del timone” è il messaggio.
Nella conferenza stampa post-Cdm, comunque, Draghi cerca di chiudere sulla questione ‘politica’ che ha sollevato dopo che il governo era andato sotto per quattro volte sul dl Milleproroghe e la dura reprimenda fatta dal premier ai partiti. Il presidente del Consiglio non smentisce né sminuisce il problema, ma sparge anche ottimismo, senza mostrare tentennamenti. Nel governo, ammette, “ci sono diversità di opinioni, è successo. Ieri ho ricordato il mandato del governo, creato dal presidente della Repubblica per affrontare certe emergenze e conseguire certi risultati. Sono sicuro che riusciremo a raggiungere i risultati”. Certo è possibile rivedere “certe modalità di dialogo e confronto”, come chiesto da alcune forze politiche, ma occorre tenere “la barra del timone dritta”, appunto. Che è anche come dire: alla fine decido io, adeguatevi. Come riconosce il ministro Patuanelli, “l’altro giorno Draghi era oggettivamente arrabbiato”…
Torna il sereno dunque? Questo è tutto da vedere, visto anche che poco dopo la fine della conferenza stampa Matteo Salvini twitta: “Dopo due mesi di lotta della Lega, oggi un primo intervento da 7 miliardi per aiutare famiglie e lavoratori a pagare le bollette di luce e gas. Chi la dura la vince!”, un modo per rivendicare alla Lega, e solo alla Lega, la manovra sulle bollette. Nelle prossime settimane il premier vedrà il leader della Lega e gli altri, come accade “regolarmente”, sottolinea, ma a tutti ribadirà che non ha intenzione di vedere l'azione dell'esecutivo rallentata da bandierine o toni da campagna elettorale. E questo a maggior ragione in un momento cruciale per l'attuazione del Pnrr, che non ammette rallentamenti per le riforme ancora tutte da fare. Il via libera alle tre deleghe (fiscale, concorrenza e codice degli appalti) deve arrivare “ora” pressa i partiti, che hanno idee molto diverse su tutte e tre (specie la Lega), ribadisce. Su questo, dice chiaramente, non saranno ammessi deragliamenti: “Tutto quello che è necessario per arrivare all'approvazione dei provvedimenti necessari a conseguire gli obiettivi del Pnrr il governo e io stesso lo faremo”. Un passaggio che deve essere affrontato con compattezza e unità, la stessa che serve nella fase di uscita dal Covid. Insomma, almeno per ora, partiti a cuccia, “zitti e buoni” modello Maneskin.
Del resto, che dopo Draghi ci siano solo le elezioni sembra chiaro a tutti, ma è bene ricordarlo – si fa notare anche dal Quirinale. Non è il momento di aprire una lunghissima campagna elettorale in vista delle elezioni politiche che a regime sono previste nella primavera del 2023.
E' il momento di lavorare, come e più di prima. La sfuriata del premier ai partiti è stata anticipata, condivisa ed approvata dal Quirinale che segue con preoccupazione sia l'incattivirsi della crisi ucraina che la fragilità della maggioranza di governo, ma – è il ragionamento - dopo Draghi non c'è solo il nulla ma anzi solo la catastrofe.
Draghi sembra che parli dell’Ucraina e invece…
“Dobbiamo tenere aperte tutte le possibilità di dialogo in qualunque formato” dice Mario Draghi e sembra che stia parlando del suo – burrascoso – rapporto con i partiti che reggono le forze della maggioranza, di quello scontro che, l’altro giorno, è quasi giunto al diapason del non ritorno e, invece, sta parlando ‘solo’ della crisi in Ucraina. Del resto, sbotta un fan di Draghi, un esponente centrista di peso che però preferisce non essere nominato, “uno che annuncia che Putin lo ha chiamato a Mosca per dirimere una crisi internazionale, potenzialmente esplosiva, una quasi-guerra, vuoi che si metta davvero paura di due o tre leader di partito?!”. Ecco, Draghi ha riacquistato sicurezza e, nella conferenza stampa che tiene ieri sera, dopo il cdm che ha varato le misure contro il caro bollette e il caro energia sembra proprio che i ‘venti di guerra’ – quelli tra Draghi e i partiti della maggioranza – siano tutti rientrati. Il fuoco, però, cova sotto la cenere. Sul Milleproroghe il governo metterà la fiducia, altrimenti il decreto rischia di decadere o finire di nuovo impallinato.
Nel governo “ci sono delle diversità di opinioni”, ammette il premier usando un eufemismo, e quello “che ho fatto ieri è ricordare il mandato di questo governo, creato dal Presidente della Repubblica per affrontare certe emergenze e conseguire certi risultati e io sono certo, sicuro, che li conseguiremo”. L’unica, vera, concessione ai partiti, e alla loro famelica volontà di auto-affermazione, è l’accettazione del “cambio di metodo” nel lavoro, ma – mette le mani avanti – “bisogna chiedere anche all’altra parte (e qui è chiaro che, per Draghi, i partiti sono una sorta di controparte, non certo un alleato o un sostegno, ndr.) per arrivare “a conseguire gli obiettivi del Pnrr”. “Certamente lo intensificheremo (il cambio di metodo, ndr.) a partire dai prossimi giorni”, è la concessione, “su questo non c’è alcun dubbio”. Traduzione: i dossier arriveranno prima sul tavolo dei capodelegazione, il raccordo con i capogruppo della maggioranza sarà più stretto, il Parlamento sarà più ascoltato. Ci saranno anche nuovi incontri con i leader di partito, dopo la riunione burrascosa di giovedì, ma “li vedo regolarmente, non devo fare nessun sforzo particolare” prova a minimizzare Draghi.
E l’obiettivo resta sempre quello, la filosofia del ‘fare’, in questo caso “approvare i provvedimenti necessari a conseguire gli obiettivi del PNRR”. “La barra del timone”, puntualizza, “resta dritta”.
Draghi, anzi, vuole persino accelerare: delega fiscale, decreto concorrenza e il codice appalti è “il blocco principale dei provvedimenti” da avviare a cui seguiranno “poi quelli sulla transizione ecologica-digitale e le infrastrutture”.
“Governo bellissimo!”. Altro che rimpasto…
Poi, Draghi si concede anche una battuta, tanto per far capire che non tira alcuna aria di rimpasto, specie dei suoi ministri più discussi e criticati. “Avete visto che bravi ministri che ho? È un bellissimo governo”, dice, sorridendo, con una battuta, riprendendo la parola dopo averla data al titolare del Mef, Franco, della Transizione ecologica, Cingolani, e dello Sviluppo, Giorgetti.
Il quale, tra l’altro, tira pure una stilettata a Salvini e ai suoi continui distinguo dal governo: “La politica è l'arte di rendere possibile ciò che è desiderabile. Il mio segretario esprime un desiderio. Io cerco di interpretarlo e renderlo possibile in quello che è l'attività di governo”.
Il clima che si respira, nelle battute confidenziali dei ministri interpellati, è quello dei larghi sorrisi e i commenti celebrativi sulle misure si sprecano.
Letta e Salvini plaudono subito, sia al merito delle misure che al metodo seguito da Draghi: il primo è soddisfatto dell’intervento contro il carovita, il secondo twitta “chi la dura la vince!”.
La ricostruzione dello scontro tra Draghi e i partiti
Ma cosa era successo appena giovedì scorso? Proviamo a ricostruirlo con un po’ di retroscena.
“Il governo è qui per fare le cose, altrimenti non si va avanti. Basta giochetti. Datevi una regolata. Lo ha voluto il presidente Mattarella (che, non a caso, ieri sera Draghi ha visto al Colle, ndr.)”. Lo scudiscio di Draghi colpisce tutti, ma i partiti replicano da par loro, in politichese: “Vogliamo un cambio di metodo”. Draghi non si trattiene: “Siamo qui per essere idealisti, non realisti. Il governo deve fare le cose, il Parlamento garantire i voti”, dice il premier, privo di finezze politiciste, che insiste: “Dovete essere capaci di garantirmi i voti della maggioranza”. Già, facile a dirsi, meno a farsi. La riforma della giustizia divide i partiti. Sul tetto al contante il centrodestra si è riunito. I 5Stelle volevano persino mettere fine al Green Pass, quando arriverà a scadenza, è dovuto intervenire Conte in persona per farli ragionare. I provvedimenti viaggiano stancamente tra le commissioni, si affastellano, non vanno in Aula: concorrenza, delega fiscale, appalti e, appunto, Milleproroghe. Insomma, la situazione è esplosiva e i parlamentari – di tutti i partiti – dopo aver assestato un colpo ferale alle ambizioni di Draghi che voleva salire al Colle, ora gli vogliono rendere la vita impossibile. “Ci sta antipatico”. “Vuol fare tutto lui”, “ma chi si crede di essere?” i commenti più gentili dei peones a Montecitorio.
Lo scontro, però, tracima e deflagra anche con i vertici dei partiti che stentano a tenere a freno i loro ed è di quelli al fulmicotone. Scoppia all’improvviso, in una gelida serata romana, con Draghi che, appena rientrato da Bruxelles, di ritorno dal Consiglio Ue, striglia i partiti sulla tenuta della maggioranza e quelli che gli rispondono a brutto muso. Per farsi forte e garante di una protezione in alto loco, il premier, nel pomeriggio, si precipita dal Capo dello Stato, Sergio Mattarella, che gli dice “vai avanti, sono con te”, ma è preoccupato, per usare un eufemismo, e c’è chi dice che lo ha chiamato lui, a riferire, con la scusa di aggiornarlo sui venti di guerra in Ucraina. Dal Colle, in ogni caso, come è ovvio, non esce un fiato, ma l’incontro imprevisto parla da sé. C’è persino chi mette in giro la voce – del tutto priva di fondamento – che entrambi, Draghi e Mattarella, sventolino il drappo rosso delle elezioni anticipate, ma i partiti – tutti – stavolta non si mettono paura, tirano dritto. Non che Draghi sia da meno. Il premier riunisce i capodelegazione delle forze di maggioranza nella cabina di regia e, a brutto muso, sventola tutta la sua irritazione perché il governo, la notte prima, è andato sotto non una, ma quattro volte, sul decreto Milleproroghe, anche se solo in Commissione (Bilancio e Affari costituzionali), alla Camera dei Deputati, con votazioni a geometria variabile che vedono il centrodestra, di maggioranza e di opposizione, ricompattarsi come d’incanto, sulle modifiche relative ai fondi Ex Ilva e soprattutto sul tetto al contante, che passa, per un solo voto, da mille a duemila euro. Per il premier, la misura è colma. Il decreto bollette, che si doveva pure discutere e che tutti avevano definito urgente perché riguarda la proroga di misure su oneri di sistema e l’Iva al secondo trimestre, passa in cavalleria, finisce in secondo piano. Se ne occuperà il cdm di oggi, forse, ma neppure è sicuro. La riunione di ieri, invece, è “tutta politica”, dice chi vi partecipa. La verità è che il governo ne esce a pezzi, la strigliata di Draghi, e il battimuro dei partiti, non aiutano la maggioranza a ritrovare compattezza. La sintesi del caos che si sta impadronendo della coalizione viene da un ministro governista della Lega, il solito Giorgetti: “se i capigruppo non controllano i gruppi è grave, ma se li controllano e questo è il risultato voluto è peggio”.
I quattro temi su cui il governo è andato sotto
Ilva, contante, sperimentazioni animali, graduatorie scolastiche: il governo Draghi è andato sotto ben quattro volte sul decreto Milleproroghe nella notte tra mercoledì e giovedì. La maggioranza si spacca e si ricompone a geometrie variabili nelle commissioni riunite Affari Costituzionali e Bilancio della Camera dov'è in discussione il decreto Milleproroghe, ma a fibrillare è stato, come si è visto, il governo.
Sotto accusa il caso più eclatante, l'emendamento di Fratelli d'Italia - passato per 39 voti a 38 - che lascia la soglia del contante a 2 mila euro anziché scendere a mille per un altro anno, fino al primo gennaio 2023. Sul tema si ricompatta la destra, con il sì di Forza Italia e Lega. Esulta Matteo Salvini: "È la vittoria della Lega e del centrodestra unito". Gli risponde il leader M5S e alleato di governo Giuseppe Conte: "Siete paladini della legalità a giorni alterni. Così si favorisce l'economia sommersa".
Una deflagrazione politica, oltre che una forzatura economica. E un segnale da non sottovalutare per Palazzo Chigi che teme il ripetersi di imboscate simili - con voti compatti in Consiglio dei ministri e poi un liberi tutti in Aula - anche su altre cruciali riforme collegate al Pnrr: giustizia, concessioni balneari e delega fiscale. Sulle spiagge la Lega in Parlamento è più vicina a Fratelli d'Italia che alla compagine di maggioranza e punta a congelare le gare fino alla mappatura di tutte le concessioni, "che può durare anche cinque anni", sibila l'ex ministro Centinaio.
Ma poi c’è anche la mina catasto che può terremotare la riforma del fisco: la Lega chiede lo stralcio delle norme sulla mappatura, anche qui, per sedersi a discutere del resto. Ecco perché il governo, rispetto a qualche settimana fa quando evitava di esprimere pareri rimettendosi alle aule parlamentari, sul Milleproroghe si è esposto con pareri contrari, finendo però battuto quattro volte. "Un record per una notte su un singolo provvedimento" per i parlamentari di lungo corso.
Se il contante ha ricompattato Lega-Fi-Fdi, sull'Ilva tutti i partiti della maggioranza - tranne la Lega - hanno votato per abrogare l'articolo 21 del Milleproroghe che dirottava 575 milioni del miliardo sequestrato ai Riva, ex proprietari dell'acciaieria di Taranto, alla decarbonizzazione dell'attuale gestione anziché alla bonifica delle aree esterne alla fabbrica. Il tweet di Conte pare abbia mandato su tutte le furie Draghi: "Ora i 575 milioni dovranno essere investiti a tutela dell'ambiente e della salute, salvaguardando oltre mille lavoratori". Il Pd avrebbe provato a mediare, ma poi ha votato per l'abrogazione.
Poi c’è l'estensione fino al primo luglio 2025, anziché di soli sei mesi come voleva il governo, della sperimentazione animale negli studi sugli xenotrapianti d'organo e sulle sostanze d'abuso, proposta dal Pd, è stata bocciata da M5S e Leu. E infine l'aggiornamento delle graduatorie per le supplenze: proposto da Forza Italia con l'appoggio del governo, è stato fermato da tutti tranne la Lega, perché "rischiava di tenere fuori i precari". Anche le due relatrici al provvedimento - Daniela Torto(M5S) e Simona Bordonali (Lega) - si sono spaccate: Torto contraria a sperimentazione animale e contante, Bordonale favorevole alle graduatorie e contraria sull'Ilva. Un tutti contro tutti che fa tremare il governo.