[Il retroscena] Conte minaccia le dimissioni, ma solo Mattarella riesce a fermare Salvini
Luigi Di Maio chiede a Matteo Salvini di riscrivere la Manovra per togliere il condono penale che fa inorridire Beppe Grillo, ma il vicepremier leghista s’impunta. “Era tutto concordato”. I pentastellati si accontentano di un vertice chiarificatore, ma il “Capitano” tiene il punto. Conte si impone e fa da sponda: “Convocare consigli dei ministri è compito del premier e sabato ce ne sarà uno. Il vicepremier? Se è impegnato non importa”. Tutti i ministri leghisti annunciano forfait e il professore minaccia le dimissioni. La tensione sale alle stelle e gli altri partiti del centrodestra sperano in una svolta, che non ci sarà. Il Capo dello Stato sblocca la situazione con un avviso: se il governo non cambia il testo, niente controfirma. Nella notte il leader leghista fa rientrare l’emergenza

Le “manine”, secondo Matteo Salvini, non esistono così come “gli alieni e le scie chimiche”. Con parole dure, sprezzanti, il vicepremier e segretario leghista ha respinto il tentativo dei Cinquestelle di riscrivere la Manovra per sfilare l’articolo più controverso, il nove, che consente il rientro dei capitali dall’estero e l’impunità per chi aveva portato i soldi fuori dall’Italia. La prima a parlare di “problema politico” all’interno della maggioranza era stata la viceministro all’Economia Laura Castelli, finita lei stessa nel mirino dei suoi compagni di partito per non essersi accorta di cosa stava per capitare. Gli uomini vicini a Luigi Di Maio, mentre lo spread si impennava e Giovanni Tria si preparava a ricevere la nota dell’Ue, hanno provato a diffondere ottimismo: “Ci sarà un nuovo consiglio dei ministri per riscrivere la manovra al massimo sabato”.
Controreplica della viceministra
Niente da fare. “Macché, il testo era condiviso da tutti, ne abbiamo parlato molte ore e quindi non ci sarà alcun consiglio dei ministri bis”, ha risposto a stretto giro il leader leghista. Controreplica della viceministra, che abbassava le pretese: “Basta un vertice politico tra Salvini, Di Maio e Conte in cui si chiariscano”. Dalle manine alla manata il passo è breve: “Vertice sul decreto fiscale? No, son qua. Domani inizio a Cles la mattina e finisco a Trento a tarda notte. Sabato mattina sono a Cernobbio. Domenica ho il derby, entro in clima derby e non posso occuparmi di altro…”, chiude il vicepremier. I leghisti tengono il punto. “Nessuno ha fatto il furbacchione, né i politici né i tecnici, che sono di alta professionalità. La collega Laura Castelli così come me, ha ricevuto i testi già venerdì scorso. Tutti i testi erano disponibili già da venerdì”, ha rivelato il viceministro leghista all’Economia, Massimo Garavaglia. Ecco perché i leghisti non sono disponibili ad alcuna marcia indietro. Da Via Bellerio segnalano che i fronti sono più numerosi di quanto appare: “Non c'è solo la questione del condono fiscale, ma c’è il condono sull’abusivismo edilizio a Ischia, il contratto di servizio con le Fs, l’alta velocità tra Brescia e Padova e fino a Trieste; il fondo per le televisioni...”. C’è anche che nel fine settimana i pentastellati avranno una kermesse a Roma e avevano bisogno di arrivarci senza essere sotto accusa.
La Lega ha un secondo forno
E’ stato il Capitano leghista a dare come linea ai suoi quella di “non mollare nemmeno un centimetro”: pensa che i Cinquestelle, “forse eterodiretti”, stanno “venendo meno ad un accordo preso; se accettiamo questo tradimento, dovremo accettare tutto”. Non è questo il destino che il leader del Carroccio ha in mente il suo partito. La Lega ha un secondo forno, quello con Forza Italia e Fratelli d’Italia, rimasti non a caso muti e immobili di fronte allo spettacolo offerto dal governo, e sembra avere tutto l’interesse a farlo pesare. “Salvini se ne faccia una ragione, è al Governo con il Movimento 5 stelle e non con Silvio Berlusconi. Un testo con lo scudo fiscale, magari per aiutare capitali mafiosi, è indigeribile e invotabile per noi. Ognuno rimetta le manine a posto e torniamo sul giusto binario intrapreso fino a ieri”, è la dichiarazione di guerra recapitatagli dal sottosegretario ai Trasporti Michele Dell'Orco, esponente M5s.
Cinquestelle all'angolo
Quando la frittata sembrava fatta, i Cinquestelle in un angolo, è spuntato da Bruxelles, dove si trovava coi suoi omologhi, Giuseppe Conte. Il presidente del consiglio ha provato a dare manforte ai pentastellati, rivendicando - per la prima volta, con forza - il suo ruolo. “Il presidente del Consiglio sono io e il Consiglio dei ministri si svolgerà sabato. Se ci sarà Salvini non lo so: in questo momento c’è la campagna elettorale, è al Nord, non so se farà in tempo a rientrare”. Il professore, consultato il Quirinale che avrebbe considerato sin dall’inizio irricevibile quel passaggio del decreto, ha provato a premere il pulsante “reset”, si è impegnato così a modificare la manovra che pure aveva avuto un primo via libera da tutte le forze politiche e poi è stata disconosciuta da Luigi Di Maio. A convincere quest’ultimo a puntare i piedi a costo di far saltare il governo sarebbe stato Beppe Grillo in persona.
La resa dei conti nel Cdm
Il vicepremier leghista, però, non si è lasciato impressionare, né ha abbassato la testa di fronte alla rivendicazione del premier. “Apprezzo l’operato di Conte per quello che sta facendo, lo chiamerò”, gli ha risposto a distanza. Ma non sarà al consiglio dei ministri, non siederà al tavolo da invitato. “Sabato ho già degli impegni: prima con Coldiretti e poi con i miei figli, che sono anche loro importanti. Comunque ne parleremo”. Fallito anche questo tentativo, non rimaneva che lo scontro diretto, senza finzioni. “Adesso il tema è politico e se è un tema politico ha bisogno di un chiarimento politico. La sede giusta è il Cdm ma possiamo anche fare un vertice prima. Lo spread è a 327 perché i mercati pensano che il governo non sia più compatto”, ha detto l’altro vicepremier in diretta Facebook. Il risultato è che la situazione si è ulteriormente aggravata: Salvini ha chiesto a tutti i ministri leghisti di non farsi vedere sabato. Gianmarco Centinaio, Erika Stefani, Lorenzo Fontana e Giulia Bongiorno hanno già fatto sapere al sottosegretario alla presidenza del consiglio, Giancarlo Giorgetti, che sono pronti a disertare.
La resistenza dei leghisti rispetto alle pretese pentastellate di cambiare la manovra per sfilare il condono sta fermando tutto. Garavaglia, vice ministro all’Economia, si è rimangiato a sua volta un articolo che interessava gli altri, importantissimo per alcune Regioni del Sud Italia. Stesso copione. “La norma che equipara i costi delle assicurazioni Rc Auto del Sud a quelle del Nord? Mai vista, né condivisa. Quindi, il problema non esiste”. Ideata per abbassare le tariffe in Campania, Calabria e Sicilia, rischiava di comportare aumenti nelle aree settentrionali. “Il tema e la misura sull’Rc Auto è stata discussa nella riunione sulla manovra la settimana scorsa ed è stata inviata agli alleati della Lega martedì mattina”, rispondono dal Movimento 5 stelle. Ma la paralisi interessa anche le nomine. Ieri doveva essere il giorno dei direttori Rai. Salvini e Di Maio avevano addirittura programmato un incontro tra di loro per un “accordo politico”. Poi le cose sono andate come sono andate. Rinviato il Consiglio di amministrazione, rinviate le nomine dei direttori. In questo clima di veti incrociati, il premier ha sentito all’ora di cena i suoi due vice, li ha richiamati all’ordine e ha minacciato di dimettersi: “Se continuate così, io me ne vado. Non erano questi i patti”. Su suggerimento del Quirinale, preoccupato per la reazione dei mercati, ha poi smentito di averlo fatto.
Il muro contro muro
Lo scambio tra Presidenza del Consiglio e quella della Repubblica ha dato qualche frutto. Qualcosa si è mosso e dal muro contro muro del mattino, il leader della Lega è passato ad una dichiarazione possibilista prima di andare a letto: “Basta litigi, lavoriamo e risolviamo gli eventuali problemi parlando, non litigando”. A ridurre a più miti consigli Salvini sarebbe stato un’altra circostanza: il Capo dello Stato sarebbe contrario sin dall’inizio al condono penale voluto dalla Lega e si sarebbe detto pronto a bloccarlo lui stesso, rifiutandosi di controfirmare il decreto. Qualcuno sostiene che Di Maio lo sapesse da mercoledì, quando è andato in tv e se l’è presa con le “manine”. “Se serve che Salvini ci sia, Salvini ci sarà. Ma gli amici di M5s devono darmi una mano, dobbiamo andare avanti e non indietro, servono strade, porti, autostrade, ferrovie”, ha promesso il capo leghista a notte fonda.