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Conte cerca lo strappo con Draghi e arriva alle minacce. La reazione del premier

Draghi in aula su armi e guerra il 19 maggio. Ma il Parlamento è già stato informato tre volte in 73 giorni. Palazzo Chigi risponde così alle ormai incessanti richieste del leader pentastellato. Tutta la strumentalità della posizione dell’ex premier

Claudia Fusanidi Claudia Fusani   

Il giorno dell’informativa al Parlamento sarà il 19 maggio. Non un giorno prima. E non prima che il Presidente del Consiglio Mario Draghi  voli a Washington per il bilaterale più importante e cruciale da quando è insediato a palazzo Chigi: quello alla Casa Bianca con il presidente Usa Joe Biden. “Spiace che il presidente Conte insista per una questione così infondata da sembrare pretestuosa” è il ragionamento di fonti tecniche di governo vicine al dossier Ucraina. Il quadro, infatti, in cui l’Italia fornisce il suo supporto alla Nato per sostenere la resistenza del popolo ucraino “non è cambiato” come il Parlamento ben sa avendo votato quasi all’unanimità il decreto Ucraina approvato dal Consiglio dei ministri il 26 febbraio scorso e convertito il 5 aprile. Non solo: in questi due mesi e dodici giorni il Parlamento è stato informato e aggiornato sul quadro di situazione ben tre volte: due volte il ministro della Difesa ha riferito al Copasir (Comitato di controllo sui servizi segreti) in occasione dei due decreti interministeriali che hanno rinnovato l’impegno di armi, uomini e mezzi perla missione; una volta, due giorni fa, sempre il ministro Guerini ha riferito per tre ore davanti alle Commissioni Difesa di Camera e Senato.

 

Tre volte in 72 giorni

Si può ben facilmente dedurre che il Parlamento è stato tempestivamente e correttamente informato su tutto quello che sta accadendo lungo il confine est della Nato. Non solo: il Parlamento, seppur in forma ridotta per tutelare il segreto, conosce anche la tipologia di armi inviate a Kiev. Sempre Guerini l’ha spiegata al Copasir dove siedono ben due parlamentari 5 Stelle, Federica Dieni (vicepresidente) e Maurizio Cattoi che si sono ben guardati di assecondare le richieste del loro Presidente. 

Purtroppo però la novella di Conte che punta i piedi perchè “Draghi deve venire in Parlamento a riferire sull’evoluzione della guerra in Ucraina”, a dare una “nota di indirizzo su come il governo italiano stia lavorando sul piano diplomatico” e debba anche “sottoporsi al voto”, non sembra destinata a sfumare. Anzi: a ben vedere lanciare teorie improbabili sulle armi “difensive e offensive, letali o non letali”,  gli garantisce visibilità e interviste.  E visto che il 64% degli italiani si augura che Putin perda la guerra ma il 46% non vuole inviare armi, è evidente che l’ex premier punta a capitalizzare consenso. A diventare leader di quel pezzo di paese che è contro gli Usa e contro la Nato e che nuota a destra come a sinistra. Un sentiment ben chiaro anche a Matteo Salvini che prova a fare la stessa cosa ma senza esagerare. Il paradosso è che i più a destra di tutti - Fratelli d’Italia - sono fuori da questa ricerca di dividendo elettorale: Giorgia Meloni è leader dei Conservatori europei che però, essendo un’invenzione del polacco Morawievsky, sono i più filoucraini di tutti.

Ecco qua come far diventare una baruffa di cortile a suon di bandierine alzate, una faccenda dannatamente seria  come il conflitto ucraino.

 

Conte e le “quasi” minacce

Quando ieri Conte ha saputo che Draghi riferirà in Parlamento “ma alla data prevista del 19 maggio quando è già fissato un question time”, ha alzato ancora di più la voce. In una sorta di trance agonistica che, per qualcuno, è anche la sfida dell’ex premier al premier che lo ha scalzato da palazzo Chigi. Serve “maggiore accortezza nei confronti della dialettica parlamentare” ha avvertito,  altrimenti si creano “condizioni critiche” che “non giovano” al governo stesso. Non chiamatela minaccia. Di sicuro gli assomiglia molto..

Il leader del Movimento è in un crescendo di insofferenza da un paio di mesi: le armi all’Ucraina (su cui ha cambiato idea perchè due mesi fa aveva votato il decreto) e la spesa publica per le armi, si deve difendere da illazioni sulla gestione dell’intelligence (il caso “Dalla Russia con amore” e il caso Barr), nell’ultima settimana anche il caso sul bonus al 110%, un misura che Draghi ha già definito iniqua e soprattutto uno spreco: ben 26 miliardi. Magari per rifare le terrazze al piano attico di palazzi residenziali. 

Torna l’asse giallo-verde

La missione negli Stati Uniti, insomma, diventa ennesimo terreno di fibrillazione nella maggioranza. Con il Movimento in prima fila, ma anche con i distinguo della Lega che ribadisce la necessità di puntare sulla diplomazia, anzichè sulle armi, per “convincere le parti a sedersi attorno a un tavolo”. I 5 Stelle cercano l’appoggio della Lega. Ma in realtà quelle di Salvini sono richieste assai più blande.  A differenza di Conte. “Sarei molto deluso” - ha ripetuto ieri -  se Draghi  dovesse andare negli Usa senza passare dalle Camere. Il Parlamento può riunirsi anche di domenica, lo ha fatto con me in tempo di pandemia, può farlo in tempo di guerra”. In realtà all’epoca il premier faceva molte dirette Facebook all’ora di cena, monologhi che duravano minimo un’ora. IL voto del Parlamento servirebbe, nel ragionamento del leader 5S, anche al premier, per avere “un mandato più forte”. 

 

E’ già tutto scritto. E approvato

Il Movimento vorrebbe addirittura un nuovo voto dell’aula. Una sorta di fiducia a Draghi e al suo governo. Però forse basterebbe leggere con attenzione ciò che hanno approvato nel decreto del 26 febbraio con cui si decise, oltre la necessità di diversificare le fonti energetiche, anche di sostenere le sanzioni in linea con i partener europei e sugli aiuti all'Ucraina sul fronte umanitario, finanziario e anche militare.

I due decreti interministeriali firmati da Guerini, Franco e Di Maio a marzo e in aprile fanno  riferimento al decreto Ucraina approvato dal Cdm il 25 febbraio scorso (convertito il 5 aprile) e vi si legge di “forniture alle forze armate ucraine, di materiale e piattaforme concepite per l’uso letale delle forza per contribuire e rafforzare la resilienza delle forze armate ucraine, per difendere l’integrità territoriale e la sovranità del’Ucraina”. Più che risolta quindi la questione posta da Conte circa le armi difensive o offensive. Non solo: l’articolo 2-bis dello stesso decreto prevede che “fino al 31 dicembre 2022 è autorizzata la cessione di mezzi, materiali ed equipaggiamenti militari in favore delle autorità di governo dell’Ucraina”. Infondata quindi anche la richiesta di un nuovo passaggio parlamentare. Di più: la risoluzione approvata a larga maggioranza da tutto il Parlamento tranne Sinistra italiana, assicura “la cessione di apparati e strumenti militari che consentano all’Ucraina di esercitare il diritto alla legittima difesa e di proteggere la sua popolazione”. Carri armati, missili, droni-bomba e altro sono catalogate come armi letali ma anche difensive. In base alle norme del diritto internazionale le uniche armi offensive sono quelle di distruzione di massa. Le bombe a grappolo, ad esempio. Quelle lanciate dai caccia russi sulle abitazioni civili di Mariupol, Karkhiv, Bucha. Di più: con l’ombrello dell’articolo 51 del Trattato Onu, l’Italia è entrata in guerra in Libano, in Iraq e in Afghanistan. Un altro abbaglio di Conte.

I costituzionalisti con Conte. Pochi

Poi ci si mettono anche i costituzionalisti e qualche altro docente e accademico qua e là. Tre i temi del dibattito: la scelta di entrare in guerra “in violazione della carta” (tacendo che ci sono ben tre articoli che tutelano l’uso delle armi e la guerra in difesa della patria); il Parlamento “esautorato” (in 73 giorni il governo ha riferito  tre volte); la stranezza di usare i decreti “interministeriali, strumento inedito” quando in realtà il loro uso è assai diffuso.

Quello di Conte è stato un crescendo di richieste sul tema armi e pace. Prima il 2% del Pil in armi, una spesa “ insostenibile” che sarà invece sostenuta diluita in sei anni anzichè due. Poi “l’obbligo” di informare il Parlamento, senza rendersi conto che è già accaduto tre volte. Quindi si sta parlando di un quarto aggiornamento. Più che legittimo e doveroso. Poiché l’ultima volta  è stata giovedì 5 maggio, si può bene aspettare il 19 maggio. Infine è diventato chiaro che Conte vuole proprio vedere la scena di Draghi in aula, sottoposto al voto come lui, leader del partito di maggiorana relativa ha chiesto.

 

In cerca dello strappo? 

Si può dire che il tema armi e pace sia abbastanza relativo. Il problema di Conte è Draghi. Una vera e propria sindrome che tre giorni fa lo ha spinto a dire: “Ho l’impressione che qualcuno voglia buttarci fuori dal governo”. Sbatteva anche i pugni sul tavolo. 

Per il momento, osservano nell'esecutivo, la richiesta di Conte è isolata. “Anche al nostro interno” spiegano fonti 5 Stelle. “In realtà - aggiungono - deve anche coprire quella ridicola situazione in Commissione Esteri dove l’anti Nato e pro-Putin Vito Petrocelli, già espulso dal Movimento, non vuole lasciare la presidenza”. E anche se Conte fosse in cerca dello strappo (uscire dalla maggioranza come gli consigliano di fare Travaglio e Di Battista), perderebbe almeno metà gruppo. Che vorrebbe dire soprattutto tanti soldi.  In ogni caso, chiarisce il ministro della Difesa Lorenzo Guerini, l'esecutivo già ora “sta lavorando a sostegno dell'Ucraina secondo le indicazioni che sono state date dal Parlamento” con quella risoluzione che “impegnava il Governo, tra le altre cose, a sostenere tramite l'invio di materiale militare, la resistenza ucraina, con sistemi d'arma difensivi: è quello che stiamo facendo, con gli invii che abbiamo fatto finora, insieme agli altri Paesi europei, insieme ai Paesi alleati e sulla base, appunto, del mandato che abbiamo ricevuto da Parlamento".

 

Prima il bilaterale a Washington

Il conflitto in Ucraina, e in particolare i “nuovi costi” da imporre a Mosca - mentre la Ue fatica a trovare una sintesi sulle sanzioni sul petrolio - saranno oggetto del faccia a faccia tra il premier e Joe Biden, come indicato dalla Casa Bianca, dopo che i leader del G7 ne avranno parlato anche con il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, nella videoconferenza convocata per domenica. Il premier nello studio Ovale ribadira' al presidente Usa il pieno sostegno alla linea comune presa a livello del G7, sottolineando allo stesso tempo, come ha fatto davanti al Parlamento europeo a Strasburgo, l'importanza di una azione europea che possa accelerare il processo verso il negoziato. La ricerca della pace, ripete Draghi in ogni occasione pubblica, è “la priorità” e l'inasprimento delle sanzioni ha l'obiettivo di portare Putin prima ad un “cessate il fuoco” e poi al tavolo del negoziato.

Claudia Fusanidi Claudia Fusani   
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