Berlusconi striglia i suoi: "Vi fate sentire poco". Ma ce l’ha con la Meloni che "non chiama mai"
I casi Ronzulli e Bestetti appesantiscono l’aria in Fi
Berlusconi è furibondo con i suoi perché ‘non incidono’ abbastanza sull’azione di governo. Oltre che, si capisce, con il capo del governo, Giorgia Meloni che rimprovera per interposta persona (“non mi chiama mai”). La capogruppo al Senato, Licia Ronzulli, annuncia voterà contro il decreto sui rave party perché contiene, all’art. 7, la possibilità di reintegrare i medici no-vax nei loro posti di lavoro. Il che, considerando che la Ronzulli è il n. 2 di Forza Italia, non è poco e segna una rottura non da poco nella compattezza della maggioranza di governo. Ma è un partito allo sbando, quello azzurro, con il coordinatore nazionale dei giovani di FI, Marco Bestetti, che – pur ringraziando il Grande Capo – sbatte la porta e se ne va, in dissenso con il Cav, anche se non capisce ancora se perché attratto dalle sirene di Fratelli d’Italia o del Terzo Polo. Forza Italia è un partito in ebollizione, più che in fibrillazione, cui la partecipazione al governo sembra fare più male che bene e che, a volte, si comporta più come un partito di opposizione. Ma vediamo punto per punto che cosa succede dentro FI.
Galeotto fu il pranzo ad Arcore. Berlusconi striglia i ministri: “dovete farvi valere di più”
Galeotto fu, tanto per cambiare, il pranzo ad Arcore. Nonostante le mozzarelle tricolore, il pranzo domenicale che ha visto il Cavaliere radunare lo stato maggiore azzurro a casa sua è andato male, malissimo. Rimbrotti a non finire, quelli arrivati alla squadra governativa azzurra durante il consueto, prammatico, pranzo natalizio.
"Al governo non vi fate sentire abbastanza" il rimbrotto ai suoi, più un avvertimento – fatto filtrare all’esterno - alla premier Giorgia Meloni: "Non chiama quasi mai, dobbiamo parlarci di più". Lo stesso consiglio recapitato mesi fa a Mario Draghi. E si è visto com'è finita: contatti sempre più sporadici, dissapori montanti, crisi. Elezioni. Con Meloni, l'unico scambio degli ultimi giorni è stato per parlare delle Regionali del Lazio: il Cavaliere preme per avere una rosa di nomi al più presto e preferirebbe un volto noto dei suoi, come candidato governatore: “se l'alternativa è un parlamentare sconosciuto di FdI, meglio il nostro Maurizio Gasparri". Una telefonata per parlare di beghe locali, insomma. Troppo poco. Berlusconi non si sente considerato come dovrebbe da quell’ingrata (sic) di Giorgia.
Al pranzo prenatalizio di Villa San Martino, l'ex premier ha radunato lo stato maggiore azzurro. Già l'inizio è stato ruvido. Alla delegazione dei ministri - c'erano tutti: il vicepremier Antonio Tajani, poi tutti gli altri ministri: Bernini, Casellati, Pichetto Fratin e Zangrillo - Berlusconi ha mostrato insoddisfazione per l’inizio di legislatura: "Non state portando avanti abbastanza le nostre battaglie", la strigliata. A cui ha risposto, timidamente, solo Tajani: "Ma no, presidente, non è così". Contro-replica del Cav: "Antonio, mi devi chiamare prima e dopo il Cdm". Un mezzo commissariamento, l'hanno letto gli altri commensali, soprattutto perché poi Berlusconi ha annunciato "avvicendamenti nel partito", partendo dai "coordinatori regionali".
L'ex premier ha anche speso diversi minuti a rilanciare l'idea "del Partito repubblicano". Un partito unico con dentro sia Lega che FdI, "come il Pdl", ma a ora un sogno che rischia di rimanere lettera morta. Sul punto ha mostrato dubbi Gianni Letta, tra i pochissimi della vecchia guardia ancora ammessi ad Arcore. Letta per il momento ha suggerito di procedere uniti, governo e partito, per evitare che capiti come col governo Draghi, quando le truppe parlamentari marciavano in una direzione e i ministri in un'altra. Ed è stato proprio per serrare i ranghi che Berlusconi ha deciso di chiamare a rapporto, ministri, viceministri-sottosegretari e vice-presidenti delle Camere (c'erano Giorgio Mulè e Gasparri) oltre naturalmente ai capigruppo fidati, Licia Ronzulli e Alessandro Cattaneo, con riunioni che diventeranno settimanali, per fare il punto e marcare stretti FdI e la premier. Insomma, il Cav vuole commissariare il governo.
Berlusconi vuole tornare a dettare l’agenda: giustizia, autonomia, manovra economica
Vuole dettare l'agenda, Berlusconi. Certo assicura "sostegno leale" all'esecutivo. "Guai a uscire dalla maggioranza, ma siamo il partito che ha più esperienza". Dunque, non conta solo esserci ma bisogna "incidere". A cominciare dalla manovra. FI non molla la presa sulle pensioni minime. "Ora le porteremo a 600 euro al mese", ma l'obiettivo di legislatura è "arrivare a mille". L'altro chiodo su cui battere è la "decontribuzione dei nuovi assunti". Per la giustizia, "faremo asse con la Lega. E Nordio mi ha rassicurato". Ma Berlusconi è scontento, anche qui, che un cavallo di battaglia come il garantismo sia diventato il cavallo di battaglia di un ministro eletto con FdI e che la voce degli azzurri, sulla riforma della giustizia, si sia sentita poco e male.
Inoltre, sulla riforma simbolo del Carroccio, l’autonomia differenziata, arrivano solo folate di gelo: per Berlusconi è da "valutare con prudenza" l'autonomia differenziata. "Non deve penalizzare il Sud, dovrebbe essere agganciata al presidenzialismo". In pratica, mentre la Lega spinge sull'autonomia differenziata, storico cavallo di battaglia del Carroccio, Forza Italia frena. "Valutiamo con prudenza", ammonisce Berlusconi. La riforma, aggiunge, "non deve in alcun modo penalizzare le Regioni del Sud Italia e dovrebbe essere agganciata a una riforma istituzionale in senso presidenzialista". Un'altra frecciatina alla Lega, certo, ma soprattutto una mano tesa all'elettorato del Sud. Non sfugge, del resto, all'ex premier, che il suo partito è proprio in alcune aree del Meridione - in Sicilia e in Calabria in particolare - che tiene ben saldo il suo consenso. Perderlo per avallare una proposta della Lega, senza fare qualche distinguo, non è il caso. "Dispiace che in FI ci siano voci che esprimono perplessità", replica stizzita la Lega. Ieri, poi, una “lunga e cordiale telefonata” di Berlusconi con il ministro Calderoli prova a dissipare nubi e attriti, ma non è che ci riesce moltissimo: “Ho avuto una cordiale telefonata con il ministro per gli Affari regionali e le autonomie, Roberto Calderoli. E' stata l'occasione per ribadire la comune determinazione a realizzare le riforme come l'Autonomia e il presidenzialismo. Forza Italia à sempre stata e continuerà ad essere a favore dell'Autonomia differenziata. Al tempo stesso, dobbiamo mantenere un equilibrio tra le legittime ambizioni delle Regioni più ricche d'Italia e le esigenze delle altre di mantenere livelli di servizi adeguati. Pertanto, è necessario stabilire i livelli essenziali delle prestazioni". Traduzione: i diritti delle regioni del Sud non si toccano e, senza la riforma del presidenzialismo, l’autonomia non si può fare. Cioè va rimandata.
La strategia mediatica: pensionati e giovani
"Bisogna arrivare all'elettorato", è il pensiero, il chiodo fisso, di Berlusconi. Ed è proprio all'elettorato storico azzurro che, con una nota, si rivolge, al termine del pranzo: "Questa legge - dice, riferendosi alla manovra economica - dà una risposta rapida ed efficace a famiglie e imprese maggiormente colpite dal caro energia: è necessario allo stesso tempo fare il massimo sforzo possibile per aumentare le pensioni minime a mille euro, che resta l'obiettivo di Forza Italia per la legislatura". Strizza così l'occhio ai pensionati, storicamente elettori di Forza Italia, e lancia una frecciatina alla Lega. Del resto, è stato proprio il sottosegretario leghista Claudio Durigon a dire, pochi giorni fa, che per il 2023 le pensioni minime non potranno arrivare neanche a 600 euro. "Mancano i fondi", si giustifica il rappresentante del Carroccio. E invece Forza Italia ci prova lo stesso, con il seguente schema: 600 euro nel 2023 e poi ogni anno 100 euro in più, fino ad arrivare, al termine della legislatura, a 1000 euro. E ‘Quota 600’ è scritta in uno degli emendamenti segnalati dagli azzurri e consegnati alla commissione bilancio della Camera.
Il quartier generale di Forza Italia guarda poi con preoccupazione al caro bollette e al caro energia. La scadenza di marzo si avvicina e l’opinione è che è necessario non farsi cogliere impreparati. "Siamo impegnati - aggiunge Berlusconi - per la detassazione e la decontribuzione totale dei nuovi assunti, che devono costare alle aziende la stessa cifra che percepiscono come stipendio".
Il rapporto burrascoso del Cav con la Meloni
Il regalo di Natale del Cav ai suoi è un quadro. Un anno fa l'aveva regalato pure a Meloni, salvo pentirsene: "Lei non mi ha nemmeno telefonato per gli auguri". Fu una chiamata di cortesia. Il Cav vuole che il telefono di Arcore squilli di più. Sia da parte dei suoi che da parte della Meloni, la quale - è la coda velenosa, la stilettata del Cav – “non mi chiama quasi mai, specie quando va ai vertici internazionali, dove la mia esperienza, eppure ne ho fatti tantissimi, sarebbe preziosa”…
Insomma, l'ex premier ribadisce fedeltà a Giorgia Meloni, ma nel ribadire che il sostegno al governo non è messo in discussione, Berlusconi – oltre a peccare di gelosia - tiene pure a far valere le ragioni, e le specificità, del suo partito. Forse troppo. Il piano potrebbe inclinarsi troppo. Da oggi inizia la maratona degli emendamenti alla manovra: "Speriamo sia votata presto", dice Berlusconi. Gli azzurri pianteranno bandierine, faranno sentire la loro voce su pensioni e decontribuzione per chi assume giovani, anche se, è ovvio, non arriveranno mai a votare contro.
Scoppia il caso Ronzulli: non voterà il dl rave
Ma proprio su un altro decreto del governo, si arriva, con la giornata di ieri, a veder scoppiare il ‘caso Ronzulli’. La capogruppo di Forza Italia al Senato – e numero due di FI per volontà del Cav, che la voleva ministro a tutti i costi - Licia Ronzulli annuncia nell’Aula di Palazzo Madama la sua intenzione di non votare né l’articolo 7 del decreto anti-rave, cioè quello sulla possibilità dei medici no vax di essere reintegrati sui posti di lavoro, né – cosa più grave - l’intero provvedimento. Un vero smacco per il governo e per la maggioranza, essendo Ronzulli capogruppo al Senato e non un semplice senatore dentro FI. La parlamentare spiega di parlare «a titolo personale» perché il resto del gruppo si esprimerà «in linea con quelle che sono state le decisioni della maggioranza». E quella di rendere obbligatoria la vaccinazione soprattutto per il personale sanitario, infatti, ricorda che è sempre stata «una sua battaglia». La decisione è stata presa il 31 ottobre dal primo Consiglio dei ministri guidato da Giorgia Meloni: una scelta motivata sia con un quadro epidemiologico molto meno allarmante dei mesi scorsi, sia con carenze di organico che richiedono di «garantire il diritto alla salute». E, ad oggi, sono circa 4 mila i dottori e operatori sanitari interessati dal decreto.
«Esprimo un certo travaglio per l’unico aspetto negativo di un provvedimento condivisibile sotto molti punti di vista», dichiara la Ronzulli che ricorda come «siamo stati noi con la mia proposta di legge ad aver voluto l’obbligatorietà dei vaccini per i medici». E queste, rivendica la capogruppo di FI al Senato, sono state «battaglie che ho combattuto in questi anni e che mi sono costate incomprensioni e attacchi anche violenti». Ma la senatrice ci tiene a chiarire che il no non presuppone una posizione contraria di FI, né testimonia un contrasto in seno alla maggioranza: «Si tratta ovviamente di una posizione personale - ribadisce - per questo il gruppo di FI voterà con il resto della maggioranza, ma io non parteciperò al voto sull’articolo 7 né a quello sull’intero dl».
Le opposizioni ci sguazzano. Secondo la presidente dei senatori Pd, Simona Malpezzi, la decisione di Ronzulli certifica che «la maggioranza va in pezzi sul decreto rave»: «È un fatto politico rilevante - aggiunge la senatrice Pd - la stessa maggioranza certifica che questo è un decreto assurdo che mette in luce la superficialità e la confusione dell’Esecutivo. Le liti sulla legge di bilancio e sul decreto rave dimostrano che questa è una maggioranza non solida». E così è: una capogruppo di maggioranza che non vota un decreto del suo governo non si era mai vista.
Se ne va il coordinatore azzurro di FI Bestetti
Infine, ecco scoppiare l’ennesima grana interna. FI perde pezzi un po’ ovunque: in Campania e in Lombardia a favore del Terzo Polo, con la Moratti a fare da traino in vista delle Regionali, e in altre regioni a favore di Fratelli d’Italia. Ieri, l’ultima ferita, al Cavaliere, che ancora sanguina.
"Dopo quasi 20 anni di militanza, sempre spesi con impegno, passione e spirito di sacrificio, oggi lascio Forza Italia e i miei ruoli di partito, a cominciare dal coordinamento Nazionale del movimento giovanile" dice in una nota Marco Bestetti, coordinatore Nazionale di Forza Italia Giovani e consigliere comunale a Milano da anni, che annuncia così il suo addio al partito in cui è cresciuto politicamente. E non è un modo di dire: ha 35 anni e il suo primo incarico con gli azzurri come consigliere di municipio risale al 2011. “Ho il dovere di guardare avanti, senza rinnegare nulla", dice.
Non è casuale l'addio di Bestetti, in un momento di seria difficoltà per il partito, e da quanto sembra a pesare sono le sirene di Fratelli d'Italia. "Ringrazio il presidente Berlusconi per avermi dato il privilegio di poter lavorare al suo fianco. Ora voglio prendermi un periodo di riflessione per condividere con gli amici di sempre le giuste modalità. Per me, per noi, la politica è cuore e passione. E deve continuare ad essere sempre così”. Bestetti, già 'uomo forte' di Maria Stella Gelmini a Milano, era da tempo in fase di rottura con i vertici lombardi di Forza Italia dopo la decisione di non candidarlo alle elezioni politiche. Per il suo futuro resta aperta la pista del Terzo Polo, ma non è escluso che in realtà l'approdo sia proprio Fratelli d'Italia. Ove mai, sarebbe un colpo per la Meloni, ma un'altra maniera per far imbestialire un Cav già in bestia.