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[L’analisi] Barbara D’Urso è la mamma dei populisti. E Berlusconi è vittima del “Pranzo è Servito” e di Mike

La televisione è stato il grande nutrimento della narrazione populista, allevando i suoi figli e crescendone generazioni intere. Per uno di quegli strani scherzi del destino, ora si ritorce contro il suo creatore. E Salvini, Renzi e Casalino sono solo degli esempi

Barbara D’Urso
Barbara D’Urso

Ma da dove viene tutto questo populismo al potere? Giuliano Ferrara scrive che è stato l’antiberlusconismo spregevole a produrlo. Ne siamo davvero sicuri? Lo stesso Berlusconi dopo le elezioni del 4 marzo aveva pubblicamente constatato con un certo rammarico che «le nostre tv hanno nutrito i populisti». E in tempi meno sospetti era stato Confalonieri, più di un anno fa, a protestare, dicendo che «in certe trasmissioni si stava esagerando. I nostri conduttori sono bravi e non propongono fake news, ma c’è talvolta un eccesso nel racconto che non mi piace».

Amici o nemici, nessuna via di mezzo

Il nuovo premier Giuseppe Conte ha respinto nel suo discorso al Senato questa etichetta: «Siamo populusti perché ascoltiamo il popolo?». In realtà, la narrazione populista è qualcosa di molto diverso, perché non si rivolge a tutti, ma a una maggioranza relativa o a una corposa minoranza. E ha meccanismi abbastanza semplici: ciò che è buono sta sempre nel gruppo di riferimento e ciò che è cattivo sta sempre negli «altri», che sono nemici per forza di cose. E non esistono opzioni intermedie, dubbi, e neppure fatti che possano avere aspetti positivi o negativi. Non esiste il grigio. Inoltre, il metodo populista ha una caratteristica costante: non è necessario convincere il destinatario perché è già convinto. Così non si richiede all’interlocutore nessuno sforzo, nessuna riflessione, nessuna crescita culturale, ma solo l’adesione ai propri sogni, alla propria rabbia e ai propri pregiudizi.

Berlusconi fi il primo

E il nutrimento di qualsiasi populismo è dato proprio da questi elementi, dai sogni e dalla rabbia che ne solidificano il modello. Ora è abbastanza evidente che il primo populista della nostra storia recente è stato invece Silvio Berlusconi. Ma prima ancora che per la sua figura politica, lo è stato per le sue televisioni, che hanno offerto agli italiani lo schema di una società opulenta e sprecona, l’idea di una comunità abbastanza impunita che rifaceva il verso alle discoteche o ai palcoscenici dei varietà con le sue ballerine scosciate e provocanti, come se noi potessimo davvero riprodurre quella vita.

D’Urso la regina del peggior populismo

Se la Rai democristiana ha formato gli italiani del Dopoguerra, la tv dagli Anni 80 in poi ha creato i populisti di oggi. E anche adesso che Mediaset ha chiuso «Quinta colonna» e cambiato la squadra a «Dalla vostra parte», tutto è rimasto nella sostanza identico a prima, come testimonia Barbara D’Urso, la regina incontrastata del peggior populismo (perché non tutto il populismo è da buttare), e come testimonia la corsa di Di Maio e Salvini dopo il gran rifiuto di Mattarella a tutti i programmi televisivi disponibili, da «Pomeriggio Cinque» a «Matrix», «Non è l’Arena» e «Che tempo che fa».

L’intervista a Di Maio

E se Fabio Fazio è rimasto muto ad ascoltare la telefonata logorroica del leader dei Cinque Stelle, «Non è l’Arena» di Giletti ha fatto il record stagionale e Barbara D’Urso s’è distesa a tappetino. «Io ti parlo come una del popolo, sono una del popolo», dice a Di Maio. Che il suo popolo sia poi quello becero e sgradevole del suo ultimo Grande Fratello, fa anche qualche differenza. Solo che la televisione divora tutto, comprese queste diversità, nella declinazione di un racconto che il web ha contaminato in peggio. Perché il web possiede una potenza propagandistica superiore rispetto a strumenti non interattivi, come i giornali e la televisione, e la tv, questa tv, ha pensato bene di adattarsi costruendo le piazze e riproducendo il loro linguaggio senza neppure mediarlo.

Come nell’America di Trump

All’estero non è dappertutto così. Lo è in America, e vince Trump. Un po’ meno in Inghilterra. Molto meno in Germania, dove guarda caso i populisti non spopolano, e in Francia. Da noi è un discorso a parte. Berlusconi, leader di Forza Italia, è il padrone delle tv commerciali. E sarà solo un caso, ma alcuni dei leader attuali sono passati dalle sue televisioni. Matteo Renzi vinse 48 milioni di lire alla Ruota della Fortuna di Mike Bongiorno nel 1994. Un anno prima, Matteo Salvini si presentò a «Il Pranzo è servito», chioma fluente, pizzetto e parlata marcatamente bauscia. Rocco Casalino, poi, è diventato famoso partecipando come concorrente alla prima, storica edizione del Grande Fratello. Ora è quasi una scheggia impazzita di quel format, come attestò il giorno che chiese a Grillo e Casaleggio di provarlo all’ufficio stampa dei Cinque Stelle, giudicandolo solo per quello che era, e non per com’era apparso.

Gli emuli

Il fatto è che tutti questi protagonisti hanno avuto nella loro immagine politica una connotazione più o meno fortemente populista. Giuliano Ferrara invece scrive che «l’antiberlusconismo fu una spregevole adunata continua dell’Italia perbenista, che generò in progressione l’anticasta e il populismo incazzato». Ma l’anticasta esisteva già prima di Tangentopoli, narrata a tinte accese e pure un po’ fosche da Umberto Bossi e Vittorio Feltri sull’Indipendente, oltre che dai salotti aggressivi e acclamanti di Funari.

La tv ha nutrito il populismo

La verità è che, da qualunque parti la si guardi, la televisione è stato il grande nutrimento della narrazione populista, allevando i suoi figli e crescendone generazioni intere. Per uno di quegli strani scherzi del destino, che riempiono le pagine di Storia, ora si ritorce contro il suo creatore. Una ricerca intitolata «The Political Legacy of Entertrainment Tv» di Paolo Pinotti (dell’Università Bocconi), Rubens Durante (Università di Barcellona) e Andrea Tesei (Queen Mary University di Londra) ha spiegato bene, dimostrandolo con i numeri, che «chi guarda la politica in tv tende a votare populista». Il problema per Berlusconi è che non l’hanno indirizzato verso un partito, ma verso una scelta, che lui ha rappresentato agli inizi, promettendo miracoli del lavoro, con un milione di posti, e meno tasse per tutti, «su fondali color confetto», come scrive Ferrara, nell’illusione di una società giocosa, sbandierata dalle sue tv con l’abilità di un grande venditore. Solo che la televisione, dice Rubens Durante, «non ci ha fatto diventare più di destra o di sinistra, ma solo vulnerabili a un certo tipo di linguaggio». Negli Anni 80, quando nasceva Fininvest, ha cominciato ad allevare ragazzini dagli 8 ai 12 anni che adesso hanno raggiunto i 50 e che rappresentano il segmento maggiore di voto populista. La tv ha fornito ai populisti il loro codice linguistico. E attraverso quello, oggi, le parole d’ordine di Lega e Cinque Stelle. Semplicemente, Berlusconi s’è scavato la fossa.    

Pierangelo Sapegnodi Pierangelo Sapegno, editorialista   
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