Armi e accoglienza, ieri il secondo decreto Ucraina, oggi il voto in Parlamento. Draghi cerca l’unanimità
Nel testo oltre alle armi, si parla di accoglienza per 16 mila persone e di incentivare uso di gas e carbone per far fronte all’emergenza energetica. La mediazione del premier in una frase: “In attesa delle risoluzioni del Parlamento”. Ruggini diplomatiche. La gaffe di Von der Leyen. Il protagonismo di Macron

Il decreto “delle armi” è stato pubblicato in Gazzetta nella notte (Il testo integrale). E’ già in vigore, in attesa però che oggi deliberi il Parlamento. La guerra brucia i tempi, affretta le cose. Non aspetta. Ieri un primo tavolo di dialogo tra Mosca e Kiev in una località della Bielorussa, sei ore intorno a un tavolo e la promessa di rivedersi per un secondo round visto che le richieste di una parte e dell’altra hanno margini di ascolto. E però i satelliti, sempre stanotte, hanno ripreso una colonna di uomini e mezzi militare lunga 60 km in marcia verso Kiev. Altre immagini di satelliti mostrano case in fiamme lungo la stessa direttrice della colonna militare. Testimoni parlano di “esplosioni in aumento”. Perchè, se è vero che è in piedi una specie di trattativa?
Dinamiche tanto incomprensibili, quanto repentine. A cui occorre rispondere facendo tutto il necessario con metodo e velocità. La distanza tra Roma e Kiev è meno di tre ore di volo. E i carri armati russi marciano ai confini dell’Europa. E della Nato.
Il decreto
Così ieri pomeriggio il governo ha approvato il secondo decreto Ucraina. Il primo era stato approvato venerdì e dava 3400 uomini e mezzi per rafforzare la Forza di intervento rapido della Nato entrata in modalità di allerta lungo il confine che va dal mar Baltico (Lituania) fino al mar Nero Romania e 12 milioni di euro di armi “non letali” al governo di Kiev. Il decreto di ieri fa il salto di qualità che tutta Europa ha fatto: consegnare armi letali e mezzi di guerra al governo di Kiev e alla resistenza ucraina. Lo zar – o “Putler”, crasi tra Putin e Hitler come lo chiamano gli ucraini - è rimasto spiazzato dalla compattezza dell’Occidente e dalle tante “prime volte” che si stanno verificando in queste ore. La minaccia atomica, agitata domenica dal Cremlino, è stata ieri ridimensionata dal portavoce di Putin. E dai nostri analisti: “Putin è un autocrate ma non un suicida”. Si è schierata la Svizzera dicendo addio alla sua secolare neutralità. La Germania ha rotto il tabù delle armi e per la prima vota dalla seconda guerra mondiale mette a disposizione del governo di Kiev “cento miliardi per investimenti necessari e nuovi sistemi d’arma». Perfino il Giappone è stato coinvolto e appoggerà il pacchetto di sanzioni finanziare ed economiche. Lo schiaffo più duro è stato vedere Svezia e Finlandia, che non sono mai entrate nella Nato, sedere al tavolo del segretario Jens Stoltenberg e decidere il potenziamento della frontiera est dell’Alleanza. Decisivo il ruolo della Gran Bretagna dove molti oligarchi russi trasferiscono e blindano le proprie ricchezze: Johnson ha promesso (“questione di giorni”) di congelare gli asset di tutte le banche russe “per impedire al Cremlino di finanziare la guerra” e intanto ha vietato l’ingresso delle navi russe nei propri porti. Ma la sorpresa più fastidiosa, per lo zar, è arrivata da Bruxelles: mai Putin avrebbe immaginato una Ue così veloce, determinata e compatta nel decidere sanzioni economiche-finanziarie e il supporto bellico con consegna di armi e mezzi alla resistenza del presidente Zelensky. Se l’alba del 24 febbraio – quando truppe e carri russi hanno violato i confini di uno stato sovrano – ha cambiato l’ordine del mondo per come ci era stato consegnato dopo la fine della guerra fredda, nei quattro giorni successivi i governi e le democrazie occidentali e non solo si sono organizzate e hanno scelto da che parte stare. Disegnando “un nuovo mondo” (cit. Annalena Baerbock, la ministra degli esteri tedesca). Senza quei tentennamenti e quegli indugi che hanno invece caratterizzato gli ultimi otto anni, dall’annessione della Crimea a oggi.
In attesa del Parlamento
Il testo del decreto pubblicato in Gazzetta contiene una premessa fondamentale all’articolo1: “Previo atto di indirizzo del Parlamento”. Sottolinea il dem Stefano Ceccanti: “Importante la sensibilità del governo che nell’articolo 1 del decreto di oggi subordina l’effettivo necessario aiuto militare alla resistenza ucraina ad un preventivo voto favorevole delle risotti varie tipologie luzioni da parte delle Camere”. Il ministero della Difesa ha già pronto l’elenco di armi e mezzi e munizioni da spedire, mitra e missili di varie tipologie. Ma prima serve il via libera del Parlamento. Che dovrebbe arrivare oggi quando le Camere - stamani il Senato, nel pomeriggio la Camera - discuteranno le risoluzioni del Presidente del Consiglio e poi le voteranno. I gruppi parlamentari, tutti, ieri hanno a lungo lavorato per arrivare ad un testo unico, unanime e condiviso. Ma rispetto al decreto stanno emergendo due problemi, non difficili da immaginare: c’è più di qualche scetticismo rispetto all’invio delle armi; non piace il piano di emergenza energetica presentato dal governo dove si prevede l’estrazione di più gas “nazionale” e anche il ritorno al carbone.
Missione unanimità
Il segnale che si aspetta palazzo Chigi è che almeno in questa cosa il Parlamento lasci perdere bandierine varie e quel senso perenne di campagna elettorale che ha segnato e condizionato i quattro anni di legislatura. Dunque i vari gruppi ieri hanno in realtà lavorato per un testo unico e condiviso per arrivare stamani con una risoluzione unitaria. L’operazione unanimità sembra a portata di mano. Anche con Fratelli d’Italia. Ieri sera c’era qualche distinguo e mal di pancia: non convince l'invio di armi a Kiev, armi di peso come missili e mitragliatrici. A storcere il naso sono 5 Stelle, Lega e Sinistra italiana in nome della priorità della diplomazia e del rischio di strumentalizzazioni che portino ad un maggiore coinvolgimento italiano nel conflitto. Mal di pancia anche nel Pd, per gli stessi motivi. Ieri sera però dal partito di Matteo Salvini è arrivata la promessa che il voto alla risoluzione ci sarà. Non perché vada tutto bene. Ma per dare un segnale di “compattezza e per confermare il senso di responsabilità”. Fermo restando l’auspicio che “alle bombe si sostituisca la diplomazia”.
Fiducioso che si arriverà ad un testo condiviso è anche Giuseppe Conte. “Vi dimostreremo che siamo compatti in una posizione di assoluta responsabilità” ha promesso il presidente “congelato” dei 5 Stelle. Il problema sono quella decina di parlamentari che hanno dubbi sull’invio delle armi. Vito Petrocelli, presidente della Commissione Esteri al Senato, ieri ha scritto un post per spiegare a Conte perchè doveva lasciare libertà di coscienza nel voto.
La mediazione
Il ministro dei Rapporti con il Parlamento Federico d’Incà è stato il mediatore in queste ore. E il punto di mediazione sarebbe proprio in quella frase che possiamo leggere nella bozza del decreto: “Per la cessione in deroga di mezzi ed equipaggiamenti militari purchè ci sia la previa risoluzione delle Camere”. L'escamotage consisterebbe nell'incassare l'ok di Camera e Senato necessario per consentire di passare la palla alla Difesa. Sarà poi il ministro Lorenzo Guerini adottare un decreto interministeriale (con Esteri e ministero dell'Economia) che indichi l'elenco delle armi concesse alle autorità governative ucraine, che povrà avvenire fino al 31 dicembre. Il primo tassello però è nelle mani dei parlamentari che oggi si esprimeranno sulle comunicazioni del presidente del Consiglio.
Anche Fratelli d'Italia
Vista l'eccezionalità della situazione, il confronto ha coinvolto anche le forze di opposizione. Ieri in mattinata Fratelli d'Italia ha partecipato a un incontro con tutte le forze politiche (pronti a sostenere la linea del governo anche sulle armi) e un altro è atteso in serata per chiudere il cerchio sul testo. Ma è nella maggioranza che si annidano timori e differenze. In prima linea, Matteo Salvini che però se domenica aveva detto “non in mio nome” l’invio di armi letali, alla fine si allinea. Il segretario leghista va ad Assisi, in visita personale alla basilica di san Francesco, e annuncia che sposerà “qualunque proposta” del governo. In serata ha incontrato l'ambasciatore dell'Ucraina in Italia, Yaroslav Melnyk (ma Meloni era stata più veloce di lui) a cui ha ribadito il mantra che va ripetendo costantemente da giovedì: cessate il fuoco, dialogo e diplomazia. A cui alterna la seguente giustificazione: “E però c’è un popolo sotto attacco, che ha diritto di difendersi”. Molto attivo e deciso fin da giovedì sembra Enrico Letta: “Noi siamo pronti a dare il contributo affinchè la diplomazia vinca e la pace trionfi”. Detto questo il segretario dem ha sostenuto da subito la necessità del supporto militare a Kiev. E non c’è dubbio che dentro il Pd si muovano anche opinioni contrarie all’invio di armi. Come ha suggerito Massimo d’Alema in un’intervista sabato. D’Alema che però nel ’99, diventato premier, autorizzò l’uso dello spazio aereo italiano per bombardare la Serbia e Belgrado. Contrarissimo Nicola Fratoianni di Si: “Le bombe chiamano altre bombe. E non aiutano la pace. Aggravando le conseguenze drammatiche per i civili”. Sarà interessante oggi ascoltare le dichiarazioni di voto e quelle a titolo personale in dissenso dal gruppo.
In alternativa alla ricerca del voto unanime, che sarebbe un bel sollievo per il governo alle prese anche con complicate dinamiche diplomatiche, c’è il voto per parti separate del testo.
Grane diplomatiche
Certo ieri non è stato di aiuto alla distensione dei rapporti tra Russia e Ucraina il “via libera” di Ursula von der Leyen alla “membership” dell’Ucraina all’Unione europea dopo che lo stesso presidente ucraino Zelensky lo aveva chiesto e anche comunicato via twitter. Un errore clamoroso della Presidente della Commissione sotto tutti i punti di vista: diplomatico perchè non si può dare enfasi alla procedura di adesione alla Ue nel momento in cui sono in corso colloqui tra i belligenti, è come sedersi al tavolo e per prima cosa infilare un dito nell’occhio. Un errore anche tecnico perchè la procedura d’ingresso è lunga e complessa. Sempre sul fronte diplomatico Palazzo Chigi continua a portarsi dietro il peccato originale di avere al governo due forze politiche (Lega e 5 Stelle) che fino al 2019 erano interlocutori privilegiati di Putin e se ne facevano vanto. Italia poco “affidabile” quindi secondo Washington rispetto ai rapporti con Mosca anche per via della sua bilancia commerciale: forte export (esportiamo per 7 miliardi ed importiamo per 12) e forte dipendenza per il gas russo (ne importiamo per 34 miliardi all’anno, il 45% del fabbisogno). E’ un fatto che una settimana fa il Wall street journal ha scritto attaccando Draghi per via della “incertezza” nelle sanzioni. E che si sia rinnovato un asse Parigi-Berlino-Bruxelles. Ieri sera Draghi non ha partecipato (da remoto) alla cena franco tedesca organizzata da Macron che ha la presidenza del semestre e anche una campagna elettorale da portare avanti.
E’ vero che ieri sono arrivati i 21 miliardi della tranche del Pnrr, ma il governo Draghi ha bisogno di mostrarsi compatto ed efficiente. Ecco perchè il voto di oggi è molto importante. Anche oltre la decisione di inviare armi. Il decreto stanzia 92 milioni per l’accoglienza dei profughi, si calcolano 16 mila persone per cui saranno aperti subito i Centri senza dover presentare domande di asilo. Ottima iniziativa, nuova e rivoluzionaria nel dolente capitolo dell’accoglienza, i 500 milioni messi a disposizione di studenti, ricercatori e docenti universitari. Arrivati in Italia potranno continuare corsi e docenze.