[Il retroscena] I 25 parlamentari grillini pronti a tradire e sostenere il governo neutrale. E Di Maio cancella la regola del doppio mandato
Dopo il fallimento delle trattative, il capo politico del M5s fa asse con la Lega per il ritorno alle urne, ma i suoi entrano in fermento. Molti neo eletti, specie nei collegi uninominali, sono pronti a sostenere un governo di centrodestra o “di tregua” pur di non perdere il posto in Parlamento. Per fermare l’esodo Di Maio è costretto a rimangiarsi una delle regole base del Movimento: “La legislatura di fatto non è iniziata, non vale più la regola del secondo mandato: faremo liste fotocopia”. In questo modo il deputato di Pomigliano blinda anche sè stesso e la sua leadership, sotto attacco quotidiano di Alessandro Di Battista. Ultimi spiragli di dialogo con la Lega, ma Giancarlo Giorgetti lo stronca: “Ormai lui non conta più niente”

Alle diciannove, prima che iniziasse l’assemblea dei gruppi parlamentari, nell’entourage di Luigi Di Maio avevano stimato in “venti, massimo venticinque”, i deputati sospettati di essere pronti a votare la fiducia ad un governo qualunque, “di tregua” o “politico” a trazione leghista, in contrasto con la linea ufficiale, che è quella di mettersi all’opposizione e chiedere il voto subito. A questi venticinque si potevano sommare i cinque eletti nelle file del Movimento espulsi prima del voto, oggi parcheggiati nel gruppo del Maie. I quali di questa ipotesi hanno parlato lungamente ieri pomeriggio in Transatlantico. Ma, mentre il deputato Andrea Cecconi assicura che si atterranno, pur dall’esterno, alla linea scelta dal Movimento 5 stelle, il fondatore del gruppo, eletto in Argentina, è invece di tutt’altro avviso. Non saranno abbastanza numerosi da consentire la nascita di un governo di centrodestra con l’M5s all’opposizione, ma, comunque, i “responsabili” grillini potrebbero restituire l’idea di un partito in difficoltà, pronto a spaccarsi di fronte a una scelta politica impegnativa, e indebolire la leadership del deputato di Pomigliano d’Arco. “Molti degli eletti nei collegi uninominali, quelli che rischierebbero di non essere rieletti, potrebbero seguire la loro scia”, sussurra un altro parlamentare vicinissimo al leader.
Delusione per il fallimento della trattativa per un governo giallo-verde e qualche pulsione “responsabile” si registra, però, anche da tutt’altra parte, tra i quasi-ministri pentastellati. Quelli che, con un coup de theatre, a pochi giorni dal voto, erano stati presentati come futuri ministri di un esecutivo a Cinquestelle, e che aspiravano a diventarlo davvero - non tutti, almeno alcuni - all’interno di un governo di coalizione, sono ora finiti “bruciati”. E si sono sfogati nella chat comune che si intitolava “Let’s rule Italy”, aprendo qualche spiraglio all’ipotesi di sostenere un eventuale esecutivo di tregua. “Lasciamoci stupire. Se fosse un governo davvero eccellente di cui andare fiero, su tutti i fronti, forse se ne potrebbe parlare. Ma non mi vengono in mente queste 10-15 figure”, ha spiegato per esempio Lorenzo Fioramonti, economista indicato come ministro per lo Sviluppo Economico e deputato pentastellato. Certo, su una eventualità di questo genere pesa il giudizio tranchant dei Cinquestelle sull’esperienza del governo di Mario Monti. E, infatti, lo stesso Fioramonti non manca di farlo notare: “Se noi venissimo da una storia in cui non abbiamo mai avuto un governo tecnico, forse saremmo un pò più ecumenici...”.
La “destra” del partito, delusa dalla chiusura delle trattative con Matteo Salvini, resta comunque convinta che l’accordo con la Lega e con Forza Italia avrebbe potuto essere una buona soluzione. Il neo deputato Pino Cabras, per esempio, ha inviato una email ai colleghi della Camera e del Senato con la quale - come ha rivelato l’Adnkronos - cerca di spiegare che “Di Maio e Salvini possono ancora fare la Storia, in un quadro di responsabilità nazionale”. Senza risparmiare sulle maiuscole. L’ eletto pentastellato si augura ancora che possa nascere un governo lampo gialloverde e che, sia pure senza il leader pentastellato a Palazzo Chigi - scrive - si possa “cambiare la storia di questa Repubblica in modo originale, anche se in questa legislatura non vedrò Luigi Di Maio nel ruolo di presidente del consiglio”. Chiedere le urne bene, ma cosa succederebbe dopo, nel caso di un nuovo pareggio? “Quale sarebbe la nostra proposta di governo?”, hanno chiesto, nel corso della riunione dei gruppi i senatori Ugo Grassi e Francesco Castiello. Una domanda non banale, visto che gli esperti sospettano che l’esito di eventuali elezioni anticipate finirebbe per cristallizzare più o meno gli attuali rapporti di forze.
Questi cedimenti tra le file di un partito che, finora, si era sempre mostrato granitico, sembrano avere spinto il movimento sull’orlo di una crisi di nervi e hanno intanto provocato la reazione rabbiosa di Alessandro Di Battista. L’altro componente del trio di comando del partito - l’altro era Roberto Fico, oggi terza carica dello Stato e dunque costretto a collocarsi super partes -, che nei giorni scorsi era intervenuto ripetutamente per criticare le aperture del capo politico al centrodestra, facendo infuriare Silvio Berlusconi e mettendo a rischio più volte i tavoli delle trattative, ha bollato i trattativisti come “traditori”: “Lo chiamano ‘governo neutrale’, ‘governo del Presidente’, ‘governo di tregua’ etc. etc., ma si tratterebbe sempre e comunque di un governo tecnico: un governo composto da personaggi non passati per le elezioni che, chiaramente, non avendo nessun rapporto con i cittadini fuori dalle istituzioni, sarebbero in grado di compiere scelte dolorose come già avvenuto in passato”, ha scritto su Facebook. Molti pensano che sarà lui - e non più Di Maio - il candidato premier dei Cinquestelle alle prossime elezioni. “Chi, dopo aver detto no al Movimento 5 Stelle, voterà la fiducia ad un governo tecnico è semplicemente un traditore della Patria! Le opzioni sono due: o un governo portato avanti da chi ha vinto le elezioni o nuove votazioni il prima possibile. Bivaccare è ignobile!”, ha aggiunto.
Per fermare la fuga e blindare i gruppi parlamentari, Di Maio è stato costretto a tirare fuori il bazooka. Essendo convinto che la ragione principale per la quale molti sembrano disponibili ad una eventuale fuga verso le diverse iniziative “responsabili” è la paura di una mancata ricandidatura, l’ex candidato premier si è rimangiato uno dei capisaldi della filosofia grillina: il limite del doppio mandato. “Visto che la legislatura praticamente non è iniziata, le liste per le nuove elezioni saranno probabilmente le stesse; la decisione finale spetterà comunque al garante”, ha annunciato nel corso della riunione. I parlamentari in carica sarebbero dunque tutti rieletti. Anzi: “Siamo al 35%, andremo al 40%”, grida il leader del Movimento di fronte ai suoi 338 eletti. E anche Beppe Grillo sarebbe d’accordo a prevedere questa deroga, che non riguarderebbe solo i parlamentari “semplici”, ma soprattutto il candidato premier, cioè lo stesso Di Maio. Il quale annuncia: “Da questa sera cominciamo la campagna elettorale”.
Ma se alcuni pentastellati come il deputato Carlo Sibilia ancora lanciano appelli alla “Lega perché sia responsabile e seria nei confronti del popolo italiano”, i rapporti tra i partiti sembravano già compromessi dal pomeriggio, quando Di Maio e Salvini si sono visti faccia a faccia alla Camera e il primo ha ammesso col secondo di essere in difficoltà a tenere il partito sulla linea dell’accordo col centrodestra unito.
“Di Maio? Non conta più un cazzo. L’incarico l’avrà Salvini”, si era sfogato Giancarlo Giorgetti, numero due leghista e uomo delle trattative. Così, dopo avere bruciato i ponti dell’accordo con la Lega alle spalle, l’assemblea ha votato a larghissima maggioranza per il ritorno alle urne. “Noi ce l’abbiamo messa tutta, mentre Salvini faceva il fenomeno nelle campagne elettorali e quell’altro passava il tempo a litigare col suo partito. La Lega la prenderemo a pernacchie quando Fi sosterrà il governo del presidente. La verità è che il Movimento 5 stelle non deve andare al governo, ma io lo voglio chiedere agli italiani”, si è arreso, uscendo da Montecitorio alle 22,40, il capo politico pentastellato. E se il segretario del Carroccio dovesse cambiare idea? “Ho il cellulare sempre acceso, anche di notte”, sorride.
“Noi non abbiamo paura di andare a votare. Di Maio non è delegittimato. Ha fatto un passo indietro per dimostrare la nostra volontà di far nascere un governo”, dice intanto il senatore-comandante Gregorio De Falco, l’uomo che ha rimandato a bordo Francesco Schettino quando stava per inabissarsi la nave. Che si chiamava Concordia. Naufragata anche lei come l’intesa tra “i vincitori” del 4 marzo.