[Il commento] Dalla Libia alla Turchia, l'altro lato del traffico è l'uso di esseri umani come arma da guerra
Comunque la si veda, è inconcepibile per noi europei pensare che oggi carne umana serva per fare del business. Eppure accade a pochi chilometri da noi
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“Quando ero presidente del Consiglio quante volte Gheddafi mi ha minacciato di mandarmi dei barconi di profughi. Ma si trattava perché alla fine c’era uno Stato”, raccontava Romano Prodi in una intervista. Era il 2011, e l’allora rais della Libia minacciava l’Europa: “Se l’Unione Europea non cesserà di sostenere le rivolte in corso nei Paesi del Nord Africa e in particolare in Libia, Tripoli cesserà ogni cooperazione con la Ue in materia di gestione dei flussi migrator"i: è questa la minaccia arrivata alla presidenza ungherese di turno della Ue da parte delle autorità libiche.
Oggi è Erdogan che dinnanzi al parlamento turco si rivolge all’Europa: "Ehi, Unione Europea, sveglia. Ve lo ridico: se tentate di presentare la nostra operazione lì come un'invasione, apriremo le porte e vi invieremo 3,6 milioni di migranti”. E la minaccia non è tanto velata, visto che solo in settembre, in Grecia, sono arrivate oltre diecimila persone, e si stima che in questi giorni siano in movimento oltre 20mila persone in fuga da una Turchia sempre più pericolosa.
I flussi migratori in costante aumento
L’aumento del flusso ha causato nuovi problemi soprattutto alle isole greche: il campo profughi di Moria - sull’isola di Lesbo - al momento ospita circa 13mila persone, a fronte di una capienza massima di circa 3mila, mentre a Samo al momento ci sono circa 5.800 migranti nonostante i centri dell’isola siano in grado di gestirne circa 650.
Secondo Unhcr nel 2019 sono 45mila le persone arrivate in Grecia, contro le 22mila in Spagna, le 7.400 in Italia, 1.500 a Malta e 790 a Cipro. Circa il 60% delle persone proviene da Siria, Afghanistan e Somalia, Paesi attualmente in guerra dove le persone se rimpatriate potrebbero subire persecuzioni o rischiare la vita. Ma è possibile che esseri umani, bambini, donne, uomini, famiglie - provenienti dalla Siria, dall’Afghanistan, dai Paesi dell’Africa subsahariana vengano usati come armi di ritorsione o come scudi umani, come ha ben mostrato il servizio andato in onda la scorsa settimana grazie a Le iene?
L’uso di esseri umani come arma da guerra è l’altro terribile lato del traffico messo in piedi da aguzzini e banditi che si sono autoproclamati “autorità”, o che sono conniventi con i politici dei Paesi di frontiera: la Libia e la Turchia in particolare. Comunque la si veda, è inconcepibile per noi europei pensare che oggi carne umana venga usata per fare del business. Eppure accade a pochi chilometri da noi.
Come a pochi chilometri da noi accade che un Paese della Nato - in barba al trattato che esplicitamente vieta le guerre di aggressione - stia in queste ore bombardando impunemente quelle città kurde che negli ultimi anni hanno costruito un vittorioso argine civile e militare contro l’affermazione dell’Isis in quelle zone della Siria piagate da una guerra che dura da troppi anni. E accade che quello stesso Paese della Nato, la Turchia, utilizzi proprio i terroristi del califfato per cercare di fiaccare la resistenza curda.
Terroristi del califfato e armi italiane: ammontano a 890 milioni le forniture militari al sultano Erdogan dal 2015 a oggi. “Negli ultimi quattro anni - spiega Francesco Vignarca, coordinatore della Rete Disarmo - l’Italia ha autorizzato forniture militari per 890 milioni di euro e consegnato materiale di armamento per 463 milioni di euro” e il ministero degli Esteri ha autorizzato solo nel 2018 la vendita di armi alla Turchia per 360 milioni di euro, tra munizioni, bombe, siluri, razzi, missili e altre apparecchiature che in questi giorni sono usate per bombardare popolazione civile e giornalisti, pericolosi testimoni delle atrocità compiute sui civili kurdi.
E mentre Germania, Francia, Paesi Bassi, Finlandia e Norvegia sospendono la vendita di armi alla Turchia, il nostro Paese si fa scudo - ancora una volta - dietro all’inesistente politica estera dell’Unione Europea per non interrompere un business evidentemente più prezioso delle vite umane che contribuisce a spezzare.