[La storia] La sfida di Laura, la dottoressa che sceglie l'ospedale che tutti rifiutano. "Qui c'è un importante valore aggiunto"

E' specialista in Igiene e crede che la qualità della vita sia fondamentale per la salute. E poi non ha dubbi: "Chi pensa che qui non si faccia carriera sbaglia"

Un'immagine di Laura Lai nell'ambulatorio di Lanusei
Laura Lai nell'ambulatorio di Lanusei

"Nei piccoli centri di provincia assapori il tempo e senti il valore delle piccole cose. Il contatto con le persone è vero e vivi la natura: la respiri tutti i giorni e ti stupisci continuamente della sua bellezza. Poi c'è questo bias, un errore statistico dovuto al fatto che io sono di qua. E la genetica c'entra, eccome". Da poco più di due settimane Laura Lai è dirigente medica nel Servizio di Igiene e sanità pubblica di Lanusei, un paese montano di cinquemila abitanti con un sistema Assl che serve le 57mila anime della ex provincia Ogliastra, costa centro orientale della Sardegna. Un posto a tempo indeterminato messo a concorso e che nessuno voleva. Manco fosse Beirut sotto le bombe, vien da pensare. Eppure accade che negli ultimi mesi ben quattro ortopedici abbiano rifiutato il reparto nell'ospedale locale (e due nel nosocomio più vicino, a Nuoro), in una realtà già carente, con gravi rischi per la tenuta del servizio. Una storia nota che, a ben vedere, potrebbe riguardare qualunque altro centro della provincia italiana. 

Eppure Laura, 34 anni, specializzata in Igiene e Medicina preventiva e master in Management del distretto socio sanitario, non si sente affatto un'eroina. Perché è proprio qui che lei sognava di lavorare. "Bisogna entrare dentro la vita delle persone - precisa la medica - chi rifiuta è probabile che lo faccia per ragioni familiari, perché ha già una vita da un'altra parte. Oppure si tratta di specialisti che lavorano per strutture private e possono permettersi di aspettare un posto più vicino".

Però, dottoressa, è innegabile: c'è una tendenza a rifiutare gli ospedali di provincia.
"E' evidente, credo che ci sia la falsa convinzione che se accetti il posto all'ospedale di provincia non potrai mai andare via perché nessuno verrà a sostituirti. Ci sono queste paure e non è totalmente un equivoco: se è vero che la mobilità c'è è anche vero che il numero degli specialisti è basso rispetto alle necessità generali. E' un problema italiano".

Lei è andata in controtendenza: ha vinto il concorso e si è fiondata sui monti.
"Per me forse è più semplice: io sono originaria di questi posti, questa è casa mia. Vedo proiettata la mia vita qua, tra Lanusei, Tortolì e Ussàssai, il villaggio dove sono nata. Questi monti e questo mare mi appartengono. Ma non è tutto: nei piccoli centri si ha il contatto diretto con le persone, c'è una dimensione umana, che in città spesso è negata, e il senso di appartenenza a una comunità. A volte si passa la vita a inseguire il nulla, qui si è più concreti". 

Ha studiato e lavorato a Cagliari, è stata fuori. Molti suoi colleghi non vedono l'ora di lasciare l'Isola.
"Qui si sta bene davvero e non sono la sola a pensarlo. Anche un'altra collega che ha fatto il mio stesso concorso ha scelto una clinica in un paese di montagna qua vicino, Jerzu. Ma non solo, mi raccontavano ieri di uno psichiatra lombardo che con la moglie ha lasciato al regione più ricca d'Italia per venire a lavorare al Serd di Lanusei e vivere in questa zona. A volte succede il contrario". 

Nessun contrasto con le esigenze di uno stile di vita moderno e globalizzato?
"Assolutamente no, con Internet sei ovunque dappertutto. E poi se ti sposti un po' hai tutto quello che ti serve, certo è vero che ci sono i problemi legati alla mobilità. Ma si tende a esagerare, molti vedono strade e curve e si spaventano. A me sembra un po' come per i bambini che hanno paura del vaccino, dopo averlo fatto scoprono che non era così doloroso. E poi c'è la natura che ripaga di tutto. La strada che faccio ogni giorno per raggiungere il mio laboratorio di montagna, quando in mezzo al verde all'improvviso compare davanti agli occhi l'arcobaleno... potete capire cosa provo?". 

Eppure in questi posti si rischia il deserto sanitario.
"Molti colleghi sono convinti che qui non ci sia nulla, che la vita sia limitata, fatta di rinunce. Quando ho dato il concorso chiedevo ai colleghi e alle colleghe se fossero intenzionati a trasferirsi qui e molti rispondevano con un no categorico. 'E' un posto triste', dicevano. In estate va bene (qui mare e montagna sono spettacolari ndr) - ma in inverno è 'triste'. Io per due anni ho lavorarato in una struttura privata convenzionata di un paese vicino, con partita Iva, e ci stavo bene. Infatti eccomi: sono tornata. Qui c'è un valore aggiunto".

Qual è?
"Si fa tanto parlare di qualità della vita e poi si rifiutano posti come questo. La salute dipende molto dall'ambiente nel quale si vive. Provando a superare i luoghi comuni io vedo che vivere e lavorare in provincia dà grandi possibilità, più di quante si creda: penso alla possibilità di lavorare sodo sulla propria formazione professionale e sulla cultura personale, come e anche meglio che in città". 

Molti pensano che i piccoli ospedali annullino le possibilità di carriera.
"Io credo sia vero il contrario. Proprio perché si è in pochi capita che ci si debba occupare di tante cose diverse quindi le proprie conoscenze e la professionalità crescono. C'è il vantaggio di non doversi per forza specializzare in una sola cosa e oggi, rispetto al passato, c'è più possibilità di fare rete, si cresce insieme a tanti altri colleghi".

L'isolamento è superato?
"Assolutamente e le soddisfazioni ci sono. Qui anche fare la sostituzione del medico di base è altamente formativo, nei piccoli centri si va ben oltre quella concezione per cui il medico di base è solo un dispensatore di ricette. Al limite in questi posti denuncio altri problemi".

Quali?
Il fatto che i servizi sono spesso in sofferenza, soprattutto in questi ultimi tempi. Pensiamo alla stessa sanità che si basa sui numeri: questi paesi si stanno spopolando ed è chiaro che possono venire meno strutture indispensabili. Si pensi a servizi specialistici molto importanti come diabetologia o allergologia, è chiaro che è un problema". 

Come si fa allora ad andare oltre le statistiche che fanno chiudere gli ospedali?
"Bisogna lavorare di più sul territorio, sulla prevenzione. Le persone sono abituate a rivolgersi all'ospedale e al pronto soccorso, ma ci sono servizi sul territorio altrettanto importanti e su cui bisogna puntare. Per esempio un servizio di diabetologia, malattia cronica, è altrettanto importante e lavora anche sulla prevenzione: se sparisce il diabetologo da un piccolo paese, per esempio, può essere gravissimo tanto quanto il ridimensionammento di un reparto ospedaliero".

Quindi è bene potenziare i servizi di base?
"Esatto, proprio quelli più vicini al cittadino. L'ospedale e il pronto soccorso devono servire solo per la fase acuta della malattia. Ma questo è anche un problema di prevenzione e di educazione del cittadino: lavoriamo su questo".

Un'ultima battuta sulla carenza di medici specialisti di cui non si smette di parlare.
"Il probelma è noto: sta nelle scuole di specializzazione dove si accede per concorso e dove i posti sono limitati e, a quanto pare, insufficienti. Gli specializzandi non dimentichiamo che sono un costo per la sanità, il numero chiuso ne è la conseguenza. E' per questo che molti giovani medici vanno all'estero: sanno che troveranno una struttura che li formerà e li assumerà, senza gli ostacoli che ci sono in Italia".