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L’ironia irriverente del regista americano John Waters conquista Roma

Alla 15esima Festa del Cinema il regista americano, tra mascherine e distanziamenti, parla di sé, della sua carriera, dei suoi film, di Trump e dell’importanza della famiglia. “Se non avessi imparato le regole dai miei genitori, non avrei potuto violarle”

Giuseppe Fantasiadi Giuseppe Fantasia   
John Waters
John Waters

In questa Festa del Cinema di Roma, edizione numero 15, la più singolare di tutte, perché si sta tenendo con gran coraggio e capacità degli organizzatori in un momento di emergenza per via del Covid, a far notizia – e che notizia – sono le dichiarazioni del Papa contenute nel documentario “Francesco” dell’americano Evgeny Afineevsky. “Ciò che dobbiamo creare – dice il Pontefice – è una legge sulle unioni civili. In questo modo, le persone omosessuali godrebbero di una copertura legale. Io mi sono battuto per questo”. Parole, le sue, che ovviamente hanno fatto il giro del mondo portando un barlume di quella speranza che non va mai abbandonata non soltanto nei momenti di difficoltà. Sul red carpet il Papa, ovviamente non c’era – sarebbe stato quantomeno divertente però – ma al suo posto, poco prima c’è stato John Waters, il regista americano che ha fatto della provocazione la sua firma nel mondo del cinema.

Figura chiave del cinema indie queer d’America degli anni ’70, gay dichiarato, iconico, irriverente, strabordante ed elegante sempre a suo modo, è arrivato a Roma con una giacca a quadri nera e bianca con strisce gialle e rosse (un inconsapevole omaggio ai colori della squadra di calcio della Capitale?), portandosi sulle spalle, come fa da anni, una filmografia di titoli come Pink Flamingos, Polyester, A dirty shame, I am Divine, Roman Candles, Cry Baby (con un giovanissimo Johnny Depp), La Signora Ammazzatutti e molti altri. Film di cui va fiero e dove la trasgressione e le sequenze shock per l’epoca crearono un nuovo genere, lasciando un segno. In Pink Flamingos, ad esempio, film degli anni Settanta, fece recitare l’attore transgender Divine facendogli fare cose estreme imitando Pasolini e ciò che accadeva nel suo “Salò e le 120 giornate di Sodoma”. “Divine viveva nel mio quartiere, l’ho conosciuto al liceo, all'epoca non era transgender e non voleva essere una donna”, ricorda durante l’incontro ravvicinato con il pubblico, tra giusti distanziamenti e mascherine. “Era un ottimo attore, ed in quella scena recitò solo una parte. Il film non veniva mostrato nei cinema di New York, ma lo fecero vedere in un teatro a Londra, c'erano una trentina di persone. Il giorno dopo c’era una fila enorme”. “Tutti i miei film – continua - sono stati definiti trash e pornografici, ma sono film gioiosi ed a volte ci vogliono due generazioni affinché questo aspetto venga colto”.

Il vero trash – precisa – è purtroppo ben altro. Cosa e chi? Gli viene chiesto e lui, senza pensarci un istante, risponde subito: “Sono trash i reality tv e Donald Trump alla Casa Bianca. Quando si cerca di essere volgari, senza umorismo, quello è trash. Trump ha rovinato il concetto del cattivo gusto, non fa più ridere, stiamo vivendo in un B-movie dell’orrore da cui non riusciamo a uscire. La gente è molto arrabbiata: credo che questo virus servirà a farlo cadere”.
Fa un certo effetto, poi, sentire il principe dell’irriverenza e della ribellione a ogni costo ribadire più di una volta l’importanza della famiglia. “Le regole – dice – sono necessarie. I miei genitori amavano il buon gusto: se non avessi imparato da loro le regole, non avrei potuto violarle. Loro mi hanno dato un sostegno anche se facevo questi film che li facevano vergognare. Sono stato arrestato, sono finito su tutti i giornali, ma loro sono rimasti colpiti dal fatto che fossi riuscito comunque a far uscire i miei film, e li videro anche, e più di una volta”, aggiunge ridendo.

“A volte, aggiunge, mi fa paura essere improvvisamente considerato rispettabile”. Le critiche negative? “Ho sempre letto tutte le recensioni ai miei film e non credo a chi dice che non le legge. Le stroncature sono quelle che si ricordano di più. Quando sei giovane non ti importa, quando sei anziano qualcosa cambia. Quando iniziai, le recensioni negative potevano aiutarti, c’era una rivoluzione culturale. I critici abboccavano, adesso stanno più al passo dei tempi. Da parte mia, ho sempre cercato di essere divertente, non scioccante, ho sempre cercato di far ridere. Da piccolo a lezione mi dicevano, ‘dì qualcosa che sia scioccante’. Per me tutto è politico, e io ho sempre cercato di far ridere attraverso lo choc.

Waters, come abbiamo ricordato, è stato arrestato un paio di volte per oltraggio al pudore sul set di un altro suo film degli inizi, “Mondo Trasho”, ma non si è mai fermato o posto alcun limite, sbandierando poi sempre la propria omosessualità. “Ho capito di essere gay da bambino, quando vidi Elvis per la prima volta“, racconta lui che poco dopo esser arrivato a Roma è voluto andare a vedere il luogo dove venne ucciso Pier Paolo Pasolini a Ostia. “Se ho mai pregato per qualcuno, quel qualcuno era Pasolini. Per me era come un santo”. Grande fan dei film di Federico Fellini (“li vedevo dopo aver preso l’LSD”), di Antonioni e del Mago di Oz. “Mi sono sempre chiesto – dice prima di salutare il pubblico - come mai quella scema di Dorothy volesse tornare nella sua grigia casetta di campagna abbandonando non solo la meravigliosa strega cattiva ma anche il leone gay e quelle fantastiche magiche scarpette rosse”. Forse per questioni legate al politically correct? “Non penso, fa lui, ieri come oggi. In questo momento occorre che a Hollywood si trovi una nuova strada, ma non deve essere troppo studiata a tavolino. Quando leggo recensioni che paragonano un film ad un’opera di John Waters già la odio. Oggi come oggi non basta essere solo gay. Ci vuole ben altro”.

 

Giuseppe Fantasiadi Giuseppe Fantasia   

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