Liberato Boochani, il giornalista curdo che denunciò i lager australiani per migranti. Il suo libro ora anche in Italia
Fuggito dall'Iran arrivò nel continente per chiedere asilo politico ma venne incarcerato. Nei sei anni di detenzione non ha mai smesso di scrivere denunciando tramite WhatsApp le violenze e l'assenza di diritti umani dentro i centri per i profughi

"Scrivere è un atto di resistenza". Behrouz Boochani lo ha detto e fatto: attraverso WhatsApp ha scritto il libro di denuncia di quanto accadeva all'interno delle carceri per immigrati e richiedenti asilo australiane dove lui stesso è stato prigioniero per sei anni. Con la forza della scrittura ha esercitato il suo diritto a sopravvivere e continuare disperatamente a essere ciò che è: un giornalista, uno scrittore curdo-iraniano sfuggito alle persecuzioni degli hayatollah e approdato in Australia in cerca di asilo politico. Un diritto universale che si è affievolito fino a scomparire dietro le sbarre di un carcere spietato. Dopo sei anni, finalmente, la buona notizia: Boochani è stato liberato e si trova in Nuova Zelanda. Da lì, probabilmente, raggiungerà il Nordamerica.
"Le politiche disumane contro i migranti sono un esercizio di dittatura. I governi che non rispettano i diritti dei migranti, potrebbero scagliarsi contro tutti noi. Le nostre democrazie sono in pericolo", ha scritto negli interminabili giorni della carcerazione. Trascorsi rifiutando di arrendersi alla prigionia, insieme a uomini, donne e bambini in fuga da guerre e violenze, persone che approdano sulle coste australiane da Afghanistan, Iraq, Iran, Siria, Sri Lanka, Myanmar Somalia, Sudan, Bangladesh, Pakistan, India, Nepal. Boochani per tutti questi anni ha scritto messaggi inviati all’amico Omid Tofighian che traduceva dal farsi e rendeva pubblici, senza censure. Un lavoro importante che ha contribuito a creare un'opinione pubblica fortemente critica nei confronti della politica dell'immigrazione di Camberra.
Il libro arrivato in Italia
Durante la prigionia a Manus il giornalista ha collaborato con il Guardian e ha vinto il più importante premio letterario australiano con il suo libro Nessun amico se non le montagne, oggi tradotto anche in italiano e pubblicato da Add Editore. Nonostante il carcere di Manus sia stato chiuso ufficialmente nel 2017, le detenzioni di richiedenti asilo vanno avanti più o meno con le stesse modalità, che molto ricordano gli ormai noti lager libici finanziati con soldi italiani.
A scrivere per primo della liberazione di Boochani è stato il sito neozelandese RNZ, che ha dato notizia della concessione del visto al giornalista per "partecipare a un festival letterario in Nuova Zelanda".
"Lo scorso settembre è stato liberato il centro di detenzione di Manus Island e siamo stati trasferiti in alcuni appartamenti della capitale di Papua, Port Moresby. Entro fine novembre altri di noi dovrebbero essere liberati, ma 46 persone restano in carcere in condizioni durissime. Siamo molto preoccupati", aveva detto pochi giorni prima della liberazione in un'intervista a Lifegate. I centri di detenzione per i "boat people" realizzati dal governo australiano sono tre, costruiti in altrettante isole dell’oceano Pacifico: l’australiana Christmas Island, Manus nella Papua Nuova Guinea e Nauru, una piccola repubblica equatoriale. Tra la prima e la terza sono 400 le persone ancora detenute.
L'Australia come la Libia
In 18 anni molto si è raccontato dei suicidi tra i detenuti in queste carceri terribili, dove vieni gettato senza diritti e da cui non si esce. Molte parole sono state spese per raccontare delle continue violenze e dei prigionieri che si cucivano la bocca in segno di protesta o dei bambini che si spegnevano senza più mangiare né bere perché affetti dalla "sindrome da rassegnazione". Poi, due anni fa, i bambini insieme alle loro famiglie, a seguito delle proteste dei cittadini australiani, sono stati trasferiti nel continente. Ma non è chiaro cosa accadrà ai nuovi profughi che arriveranno.