Vittorio Boarini, un altro pezzo pregiato di Bologna, vetrina del riformismo di sinistra, che se ne va

Fondò una Cineteca comunale pensata come un laboratorio di restauro e di conservazione di vecchi film, diventata poi il principale laboratorio nazionale di restauro delle maggiori pellicole. Tutti i capolavori del neorealismo e di quello che ne seguì, come il realismo magico felliniano o la ricostruzione storiografica del Risorgimento con il Gattopardo di Luchino Visconti si sarebbero persi, altrimenti, per sempre. Erano gli anni in cui il grande fotografo Paolo Monti scattò diecimila immagini del centro storico per una mostra visitatissima a Palazzo d’Accursio, nel cortile della residenza municipale. Erano lo spirito civico, la passione civile che ci animavano. Non certo le banalità “spettacolari” di oggi alla Franceschini
L’articolo di VITTORIO EMILIANI
CON VITTORIO BOARINI scompare un altro pezzo pregiato di quella Bologna che era considerata la vetrina del riformismo di sinistra. Rimane soltanto l’urbanista e architetto Pier Luigi Cervellati assessore all’edilizia privata con Guido Fanti sindaco e autore dei piani di restauro e risanamento della Bologna antica. Ma ha chiuso lo studio e si sente poco dopo aver rappresentato molto. Boarini aveva avuto in quegli anni fervidi in cui a Bologna il cinema vantava, fra gli altri, un critico, documentarista e sceneggiatore della portata di Renzo Renzi, l’idea di fondare una Cineteca comunale pensata agli inizi come un laboratorio di restauro e di conservazione di vecchi film che altrimenti si rischiava di perdere per sempre. Poi le ambizioni sono cresciute e la Cineteca bolognese è diventata il principale laboratorio nazionale di restauro delle maggiori pellicole. Tutti i capolavori del neorealismo e di quello che ne seguì, come il realismo magico felliniano o come la ricostruzione storiografica del Risorgimento da Tomasi di Lampedusa, cioè il Gattopardo di Luchino Visconti col suo studiatissimo colore e gli ambienti di quella Sicilia dove, più che in altre regioni italiane, occorreva che «tutto cambiasse perché nulla cambiasse».
Boarini è stato uno degli animatori, dei promotori culturali di una città dove agivano quotidianamente intellettuali — molti provenienti dal filone di Giustizia e Libertà o da quello socialista — come Francesco Arcangeli: durante la Resistenza aveva assistito il restauratore Raffaldini nello “strappo” sotto le bombe dell’affresco di Piero della Francesca del Tempio Malatestiano e portato la Santa Cecilia di Raffaello della Pinacoteca al ricovero creato alle Isole Borromee da Gian Piero Dell’Acqua. Intellettuali come Cesare Gnudi di Giustizia e Libertà, che a Firenze era stato incarcerato a Villa Triste dalla Banda Koch, sospettato fortemente di antifascismo. Sarebbero stati i maestri di mio fratello Andrea, salariato di Soprintendenza sui vent’anni appena e fatto già collaborare alle prime Biennali d’Arte Antica promosse da Gnudi.
Ma tanti altri dovrei nominare per far capire come Vittorio Boarini avesse con la sua cultura cinematografica e la sua allegria vitale contribuito alla vita di quella Bologna all’epoca davvero europea dove ben 3500 ettari di collina fra l’Osservanza e San Luca venivano (e sono ancora) vincolati a verde agricolo anche se tanti sono stati tentativi di assalto e di manomissione. Unica collina urbana in Italia ad esser stata salvata dal cemento speculativo di ville e villoni (si pensi come contraltare a quella torinese). Con lui, col quale tante volte ho dialogato e discusso, ho voluto ricordare certamente la Cineteca Comunale e l’importanza acquisita nel restauro e nella conservazione del patrimonio cinematografico italiano e non solo, ma anche la sua allegria vitale. contagiosa, quel suo far parte di un gruppo di intellettuali che hanno in quegli anni fatto conoscere Bologna nel mondo.
Penso, chiudendo, ai due Ferragosti dei primi anni ’70 nei quali il grande fotografo Paolo Monti scattò diecimila immagini del centro storico coi vigili urbani che spostavano altrove le auto parcheggiate, con una mostra visitatissima nel cortile di Palazzo d’Accursio, residenza municipale. Erano lo spirito civico, la passione civile che ci animavano. Non certo le banalità “spettacolari” di oggi alla Franceschini. © RIPRODUZIONE RISERVATA