Troppi rifiuti elettronici. La Ue ha un piano: riconoscere il “diritto alla riparazione

È un boom quello dell’industria elettronica. Altro che avere in casa solo frigorifero, lavatrice e tv: in casa oggi c’è di tutto, dal tostapane, al pc, al refrigeratore, fino all’aspirapolvere robot. E sono tutti elettrodomestici che si sfasciano, che non hanno “lunga durata” e che quindi nel giro di pochi anni dovranno essere ricomprati. Questo comporta grandi problemi per lo smaltimento dei rifiuti. Come fare? La Commissione europea intende promuovere il cosiddetto “diritto alla riparazione”. Per impedire che il consumatore sia costretto a ricomprare l’elettrodomestico quando invece può riparare quello vecchio
L’analisi di GIORGIO DE ROSSI
I RIFIUTI DELL’INDUSTRIA elettronica sono una delle categorie di prodotti in rapida crescita nell’Unione europea. Ciò in quanto i dispositivi elettronici e le apparecchiature elettriche rappresentano il simbolo della modernità. Oggi è ormai difficile immaginare di vivere senza lavatrice, lavapiatti, frigorifero, smartphone, computer. Ma i rifiuti che producono sono diventati un ostacolo agli sforzi dell’UE per ridurre la propria impronta ecologica. Vediamo di fare chiarezza ed analizzare come le istituzioni europee intendano gestire i rifiuti di un settore in piena espansione nel suo percorso verso il compimento di un’economia circolare entro la metà di questo secolo. Partiamo dal considerare che i rifiuti elettrici ed elettronici includono una varietà di articoli diversi che vengono gettati dopo essere stati utilizzati per un periodo di breve/media durata. Fino all’anno 2018, i dati forniti da Eurostat – l’Ufficio statistico dell’Ue che raccoglie ed elabora i dati provenienti dagli Stati membri – si riferivano alle Apparecchiature Elettriche ed Elettroniche (Aee) che rientravano nelle 10 categorie di prodotti di cui all’allegato I della direttiva 2012/19/Ue. Nel grafico, per comodità di rappresentazione, sono stati raggruppati gli stessi beni in quattro categorie:
i grandi elettrodomestici l’elettronica di consumo ed i pannelli fotovoltaici i dispositivi informatici e di telecomunicazione i piccoli elettrodomesticiI grandi elettrodomestici, come i frigoriferi, le lavatrici, le lavapiatti, le cucine elettriche e ad induzione, le scope elettriche con e senza fili e le stufe elettriche, sono tra i rifiuti più raccolti e rappresentano – con il 52,7% – oltre la metà di tutti i rifiuti del comparto. Nella poco meno restante altra metà troviamo, con il 14,6%, l’elettronica di consumo (videocamere e lampade fluorescenti) ed i pannelli fotovoltaici, nonché le apparecchiature informatiche e di telecomunicazione (computer portatili e stampanti), con il 14,1%; seguono poi i piccoli elettrodomestici (aspirapolvere e tostapane), con il 10,1%. Tra le altre categorie, i dispositivi medici e gli attrezzi elettrici rappresentano il 7,2% dei rifiuti accumulati. Fatta questa ripartizione per classi di rifiuti arriviamo alle dolenti note sul tasso di riciclo: nell’Ue, sempre secondo le rilevazioni dell’Eurostat, nel 2017, meno del 40% delle apparecchiature elettriche ed elettroniche veniva riciclato.
Entrando nel dettaglio, le pratiche di riciclo, sempre nel 2017, hanno registrato ampie variazioni da uno Stato membro all’altro: sul podio dei Paesi più virtuosi troviamo al primo posto la Croazia che ha riciclato l’81,3 % di tutti i rifiuti elettrici ed elettronici, seguita dall’Estonia con il 69,8% e dalla Bulgaria con il 68,8%, mentre Malta è risultata il fanalino di coda dei 27 Stati membri avendo raggiunto solo il 20,8%. L’Italia si è posizionata al 24° posto, avendo fatto registrare una percentuale di riciclo pari al 32,1%.
A partire dall’anno 2019, tutte le Apparecchiature Elettriche ed Elettroniche (Aee) sono state riclassificate passando da 10 a 6 categorie di prodotti. Per l’anno di riferimento 2020, a causa del passaggio dalla precedente alla nuova metodologia, Eurostat ha stilato una tabella relativa alle quantità – espresse in chilogrammi per abitante – dei Rifiuti delle Apparecchiature Elettriche ed Elettroniche (RAEE) raccolti dai singoli Stati membri. Rispetto alla media europea di smaltimento, che è risultata pari a 10,3 chili annui pro-capite, l’Austria e la Finlandia, ciascuno con 15,7 Kg per abitante, hanno raggiunto i più alti picchi di raccolta, mentre alla Grecia è andata la maglia nera avendo fatto registrare il valore minimo di 5,7 Kg per abitante. L’Italia si è posizionata al di sotto della media europea finendo nella zona medio-bassa della raccolta di rifiuti elettrici ed elettronici con 8 chili per abitante.
A questo punto dobbiamo domandarci quali misure abbiano intrapreso le istituzioni europee per ridurre i rifiuti del comparto in esame. Nel marzo 2020 la Commissione europea ha presentato un Piano d’Azione per l’Economia Circolare (Paec) che annovera tra le sue priorità fondamentali la riduzione dei rifiuti elettronici ed elettrici. La proposta definisce specificamente, quali obiettivi immediati, il “diritto alla riparazione”, l’introduzione di un caricabatterie universale e l’istituzione di un sistema di premi per incoraggiare il riciclo dell’elettronica. Entro la fine del 2024, l’Usb di tipo C diverrà il caricatore standard per la maggior parte dei dispositivi elettronici nell’UE. Di recente, nel marzo 2023, la Commissione ha presentato una nuova proposta per promuovere il c.d. “diritto alla riparazione”, diritto che vedrebbe ricompresa all’interno della garanzia legale la riparazione dei prodotti da parte dei venditori, salvo che non sia più conveniente sostituirli. Ciò garantirebbe anche il diritto di rendere le riparazioni più facili e convenienti. Sempre per quanto riguarda i rifiuti elettronici, anche il Parlamento europeo si sta muovendo sulla stessa linea della Commissione favorendo iniziative che restituiscano una vita più lunga ai prodotti dell’industria elettronica attraverso riparazioni che ne consentano il riutilizzo. Un altro problema legato allo smaltimento delle Apparecchiature Elettriche ed Elettroniche (Aee) consiste nel fatto che esse contengono sostanze pericolose. L’aumento della produzione e dell’uso di prodotti elettronici ed elettrici, come telefoni cellulari, computer ed elettrodomestici da cucina, genera, parallelamente, un flusso di rifiuti in rapida crescita. Durante la raccolta, il trattamento e lo smaltimento i rifiuti possono rilasciare sostanze nocive come piombo, mercurio, cadmio e cromo: la presenza di sostanze tossiche per l’ambiente ed il fatto che non siano biodegradabili comporta conseguenze pesanti in termini di inquinamento del suolo, dell’acqua e dell’aria, con ripercussioni anche sulla salute umana. Per affrontare tali sfide, la legislazione dell’UE ha limitato l’uso di tali sostanze pericolose nelle Apparecchiature Elettriche ed Elettroniche (AEE) attraverso la Direttiva RoHS.
La quantità delle Aee immesse sul mercato comunitario è passata da 7,6 milioni di tonnellate nel 2012 ad un picco di 12,4 milioni di tonnellate nel 2020, con una crescita, nell’intero periodo 2012-2020, del 62,2%. Il totale dei rifiuti raccolti è passato dai 3,0 ai 4,7 milioni di tonnellate (+57,8%), mentre il totale dei rifiuti trattati è aumentato dai 3,1 ai 4,6 milioni di tonnellate (+49,1%). I rifiuti recuperati sono passati dai 2,6 ai 4,3 milioni di tonnellate (+65,1%) ed i rifiuti riciclati e preparati per il riutilizzo sono cresciuti dai 2,4 ai 3,9 milioni di tonnellate (+61,7%), sempre nell’arco temporale dal 2012 al 2020. I dati esposti evidenziano, dunque, come il tasso di riciclo delle Apparecchiature Elettriche ed Elettroniche risulti nettamente in ritardo rispetto a quello di produzione. L’Unione europea dovrà necessariamente colmare il citato gap in un settore in sempre più rapida espansione se vorrà raggiungere l’obiettivo di un’economia a zero emissioni di carbonio, sostenibile dal punto di vista ambientale, libera dalle sostanze tossiche e completamente circolare entro il 2050. © RIPRODUZIONE RISERVATA
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