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“Trent’anni agli scafisti”: questa condanna è possibile già da tempo. Grazie alle intercettazioni

di Italia Libera   
“Trent’anni agli scafisti”: questa condanna è possibile già da tempo. Grazie alle intercettazioni

Il Consiglio dei ministri che si è tenuto il 9 marzo a Cutro ha approvato un decreto-legge che prevede un “inasprimento delle pene per reati connessi all’immigrazione clandestina”. Nel contempo viene introdotto un nuovo reato, quello di “morte o lesioni come conseguenza di delitti in materia di immigrazione clandestina”, e prevede quello che lo stesso Cdm definisce “gravi pene”: da 10 a 20 anni per lesioni gravi o gravissime a una o più persone; da 15 a 24 anni per morte di una persona; da 20 a 30 anni per la morte di più persone. La decisione del governo Meloni è nelle prime pagine dei quotidiani del giorno dopo, con titoli che vanno da “Trent’anni agli scafisti” a “Ergastolo agli scafisti”. L’attenzione della stampa è su questo annuncio. Ma davvero è una novità? Il reato di immigrazione clandestina quando è accompagnato con altri reati come l’associazione a delinquere, l’omicidio doloso o colposo ma conseguenza di un delitto doloso, il sequestro di persona, già arriva a pene che raggiungono i trent’anni di galera. E pene di questa entità sono state già comminate più volte nei processi in cui sono imputati gli scafisti. Andando a leggere le pronunce di Cassazione si può osservare come spesso sia stato determinante per individuare e condannare gli scafisti l’uso delle intercettazioni, proprio lo strumento che questo governo sta mettendo in discussione

L’articolo di Raffaele Guariniello

MERAVIGLIA, NEL DIBATTITO in corso sullo “scafismo”, che non si presti attenzione alle indicazioni finora date dalla giurisprudenza in materia. E meraviglia ancora di più se si prende consapevolezza che sono ormai centinaia le sentenze della Corte di Cassazione che abbiamo esaminato e che sotto diversi aspetti affrontano il problema, fornendo elementi utili anche in chiave di politica legislativa. Meraviglia di meno se si riflette sulle amnesie e sugli equivoci prodotti da visioni aprioristiche.

Centrale è naturalmente il reato di immigrazione clandestina. Ma non solo. Altri reati possono entrare in gioco: dall’associazione per delinquere al disastro, dall’omicidio (doloso o colposo o come conseguenza di un delitto doloso) al sequestro di persona a scopo di estorsione. E pur all’esito di procedimenti svolti nel rispetto dei diritti della difesa, sistematiche appaiono le condanne, per giunta a pene che a seconda dei casi variano dai 4-9 ai 25-30 anni di reclusione. Né fondata è stata ritenuta la questione di legittimità costituzionale proposta in rapporto a un’asserita eccessività della pena. Per giunta, inesorabilmente confermate a carico degli scafisti risultano le misure cautelari personali, essenzialmente la custodia in carcere. 

Istruttive appaiono le storie narrate nelle sentenze della Cassazione. Questa, ad esempio, presentata come una «gravissima vicenda di scafismo criminale, culminata nell’omicidio di tredici cittadini extracomunitari, tra le decine trasportati alle acque territoriali italiane su un gommone, gettati in mare e abbandonati da coloro i quali erano alla guida, nel corso della traversata ed in esito ad episodi diversi (molti testimoni hanno dichiarato che ciò avveniva spesso per superstizione, perché si individuava le povere vittime come ‘stregoni’), prima che l’imbarcazione fosse intercettata nelle nostre acque territoriali e dello sbarco degli altri, superstiti al viaggio». Nel confermare la condanna di uno scafista a 22 anni e sei mesi di reclusione per la morte di due migranti, la Corte Suprema evoca «il clima di confusione, concitazione e vero e proprio terrore di ciò che poteva accadere in quei giorni terribili di traversata, sia per il rischio in sé dell’impresa, sia per la condotta vessatoria, persecutoria e crudele degli uomini che avevano assunto il comando dell’imbarcazione e si ‘liberavano’ di chi non piacesse loro per una qualsiasi ragione gettandolo in mare». E rileva che «venivano utilizzate anche superstizioni e credenze per additare i malcapitati come ‘posseduti dagli spiriti’ e disfarsene in mare». 

Molteplici sono poi le sentenze che descrivono «la morte per asfissia acuta violenta di centinaia di passeggeri stipati in condizioni di sovraffollamento all’interno di una imbarcazione vetusta, inadatta a trasportare un numero così elevato di persone». E che descrivono il modus operandi seguito dagli scafisti come:

«il frutto di un’accurata programmazione criminosa, volta a preservare il natante utilizzato e il suo equipaggio da parte delle Forze dell’Ordine dei Paesi europei, tenendolo al riparo dall’esercizio della giurisdizione negli Stati di approdo; condizioni, queste, che determinano un aumento esponenziale del rischio fatto correre agli immigrati clandestini, di volta in volta, trasportati. In questo stratificato contesto organizzativo, l’ultimo tratto dell’attività di trasporto marittimo rappresenta un passaggio essenziale e pianificato di una concatenazione articolata di condotte che non può essere interrotta o spezzata nella sua continuità, per la semplice ragione che l’intervento di soccorso in mare non è un fatto imprevedibile, che possa interrompere la serialità causale, ma una circostanza non solo prevista dall’organizzazione criminale transnazionale ma voluta e addirittura provocata. L’azione di abbandono in acque extraterritoriali dei migranti è destinata a provocare una situazione di necessità, finalizzata a stimolare le operazioni di salvataggio marittimo — poste in essere da navi appartenenti alle marinerie nazionali, per consentire l’approdo sul territorio italiano degli immigrati clandestini e il raggiungimento degli obiettivi illeciti perseguiti dalle consorterie transnazionali di riferimento con l’organizzazione del viaggio di trasporto. Le operazioni di salvataggio marittimo dei migranti, quindi, non possono essere considerate isolatamente rispetto alla condotta illecita pregressa, che volutamente determina lo stato di necessità, proprio perché si tratta di una condizione di pericolo causata volontariamente dagli organizzatori del traffico internazionale di persone di cui si discute, che si collega alla scelta di abbandonare in mare uomini in attesa dei soccorsi, imposti dalla Convenzione delle Nazioni Unite di Montego Bay, nella ragionevole speranza che siano condotti sulle coste europee sotto la protezione dell’intervento soccorritore».

Tutte da leggere sono, poi, le analisi svolte in merito ai poteri riconosciuti allo Stato per la prevenzione e repressione, anche in ‘alto mare’, del traffico di migranti. Dice la Cassazione che non sussiste affatto un generale principio della libertà dell’“alto mare” che impedisca l’esercizio di poteri coercitivi e, per conseguenza, della giurisdizione che ne costituisce una diretta emanazione: 

«A livello generale e con particolare riferimento ai fenomeni di immigrazione clandestina, le vigenti disposizioni di carattere internazionale, pienamente recepite nell’ordinamento italiano e dunque ampiamente vincolanti, oltre a prevedere degli obblighi di soccorso e tutela dei migranti, espressamente prevedono in capo all’autorità italiana, al pari di quella degli altri Stati, l’esercizio di poteri coercitivi particolarmente penetranti proprio nel caso in cui la nave si trovi in ‘alto mare’ e sia priva di una bandiera».

Ed è il caso di sottolineare quanto nelle pronunce della Cassazione risulti determinante l’apporto delle intercettazioni al fine di comprovare l’identità e l’opera degli scafisti. © RIPRODUZIONE RISERVATA

di Italia Libera   

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