Tanti morti sul lavoro. Incidenti e responsabilità: quello che servirebbe per una riforma sulla sicurezza

Tanti morti sul lavoro. Incidenti e responsabilità: quello che servirebbe per una riforma sulla sicurezza

Al ministero del Lavoro è aperto il tavolo sulla sicurezza. Il Primo Presidente della Corte di Cassazione, in apertura dell’anno giudiziario, ha segnalato l’inaccettabile aumento di morti sul lavoro. Ma per una tutela dei lavoratori (e non solo loro: anche degli imprenditori, che in caso di incidenti dovranno risponderne) servono nuove leggi, una riforma, un’attenzione allargata a tutto il fronte della salute, comprese le molestie che colpiscono la dignità dei dipendenti, delle donne in particolare. C’è il paradosso che “protegge” i molestatori nelle grande aziende. C’è il caso della doppia linea nelle sentenze di Cassazione. E il fragile fronte delle tutele è addirittura minacciato da chi vorrebbe depenalizzare anche in questo campo. E se c’è già una legge, come quella che prevede la formazione dei datori di lavoro, manca l’accordo Stato-Regioni che dovrebbe renderla operativa

L’articolo di RAFFAELE GUARINIELLO

È CON ANSIA che sto seguendo gli incontri del Tavolo sulla sicurezza in corso al ministero del Lavoro. Da anni confido in iniziative parlamentari e governative. Tanto più che non mancano le denunce di questa o quella Autorità, di questa o quella Organizzazione, sui troppi infortuni che accadono nel nostro Paese. Anche se ultimamente mi ha fatto male non sentirne parlare in una sede autorevole. E tuttavia, in questi giorni, all’inaugurazione dell’anno giudiziario, il Primo Presidente della Corte di Cassazione ha efficacemente segnalato l’inaccettabile numero dei morti sul lavoro. Solo che malgrado queste denunce si fa aspettare quella riforma organica resa impellente dalla crisi che sta attraversando la giustizia penale in materia di tutela della salute nelle fabbriche e nei cantieri. Anzi, si era persino sparsa la voce di un auspicio di depenalizzazione delle leggi che tutelano la sicurezza. Ed è già un risultato rassicurante che, secondo quanto espressamente sottolineato in un comunicato sulla prima riunione del Tavolo, l’auspicata revisione dell’impianto normativo non annoveri la depenalizzazione degli illeciti. Così come fanno ben sperare sia l’approfondimento avviato il 26 gennaio 2023 delle tematiche connesse all’alternanza scuola-lavoro sotto la palese pressione degli infortuni subiti ancora nei mesi scorsi da tirocinanti di 18 anni e beninteso in una prospettiva che non si limiti alla copertura assicurativa degli infortuni, sia la promessa di una “formazione più sostanziale” — aggiungo — di quella burocratica e formale troppo spesso oggi impartita ai lavoratori, quando non addirittura dichiarata in attestati la cui falsità meriterebbe una sanzione adeguata. Facile, poi, comprendere l’entusiasmo per l’indicazione di un potenziamento delle attività di vigilanza. E qui allora conto sul fatto che si respingano controproducenti propositi espressi da taluno quali quelli di limitare l’autonomia dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro, o di trasformare in lettera morta il protocollo quadro annunciato il 28 ottobre 2022 di collaborazione tra Ispettorato Nazionale del Lavoro e Procure della Repubblica presso i Tribunali. E mi conforta, in particolare, l’annuncio di un’azione ispettiva sempre più mirata al caporalato: un fenomeno che — come ho tentato di dimostrare in un book di imminente uscita — contrariamente a una comune opinione coinvolge aree territoriali ben più ampie del Sud Italia e settori diversi dall’agricoltura, talvolta in simbiosi con la criminalità organizzata.

Ma non basta. Occorre prendere atto della pressante esigenza d’introdurre nuove norme nella legge sulla sicurezza del lavoro e negli stessi codici penale e di procedura penale. Con un obiettivo primario tanto ineludibile quanto generalmente sfuggito all’attenzione, quello di chiudere i varchi aperti da una giurisprudenza diventata purtroppo meno severa rispetto al passato. Più drammi pesano negativamente sulla sicurezza dei lavoratori. Anzitutto, il dramma del datore di lavoro. Ancora nessuno ne parla, ma non mi sembra più il caso di mantenere il silenzio. Per legge, il datore di lavoro si individua a prescindere dal possesso di competenze tecniche. Ciò malgrado, spetta proprio e solo al datore di lavoro l’obbligo di individuare le misure di prevenzione contro i rischi alla luce della migliore evoluzione della scienza tecnica. Domanda: come fa il datore di lavoro, e, cioè, un soggetto che non è necessariamente dotato di competenza tecnica, a conoscere la migliore evoluzione della scienza tecnica? Eppure, il datore di lavoro non può esimersi da responsabilità adducendo una propria incapacità tecnica. Si potrebbe obiettare: peggio per il datore di lavoro se sceglie di fare questo mestiere senza averne le competenze. Ma è facile replicare che il dramma non coinvolge soltanto il datore di lavoro, perché l’incompetenza tecnica finisce per sminuire la portata preventiva dei suoi obblighi, e, dunque, per minare un basilare caposaldo della sicurezza stessa dei lavoratori. Tanto più che tarda ad arrivare quell’Accordo Stato-Regioni sulla formazione del datore di lavoro promesso da una legge del 2021 per il 30 giugno 2022, ma di cui si sono perse le tracce.

E purtroppo continua a pesare il dramma della Corte Suprema. Mi riferisco, in particolare, al fatto che, su fronti delicati quali quelli dei morti per tumore professionale e delle donne colpite da molestie sul luogo di lavoro, tra il 2022 e il 2023 abbia trovato conferma l’inquietante fenomeno delle “due Cassazioni”. Tutta da leggere è una sentenza appena depositata dalla Sezione Terza della Cassazione il 10 gennaio 2023 che conferma la condanna per omicidio colposo in danno di lavoratori deceduti in un’azienda della zona di Taranto per tumori da amianto. Solo che dal 2016 un’altra Sezione della Cassazione, la Quarta, per una ragione o per l’altra non conferma le condanne per tumori professionali. E pensare che nel 2022, per tumori accaduti in imprese private o pubbliche, tribunali o corti d’appello hanno pronunciato sentenze di condanna che hanno suscitato l’entusiasmo delle comunità interessate: il Tribunale di Avellino il 28 gennaio 2022, il Tribunale di Palermo il 12 aprile 2022, la Corte d’Appello di Venezia il 21 giugno 2022, la Corte d’Assise di Napoli il 22 giugno 2022. Ma a fronte di tanto entusiasmo si prova turbamento a prefigurarsi l’esito finale di questi processi in Cassazione.

Non meno patiscono le donne a causa di molestie e violenze anche sessuali sul posto di lavoro. Nel nostro Paese, la storia del reato di stalking occupazionale rimane molto diversa da quella vissuta in Francia. Dove da venti anni il codice penale punisce chi molesta altri mediante condotte ripetute aventi per oggetto o per effetto una degradazione delle condizioni di lavoro atte a ledere i suoi diritti e la sua dignità, ad alterarne la salute fisica o mentale o a comprometterne il futuro professionale. In Italia, invece, la storia del reato di stalking è una storia che, a differenza di quella francese, non è alimentata da un’apposita, specifica norma, e, dunque, una storia che ha tentato con alterne fortune di scovare nel codice penale un reato in qualche modo adattabile: i maltrattamenti in famiglia la Sezione Sesta, gli atti persecutori la Sezione Quinta. Con questo risultato: che, a differenza della Sezione Quinta, la Sezione Sesta limita le responsabilità alle aziende para-familiari, e quindi rende punibili le piccole (piccolissime) aziende, ma non le grandi aziende nell’ambito delle quali i rapporti fra dirigenti e sottoposti tendono ad essere più spersonalizzati come una multinazionale, una banca, un ospedale, un comune. © RIPRODUZIONE RISERVATA