Serie A, sponsor e campioncini in ombra. Mou si salva con i “Primavera” ma le società snobbano i vivai

Serie A, sponsor e campioncini in ombra. Mou si salva con i “Primavera” ma le società snobbano i vivai

Un tempo, le società attingevano dalla loro principale categoria giovanile calcistica, la Primavera, che di fatto era il serbatoio naturale della prima squadra. I tecnici del passato, infatti, alle prese con organici molto più corti degli attuali, davano senso compiuto al lavoro delle società teso a far crescere in casa propria giovani talentuosi, come ad esempio per la Roma con: Bruno Conti, Di Bartolomei, Rocca, Peccenini e per la Lazio con: D’Amico, Giordano, Manfredonia e Agostinelli. Oggi questa tendenza si è piegata alle logiche di mercato che vede le società impegnate in spese elevatissime per giocatori, campioni già affermati, pronti ad essere schierati in campo e anteposti ai giovani anche in ruoli diversi da quelli abitualmente ricoperti

L’articoli di MARCO FILACCHIONE
Certe partite di calcio passano alla storia, o quanto meno restano nella mente dei tifosi per decenni, pur non essendo né finali di coppa, né match-scudetto. Roma-Verona dello scorso 19 febbraio sarà molto probabilmente una di queste, per il suo epilogo da vecchio film americano, tutto interno ai colori giallorossi: da una parte i giovani, duri e puri; dall’altra gli anziani, imborghesiti e mestieranti. È successo che dopo un primo tempo dominato dal Verona e chiuso sullo 0-2, José Mourinho abbia chiamato all’opera, nella ripresa, tre giovanotti della Primavera: Zalewski, Volpato e Bove. E che i tre abbiano cambiato il passo della squadra e deciso la rimonta, con la rete della speranza di Volpato e il destro secco di Bove a cinque minuti dal 90’ . Qualche minuto dopo il fischio finale, sui social frequentati dai tifosi della Roma campeggiava un solo grido: basta con i mercenari, alcuni dei quali peraltro impegnati a strappare esosi rinnovi contrattuali, e dentro i ragazzini. Al di là del caso specifico, di diagnosi troppo drastiche e rimedi troppo facili, il problema nel calcio italiano esiste: troppi ragazzi di talento trovano la strada sbarrata, ora per l’eccessiva prudenza di chi dovrebbe lanciarli, ora per logiche scarsamente meritocratiche. Così, mentre il Barcellona si affida a ragazzi extra dotati come Pedri (19 anni) e Gavi (17), già nel giro della nazionale iberica; mentre il tecnico del Liverpool Klopp non esita a opporre all’Inter, in Champions, il diciottenne Elliott, in Italia giocatori più “anziani” sono costretti ad anticamere così lunghe da disperdere, a volte in modo irreversibile, fiducia e prospettive. 

Il tema è complesso e tocca in primo luogo la principale categoria giovanile calcistica, la Primavera: una volta era il serbatoio naturale della prima squadra, tanto che i tecnici, alle prese con organici molto più corti degli attuali, ne attingevano a piene mani nel corso della stagione. Negli anni Settanta proprio le due romane, che vivevano paurose ristrettezze di bilancio, si tenevano a galla con i “prodotti” di vivai presi a modello in tutta Italia. La Roma mise le basi dello scudetto 1982-83 facendo crescere i vari Bruno Conti, Di Bartolomei, Rocca, Peccenini; la Lazio compensava mercati modestissimi con la presenza di D’Amico, Giordano, Manfredonia e Agostinelli. Pochi anni più tardi, il Milan si offrì all’era Berlusconi portando una ricca dote di ragazzi fatti in casa: gente come Evani, Filippo Galli, Icardi, per non parlare di un già adulto Baresi e di un imberbe Maldini.

Oggi, chi gioca in Primavera è ritenuto mille miglia lontano dalla prima squadra. Lo si vede ogni settimana: se un tecnico, per infortuni o squalifiche, rimane senza il centravanti titolare, ricorre magari al famoso “falso nueve” adattando un fuori-ruolo, piuttosto che chiamare il centravanti della Primavera. Poi ci sono le dinamiche di mercato, sulle quali converrebbe stendere un pietosissimo velo. Volano milioni per giocatori dal curriculum lontano e nebuloso, presentati da esosi ma ammanicati procuratori. Il risultato è simile a quello che ottenevano i presidenti di una volta (i famosi “ricchi scemi”), che incameravano bidoni contrabbandati come campioni. Solo che oggi le possibilità di visionare e valutare un giocatore sono, rispetto ad allora, infinite.

Certo, il calcio non è una scienza esatta e l’errore è dietro l’angolo. Del resto, l’aneddotica regala episodi come quello di Bruno Conti, futuro crack mondiale, scartato da Helenio Herrera perché troppo basso. O di Nereo Rocco che sulle prime non poteva soffrire Gianni Rivera, prima di ravvedersi e farne il suo profeta. Nel calcio attuale però c’è qualcosa di più: si sbaglia e si paga volontariamente (e a caro prezzo) per i propri errori. Vedi la vicenda di Lorenzo Pellegrini: giovane del vivaio romanista, superpromettente, ma ceduto nel 2015 al Sassuolo per poco più di un milione di euro. Cresciuto ulteriormente e divenuto prezioso uomo mercato, è stato riacquistato proprio dalla Roma due anni dopo, per 10 milioni. Praticamente, nove milioni di esborso netto per riavere quello che era nel cortile di Trigoria. In questo però non bisogna buttare la croce addosso solo ai club italiani. Basti pensare a Pogba, che il Manchester United ha lasciato partire a zero, per riacquistarlo dalla Juve a 105 milioni (di cui 27 finiti al procuratore Raiola…). Le nostre società hanno però anche delle robuste attenuanti quando perdono i ragazzi più in vista. La normativa federale prevede infatti che i giovani possano essere messi sotto contratto professionistico soltanto a partire dal 16° anno di età. Nulla vieta quindi ai club stranieri più facoltosi di bussare a casa del talento quindicenne con un abbagliante accordo economico. Come nel caso di Gianluca Scamacca, oggi apprezzatissimo centravanti del Sassuolo, che dopo gli anni delle giovanili, prima nella Lazio e poi nella Roma, volò adolescente al Psv Eindhoven. Gli garantirono circa 70 mila euro l’anno, la famiglia non trovò motivi sufficienti per dire di no. © RIPRODUZIONE RISERVATA
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