Rocco Scotellaro, il sindaco-ragazzo. Perseguitato da innocente, come succede ora a Mimmo Lucano

A cent’anni precisi dalla nascita (il 19 aprile 1923) e a settant’anni – quasi – dalla morte (il che racconta di quanto poco visse) ricordiamo Rocco Scotellaro, il “sindaco dei diseredati” oggi definito anche come “il poeta dei contadini”. Fu il “primo cittadino” di Tricarico, eletto ad appena 23 anni, sostenuto da una lista (oggi diremmo “civica”) che si chiamava “L’aratro”. Ecco la storia della generosità di Scotellaro, il suo impegno senza sosta per chi aveva bisogno. Raccontata però, come in un viaggio in parallelo, affiancata alla vicenda di Mimmo Lucano, già condannato – ora in appello – per reati di cui appare la pretestuosità
L’articolo di ROCCO TANCREDI
QUESTA È UNA STORIA VERA che accadde 75 anni fa e che fa il paio con un’altra simile vicenda (ancora in fieri). Due sindaci i protagonisti: il poeta dei contadini e il sindaco dei diseredati. Il primo Rocco Scotellaro di Tricarico in Basilicata, il secondo Mimmo Lucano di Riace in Calabria. Sebbene amati e sostenuti dai propri cittadini, sono stati costretti ad abbandonare la politica in quanto vittime di accuse costruite a tavolino dagli oppositori politici e dalle istituzioni. Il “poeta dei contadini”, eletto sindaco il 20 ottobre 1946 a soli 23 anni, con una lista di sinistra “L’aratro” (che con Psi e Pci avevano costituito il Fronte Popolare Repubblicano), era indubbiamente inviso alla politica becera. Dopo 75 anni la storia si ripete con il secondo sindaco, costruttore del “modello Riace”, impegnato nell’accoglienza d’immigrati e rifugiati politici che si stabiliscono accanto ai 1.800 abitanti del suo paese. Mimmo Lucano attende la fine della sua odissea iniziata, con il suo arresto, nel 2018. La sua vicenda è paragonabile a quella vissuta da Rocco Scotellaro: processi costruiti con false denunce, interventi mirati di rappresentanti delle istituzioni, testimonianze ritrattate, imputati per concussione, truffa ecc… Due castelli costruiti per abbattere, non solo politicamente, due sindaci che intendevano dare una svolta per l’emancipazione sociale, politica e culturale dei propri cittadini. Oggi a cento anni dalla nascita di Rocco Scotellaro (19 aprile 1923) e a settanta dalla sua morte (15 dicembre 1953), con il processo in corso all’ex sindaco di Riace ripassiamo la stessa vecchia storia. Protagonista era l’allora sindaco di Tricarico,
Rocco Scotellaro, travolto da una macchina del fango che lo portò ad abbandonare la sua intensa attività politica, dopo 45 giorni di carcere e la piena assoluzione. Le peripezie di Scotellaro sono comparabili a quelle di Mimmo Lucano, coinvolto in un analogo processo che, forse, si avvia a conclusione dopo l’ultima udienza della Corte d’appello del 26 gennaio scorso durante la quale gli avvocati difensori hanno evidenziato l’inconsistenza delle tesi accusatorie e le relative condanne comminate su ipotesi non suffragate da fatti concreti. Ma è spuntata una novità. La Corte, infatti, ha deciso di riaprire l’istruttoria dibattimentale con l’ammissione di un’integrazione alle prove, raccolte durante il primo processo in tribunale. È un fatto rilevante, non frequente nelle udienze d’appello. Per gli avvocati difensori, Giuliano Pisapia e Andrea Daqua, la disposizione della Corte d’Appello potrebbe cambiare le sorti del processo costruito su una vicenda giudiziaria che ruota intorno a una serie di controverse e pretestuose accuse, legate al sistema di accoglienza dei migranti che l’ex sindaco Mimmo Lucano aveva organizzato nel suo paese. Una prossima udienza si terrà il 31 maggio. L’ex sindaco calabrese, arrestato nell’ottobre del 2018, fu condannato, dopo tre anni, dal Tribunale di Locri a 13 anni e 2 mesi di carcere. I giudici raddoppiarono le richieste sanzionatorie avanzate dal procuratore capo di Locri, Luigi D’Alessio, e dal pm Michele Permunian che avevano prospettato sette anni e undici mesi di reclusione.
Scotellaro, un anno dopo la sua prima elezione (1946, il più giovane sindaco d’Italia, socialista), fece aprire l’ospedale di Tricarico il 17 agosto 1947 con il benestare del vescovo Raffaello Delle Nocche che consentì l’uso di un’ala del palazzo vescovile, dove si crearono i primi 40 posti letto e il notevole contributo del medico Rocco Mazzarone, altro illustre personaggio di Tricarico, grande amico del noto archeologo Dinu Adamesteanu. Il progetto fu realizzato con la raccolta di fondi tra i tricaricesi e soprattutto con i soldi che mandavano soprattutto i conterranei emigrati negli Usa e in Sud America. Un ospedale costruito a mo’ d’esempio, straordinario, della capacità autonoma e realizzatrice di un piccolo comune. L’operazione di riscatto per l’emancipazione, secondo Scotellaro, si poteva realizzare con l’istruzione. Perciò s’impegnò per aprire a Tricarico la scuola, utile strumento per sconfiggere i poteri forti, la povertà economica e il decadimento culturale. Con la creazione delle “Consulte locali”, per la prima volta, anche i contadini erano liberi di esprimere la propria opinione. Senza alcun timore prese posizioni forti a favore delle classi più deboli, mettendo in discussione i principi di ingiustizia sociale. Realizzò edifici pubblici e strade per agevolare il percorso dei contadini diretti nelle campagne, si mise alla testa del movimento per l’occupazione delle terre per rivendicare i loro diritti contro lo sfruttamento dei proprietari terrieri. Insomma cose da pazzi! Rocco Scotellaro, sindaco e poeta della “libertà contadina” (come lo definiva il torinese Carlo Levi) guidava i suoi “cafoni” a occupare le terre dei latifondisti. Qualche mese dopo la sua scarcerazione (il 24 marzo 1950) ci fu la Riforma agraria. Quel giovane sindaco era detestato dal Governo, che mandò più volte le forze dell’ordine per «sedare le rivolte». Dopo una lunga campagna elettorale era stato rieletto sindaco di Tricarico nel 1948. Da allora partì la macchina del fango. Non lo sconfissero con le elezioni, che aveva stravinto, ma la spuntarono mettendolo sotto processo. Da tempo era controllato dalle informative della polizia sotto il regime fascista. Continuarono con lo stato repubblicano.
Non lo piegarono politicamente, ma con carte bollate e relazioni accusatorie di reati rivelatisi inesistenti. L’irremovibile prefetto Volpe di Matera, il dinamico maresciallo dei carabinieri Gallo e le soffiate dei dirigenti democristiani lo incolparono di concussione, truffa e associazione a delinquere. E lo schiaffarono in galera. I reati contestati a Scotellaro, molti caduti in fase istruttoria, sono analoghi a quelli notificati a Mimmo Lucano. Alla fine Scotellaro fu scagionato («inesistenza del fatto») da ogni accusa, dopo aver trascorso, da innocente, 45 giorni nel carcere di Matera. Dopo la piena assoluzione della Corte d’Appello di Potenza, nel 1950, si dimise da sindaco di Tricarico. La requisitoria del Procuratore generale di Potenza, fece scoprire il chiaro disegno di vendetta politica inteso a bruciare il giovane sindaco socialista che tanto consenso continuava a riscuotere tra i contadini che lo consideravano portavoce delle loro rivendicazioni. Morì tre anni dopo a soli 30 anni a Portici, dove si era trasferito chiamato da Manlio Rossi Doria per un incarico all’Osservatorio Agrario allo scopo di collaborare al Piano Regionale di Sviluppo della Basilicata. Qui compie ricerche e studi sociologici, oltre ad un’inchiesta, interrotta dalla morte, sulla cultura e sulle condizioni di vita delle popolazioni del sud.
Scotellaro interpretò il suo arresto, fondato su lettere anonime e indizi inventati come la prova che politici e giudici, d’intesa con chi allora deteneva il potere esecutivo, avessero individuato in lui il leader dei contadini, da anni in lotta per la terra, proprio nei tempi in cui c’era una lunga ondata di occupazione di terre che attraversò tutto il Mezzogiorno. Nell’Uva puttanella Scotellaro spiegò cosa pensava dei giudici e dei poliziotti che lo avevano incarcerato senza motivo.
«Il mio giudice mi disse “Dite se è una persecuzione politica, ma datemi le prove”. Io lo guardai, un secondo, (…). Gli vidi i baffi neri e la fede al dito, le labbra di cera e i suoi occhi scattavano come persiane. Avrei voluto parlargli d’altro, non gli risposi (…). Un giudice che non si spiega le cose e deve seguire il carro del potere, è lo scrivano del carabiniere semianalfabeta, è uno schiavo del principe o no che può gustare soltanto il cibo che gli portano».
Scotellaro in questo libro mette in risalto un punto critico decisivo del rapporto stretto tra potere giudiziario e potere esecutivo, con l’eloquente immagine del “giudice scrivano” che recepisce acriticamente quello che gli scrivono i poliziotti.
L’errore giudiziario probabilmente contribuì in modo rilevante a provocare la morte del sindaco di Tricarico in giovane età, sfibrandone la salute. Una delle figure lucane più rappresentative del Novecento: poeta, meridionalista, impegnato nel riscatto del Mezzogiorno che avviò il momento in cui la Basilicata tentò il suo processo di sviluppo economico. Ne resta vivo il ricordo della ingiusta carcerazione simile, tra le tante, a quella inflitta nel 1983 a Enzo Tortora e migliaia di altri cittadini italiani. Per Mimmo Lucano si attendono le decisioni della Corte d’Appello di Reggio Calabria per sapere se si allungherà la lista di cittadini innocenti che hanno dovuto subire la galera. © RIPRODUZIONE RISERVATA