Questione meridionale e disuguaglianze sociali: la grande occasione del governo con il Pnrr
“Pronti” era lo slogan di Giorgia Meloni, e del suo partito Fratelli d’Italia, nella campagna elettorale che ha preparato la vittoria della destra. Ora un’occasione c’è, ed è formidabile, per non limitarsi all’ordinaria amministrazione. È quella offerta dal Pnrr: con queste risorse irripetibili si possono affrontare con forza i nodi cruciali della questione meridionale e del divario socio-economico. Invece si assiste, da parte di Palazzo Chigi, a dichiarazioni inquietanti di “resa”. Eppure basterebbe ricordarsi che il ritardo della spesa è dovuto anche all’impegno incompiuto delle riforme, e al non saper fornire competenze e investimenti nel Mezzogiorno. Investimenti per rimuovere le disparità, a cominciare da quelle di genere
L’intervento di ALESSIO LATTUCA, presidente Movimento per la sostenibilità
SEMBRAVA DAVVERO AVVENIRISTICO che una cosa così decisiva per lo sviluppo del Paese e per la sua reputazione potesse realizzarsi, allorché fioccavano le dichiarazioni dalla palude democratica prima di Conte e, successivamente, di Draghi soprattutto perché quest’ultimo, all’atto della candidatura alla presidenza della Repubblica, dichiarò che tutti i 51 obiettivi erano stati raggiunti e chiunque fosse arrivato dopo di lui avrebbe avuto gioco facile. E sottolineava l’importanza del suo operato perché, a suo dire, il Pnrr era un treno che non era possibile perdere trattandosi di una singolare opportunità di crescita e sviluppo.
L’epilogo di tale farsa avviene, in ultimo, con l’attuale governo il quale dopo avere accentrato la Cabina di regia dal ministero di Economia e Finanze alla Presidenza del consiglio, ha agito in solitudine e adesso dichiara la “resa”! Uno scenario inquietante perché si realizza in un momento davvero complesso con un cambiamento epocale in corso nel quale sarà sempre più difficile competere. E con la nefasta conseguenza di fare pagare al Paese un prezzo troppo alto sotto il profilo morale e reputazionale. In sostanza, bisogna prendere atto che non si tratta più soltanto di economia ma di politica e di decoro istituzionale, una questione molto seria che interroga la democrazia: il cui equilibrio è talmente prezioso e delicato, che va maneggiato con particolare cura. Al riguardo occorre osservare se il governo nazionale ha fatto i conti con la realtà che registra una noiosa ripetizione: nessun accenno alla questione meridionale, neanche in presenza dei copiosi aiuti dedicati alla rimozione del divario tra nord e sud. Una questione davvero seria che genera un grande dolore, una sofferenza sorda che oscura tutto il resto e che invita a riflettere sulla natura del governo che guida il Paese.
Le recenti affermazioni di Fitto e della Lega dipingono un Paese in piena antinomia: da un lato “a parole” impegnato prevalentemente a fare “spesa” più in fretta possibile, piuttosto che impegnarsi con le necessarie risorse sulla qualità degli investimenti; dall’altro un inammissibile rimando alla responsabilità dei comuni per i ritardi o peggio per la mancanza di una effettiva progettualità. Mentre ci si dimentica che la Cabina di regia ha il potere sostitutivo e perfino di commissariamento degli Enti inadempimenti. Il governo, peraltro, omette di dire che il ritardo della spesa, tra le altre motivazioni, è dovuto al fatto che il Pnrr era ed è basato su due pilastri: 1) le riforme incompiute, posto che non si tratta soltanto di soldi ma di progetti da realizzare per le future generazioni, a cominciare dalla transizione energetica — condizione imprescindibile del Pnrr — per effettuare investimenti che il Paese non realizza da oltre venti anni, generando un arretramento e un declino che oggi appare inarrestabile; 2) la possibilità di fornire competenze e investimenti al Mezzogiorno, destinati a rimuovere divari e asperità, a partire dalle differenze di genere, che — come illustrato dai dati Istat — mette in luce l’indifferenza e la cecità politica di chi ha governato per decenni e non ha capito che erano (e sono) queste la causa della denatalità (diventata strutturale) e che occorreva, ed occorre, dare priorità alla parità di genere con reali politiche in grado di invertire la bassa fecondità. Basterebbe, al riguardo, prendere in esame il percorso attuato dai Paesi che hanno livelli di fecondità più alti: essi registrano elevati tassi di occupazione femminile, frutto anche di investimenti in politiche di condivisione sociale.
Non andare avanti nell’uso dei fondi del Pnrr significherebbe buttare la spugna e dimostrare che il Paese è irrimediabilmente impreparato, come emerge dalle dichiarazioni di Fitto e dalle dichiarazioni di vari soggetti politici. Quale considerazione potrà avere di noi l’Europa (e soprattutto i Paesi cosiddetti frugali) quando si tratterà di discutere delle politiche da adottare sul debito pubblico e per il Patto di stabilità? “Siamo pronti” aveva dichiarato la Meloni ai quattro venti, in campagna elettorale. Bene: dal governo ha oggi l’opportunità di alzare lo sguardo dall’ordinaria amministrazione, porre al centro la questione meridionale e la riduzione del divario socio-economico del Paese, per condurre in porto non solo il Pnrr ma un’operazione politica di grande respiro. Di cui abbiamo tutti un gran bisogno. © RIPRODUZIONE RISERVATA