Primavera di Praga e sacrificio di Jan Palach: la storia di una torcia umana da ricordare sempre
Il 19 gennaio 1969 moriva a Praga lo studente ventenne che si diede fuoco contro l’invasione delle truppe sovietiche per reprimere le riforme volute dal segretario del Partito comunista cecoslovacco Alexander Dubček, con la “rivoluzione di velluto”. In poche ore, Jan divenne il simbolo della lotta per la libertà del suo popolo, ai suoi funerali parteciparono 600mila cecoslovacchi provenienti da tutto il Paese. La sepoltura fu autorizzata dalle autorità del regime cinque anni dopo. Le sue ceneri ebbero un nome completo solo nel 1990, dopo il crollo del Muro di Berlino. Il chirurgo plastico che lo curò per tre giorni cercando di salvagli al vita disse di lui qualche tempo dopo: «Sapeva che stava per morire e voleva che l’opinione pubblica capisse il motivo del suo gesto: scuotere le coscienze e mettere fine alla loro arrendevolezza verso un regime insopportabile»
Il ricordo di ALESSANDRO MARTELLI
IL 16 GENNAIO 1969, 54 anni fa, quando Jan Palach, un giovane studente di storia, nato meno di un anno prima di me (l’11 agosto 1948), si diede fuoco a Praga per protestare contro l’invasione della Cecoslovacchia da parte delle truppe del Patto di Varsavia (divisioni russe in testa), io frequentavo il primo anno di Università. Il gesto estremo di Jan mi fece moltissima impressione ed iniziai a seguire l’evolversi della sua vicenda, sui media, con estrema attenzione, non solo fino alla sua morte (avvenuta 3 giorni dopo, il 19 gennaio), ma anche successivamente, e per tanti anni.
Non credo che siano necessarie molte parole per commemorare l’estremo sacrificio di Jan, in nome della libertà. Però, qualche cosa di lui voglio ricordare, attingendo anche dai miei ricordi: ritengo, infatti, che dobbiamo comprendere e non dimenticare il suo gesto, soprattutto ora che, in tanti Paesi, impera la tirannia e che alcuni di essi, ben noti, stanno conducendo orrende guerre d’invasione (sono gli stessi, peraltro, contro la cui aggressione Jan si immolò).
Jan aveva assistito all’invasione del suo Paese, avvenuta, durante la notte tra il 20 ed il 21 agosto 1968, per reprimere la Primavera di Praga. Ricordo che, a tale invasione, Jan era stato tra quelli che si erano opposti immediatamente, partecipando a scioperi studenteschi di protesta già nell’autunno dello stesso anno. All’inizio di gennaio 1969 aveva poi scritto una lettera a Lubomír Holeček (leader del movimento studentesco), suggerendo l’occupazione della radio cecoslovacca, per diffondere un appello allo sciopero generale. La sua proposta, però, non era stata accolta. Quindi, assieme ad alcuni amici, aveva deciso di manifestare il suo dissenso contro l’invasione attraverso una scelta estrema: quella d’immolare la sua vita, dandosi fuoco. Poi, fu però il solo a farlo davvero.
Il 16 gennaio, nella stanza dove alloggiava, Jan aveva scritto quattro lettere: una di esse era indirizzata all’Unione degli Scrittori Cecoslovacchi, una al succitato Lubomír Holeček ed una ad un suo compagno di studi; la quarta lettera l’aveva tenuta con sé. Salutati compagni di stanza, era andato ad imbucare le prime tre lettere. Aveva spedito pure una cartolina, ad un altro amico, con un breve saluto, firmata “Il tuo Hus” (che era uno dei grandi personaggi della storia boema, che Jan amava particolarmente).
Dopo aver pranzato in una mensa studentesca, Jan aveva acquistato due contenitori di plastica bianca e li aveva riempiti di benzina. Successivamente, nel pomeriggio, si era recato in Piazza San Venceslao, al centro di Praga, e, verso le 14:25, si era fermato ai piedi della scalinata del Museo Nazionale, dove aveva deposto il cappotto e la borsa, contenente la sua quarta lettera. Aveva aperto una bottiglietta di etere, ne aveva annusato il contenuto, poi si era coperto il corpo di benzina e si era dato fuoco. In fiamme, Jan corse verso la statua di San Venceslao, al centro della piazza, sotto gli occhi dei passanti. A soccorrerlo fu un tranviere, che spense le fiamme con il suo cappotto. Immediatamente, Jan chiese ai presenti di leggere la sua lettera, temendo che le autorità l’avrebbero fatta sparire, se l’avessero trovata.
Presto arrivò un’ambulanza, che portò Jan, ancora cosciente, in un vicino ospedale. Poi (data la gravità delle sue ustioni, all’85% del suo corpo) egli fu trasferito al Reparto Grandi Ustionati di una Clinica di Chirurgia Plastica. Le prime parole che aveva rivolto ai medici, nell’ambulanza, erano state: «Non sono un suicida!».
Insistette, anche in seguito, nel ribadire che il suo gesto era una protesta, che era un’esortazione alla coscienza della Nazione, che non era un tentativo di suicidio motivato da disagi personali. Il 17 gennaio si recarono a trovare Jan prima sua madre e suo fratello (che, successivamente, dovettero sottoporsi entrambi a cure psicologiche, per quanto profondamente il gesto di Jan li aveva scossi), poi una psicologa, che gli fece una breve intervista, registrata su una cassetta. La mattina del 19 lo visitarono anche Lubomír Holeček ed un’amica. In seguito, Holeček divulgò via radio ciò che gli aveva detto Jan, cioè la sua richiesta, agli altri studenti, di non seguirlo uccidendosi, bensì di continuare a lottare da vivi per i loro ideali.
In ospedale, Jan restò molto interessato alle reazioni che il suo gesto stava suscitando nell’opinione pubblica: chiedeva ai medici di leggergli i giornali e si rallegrava apprendendo che il suo sacrificio non appariva vano. Quando gli fu chiesto se sentisse molto dolore, rispose: «Abbastanza» ed aggiunse: «Anche Jan Hus è morto sul rogo». Il chirurgo plastico che tentò di salvargli la vita, operandolo, dichiarò successivamente su di lui: «Sapeva che stava per morire e voleva che l’opinione pubblica capisse il motivo del suo gesto: scuotere le coscienze e mettere fine alla loro arrendevolezza verso un regime insopportabile».
Jan, infatti, morì in ospedale dopo 3 giorni di agonia: il 19 gennaio 1969, alle 15,30, a causa delle complicazioni dovute alle ustioni riportate (una polmonite, si disse allora). Ricordo che al suo funerale, tenutosi il 25 gennaio, parteciparono 600.000 persone, provenienti da tutta la Cecoslovacchia. Il feretro fu esposto nel cortile dell’Università Carolina. Un picchetto d’onore iniziò a stazionare sotto la statua di San Venceslao, i giovani si davano il cambio nello sventolare, in tutta la città, un drappo nero e la bandiera cecoslovacca (già il 16 gennaio, poche ore dopo che Jan si era immolato, nel luogo della sua protesta era comparso un cartello recante la scritta «Qui si è dato fuoco uno studente ventenne»). Centinaia di candele e di lumini furono accese là dove Jan si era dato fuoco.
Nei giorni successivi in tanti continuarono a radunarsi in piazza San Venceslao. Appresi dai media che le autorità, però, non avevano consentito la sepoltura di Jan nel cimitero degli eroi nazionali, come, invece, era stato loro a gran voce chiesto. Inoltre, il 22 ottobre 1973, esse fecero spostare la sua salma dal luogo di sepoltura, che era divenuta meta di pellegrinaggi (con il suo sepolcro invaso di fiori, biglietti, poesie e foto). Dato che vi era il forte rischio che il corpo di Jan finisse in una fossa comune, i suoi famigliari acconsentirono alla rimozione della sua tomba ed i suoi resti furono riesumati, poi cremati. Le sue ceneri furono consegnate a sua madre.
Solo nel 1974 fu concessa l’autorizzazione alla sepoltura delle ceneri di Jan nel cimitero di Všetaty, ma ciò con le sue sole iniziali (J.P), sulla lapide. Le ceneri di Jan rimasero lì fino al 25 ottobre 1990, quando (ormai caduto il muro di Berlino) si svolse una solenne cerimonia, con il trasferimento delle ceneri di Jan al cimitero di Olšany, a Praga. Trovo bellissima e commovente la copia in bronzo della maschera mortuaria di Jan, realizzata dallo scultore Olbram Zoubek, che si trova oggi sulla targa commemorativa posta davanti all’edificio universitario dove Jan aveva studiato (pochi giorni dopo la morte di Jan, Zoubek era riuscito ad accedere all’obitorio ove si trovava il suo corpo ed a prendere un calco del suo viso). È opera di Zoubek anche la lapide che si trova oggi sulla tomba di Jan. © RIPRODUZIONE RISERVATA