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Perdere il lavoro. I nuovi poveri si raccontano: “La miseria toglie la capacità di voler bene”

di Italia Libera   
Perdere il lavoro. I nuovi poveri si raccontano: “La miseria toglie la capacità di voler bene”

Sette anni fa Fabio Balocco fece un reportage sui nuovi poveri di allora, nella città di Torino. Tutti cittadini che avevano un lavoro, e poi l’hanno perso. Questo collage di interviste è di inevitabile attualità, ora che il governo ha scelto di smantellare il reddito di cittadinanza, e la povertà – compresa quella di chi, pur avendo un lavoro, non ha un reddito sufficiente alle necessità della vita – è diventata la condizione di quasi cinque milioni di italiani

Il reportage di FABIO BALOCCO

QUESTI CHE SEGUONO sono stralci di interviste a “nuovi poveri” (poveri di nazionalità italiana) che feci nel 2016, dopo che avevo realizzato un reportage sull’emarginazione nella capitale subalpina per Torino oltre le apparenze (Macroedizioni). Le interviste sono contenute nell’inchiesta Poveri. Voci dell’indigenza. L’esempio di Torino (Neos Edizioni, 2017). Sono storie precedenti all’introduzione del reddito di cittadinanza e che ora tornano d’attualità.

«Mi chiamo Tiziana, e sono nata a Torino il 16 giugno 1959. I miei erano profughi dell’Istria. La famiglia di mio padre era in Australia, quella di mia madre in Canada. Mia madre aveva già quarant’anni quando nacqui. Sono figlia unica. Oggi non ho più nessuno, sono senza parenti. Mio padre lavorava come dipendente nella Sio, Società Italiana Ossigeno. Quando avevo due anni mia madre è entrata in manicomio ed io sono invece entrata in collegio in Australia, dove sono rimasta fino a tredici anni. Poi sono rientrata in Italia e mia madre non volle che mi andassi a trasferire in Australia definitivamente, e così rimasi qui. Mi sono sposata, divorziata, poi ho avuto un compagno, poi sono rimasta single, poi un altro compagno. Nel mentre, ho sempre avuto un lavoro: facevo i mercatini, poi ho fatto la tappezziera, poi ho lavorato in una birreria. Con l’ultimo compagno decidemmo di aprire un ristorante pizzeria a Rhodos. Siamo stati benissimo per sei anni, siamo partiti senza un soldo, ma alla fine stavamo davvero bene. Io avevo tre terranova, vivevo in una villa. Poi è arrivata la signora Merkel a pretendere il pagamento del debito della Grecia.

«Ci siamo consultati con il commercialista sul da farsi, finita la stagione estiva. Ed il commercialista ci disse “Sapete come sono qui, su un’isola, sono nazionalisti. Andranno dal cugino, andranno da un altro ma sempre da un greco, non verranno a portare soldi a un italiano.” Ora, dato che noi vivevamo sei mesi su dodici sui locali, sui greci decidemmo di vendere, ma nessuno comprava. Allora decidemmo di smontare tutto. E così dal 2012 sono in Italia e da due anni sono per strada, dopo essere stata due anni in affitto da una mia amica con i soldi che avevo messo da parte. La mia amica mi ospiterebbe ancora, ma se non hai dei soldi in mano ti senti un peso, devi andare via. E adesso me la cavo… Ho occupato un’azienda, a Grugliasco. In realtà questa azienda era stata occupata da un ragazzo, che avevo conosciuto in coda a una mensa. Lui aveva venticinque anni, viveva per strada da dieci anni, veniva da fuori Torino ed aveva un pastore tedesco. Erano talmente magri da sembrare due radiografie che camminavano. E’ stato lui a invitarmi ad andare a vivere lì, in questo capannone. E io a mia volta mi sono portata dietro un signore di settantadue anni che erano dieci anni che viveva per strada… A mezzogiorno mangio alla mensa del Cottolengo e dalle quattro del pomeriggio torno a casa, lì nel capannone… Non abbiamo la luce ma abbiamo le candele, e una stufa a legna. Il capannone era una legatoria e sotto c’è di tutto, abbiamo dei quadrotti già pronti per essere bruciati. E possiamo farci da mangiare perché c’è una bombola a gas. Ogni tanto passa il proprietario e ci chiede di andare via, ma io gli rispondo che di lì non me ne vado, ed in fondo gli faccio anche comodo perché non noi teniamo pulito e con noi non entra altra gente…

«Quando si è poveri non si hanno relazioni, si cammina insieme. Non si ha più la testa per avere relazioni, la povertà ti cambia la testa, non ti permette più di volere bene. Quando io salgo su un pullman, mi accorgo di puzzare anche se non puzzo, puzzo di povero. Io non puzzo, perché vado sempre in profumeria e chiedo di potermi spruzzare del profumo e la commessa mi dice di sì. Si puzza però di povertà. Noi poveri viviamo giorno per giorno, anzi parti del giorno, io vivo di mattina… La povertà è fatta di circoli. Gli uomini hanno i circoli degli ubriaconi, quello dei tossici, quello dei malfattori. Le donne delle tossiche, di quelle che la danno via. Ma se non hai un’appartenenza, giri per conto tuo. E comunque le donne hanno più difficoltà degli uomini. Ci sono solo due dormitori per donne. Io che vivo nel capannone, senza acqua né luce, ho il problema di farmi la doccia. In via Sacchi dove c’è il dormitorio funziona l’emergenza internazionale delle persone. Io vado lì il martedì, il giovedì, il venerdì ed il sabato. C’è anche il dottore della Croce Rossa…Non ho mai fatto accattonaggio, e anzi ho rifiutato quando mi hanno offerto dei soldi…Ho un’artrite reumatoide e certi lavori non li posso fare. Faccio delle ore in giro da uomini soli, faccio le pulizie».

«Mi chiamo Giovanni e sono nato a Palermo nel 1956. Avevo una moglie, tre figli e sono sempre stato sotto padrone, facendo l’idraulico. Poi mia moglie è morta, e sono rimasto con i tre figli, poi nel 2007 mi hanno licenziato perché non potevo più fare quel lavoro all’aperto, sollevando pesi, per via dello stato di salute, essendo diventato cardiopatico. Ho fatto domanda per la casa popolare, mi hanno dato dieci punti per l’invalidità e lo sfratto per morosità. Un tempo con un punteggio così, la domanda veniva presa in considerazione. Oggi invece c’è tanta concorrenza e dieci punti non sono sufficienti. Io la casa la vedo da lontano, non me la daranno mai… Se c’è posto, dormo al Sermig, altrimenti dormo fuori, un po’ nei dormitori ed un po’ sulle panchine. Ad esempio quella che c’è in Corso Toscana alla fermata del 3 è molto comoda, è bella larga. Poi però alle 4 e mezza bisogna andare via perché cominciano a passare i primi tram. Con i figli non mi vedo più. Finché avevo qualche soldo da parte li vedevo, ora non più».

«Mi chiamo Rosario, e sono nato ad Acireale, in provincia di Catania, il 20 dicembre 1993. Diciamo che già la mia famiglia non se la passava granché bene. I miei erano separati già da quando io avevo due anni. Mio padre non ha mai pensato a me. Io non ho completato gli studi. Mi ero iscritto all’Istituto Turistico di Acireale, ma l’ho lasciato. A tredici anni ho cominciato a lavorare come cameriere, lo facevo nella stagione estiva. Poi ho fatto sempre dei lavori per un mese, o di più, ma mai un lavoro fisso. A quel punto ho deciso di fare il posteggiatore abusivo. Tiravo su cinque, sei euro, il sabato venti, una volta anche quaranta euro. L’ho fatto per circa sei mesi, ma non era bello perché la gente ti guardava male, ed a me non gratificava. Era un lavoro per campare perché altrimenti non mangiavo. Con i miei non avevo rapporti. Con mio padre ho detto e anche con mia madre non ho rapporti. A dire il vero con mio padre mi sono rappacificato un po’ più di un anno fa grazie a mia zia ed a mia sorella. Lui mi ha preso a lavorare con lui, fuori da Acireale. Io non lavoravo ogni giorno, mi chiamavano magari una volta ogni due settimane. Non era facile per me, non ce la facevo più, ed ho chiesto a mio padre di aiutarmi, di comprarmi da mangiare almeno, ma lui niente. Così abbiamo litigato di nuovo, e poi basta, ho chiuso. Quando ci siamo lasciati definitivamente la mia situazione era di schifo. Ero in una casa in affitto e dovevo pagare cinquecento euro al mese, ma chi li aveva. Ogni volta che uscivo dal portone mi guardavano storto e mi chiedevano quando me ne andavo. Poi mi hanno tagliato l’acqua perché non la pagavo. A quel punto me ne sono andato. Non ho scelto io di fare il clochard. Prima sono stato a Firenze, ma non mi sono trovato bene.

«La gente era antipatica ed un po’ scorbutica. Io avevo le valigie e non sono neanche riuscito a trovare un dormitorio. Sai dove dormivo? Dormivo nella stazione di Firenze, perché c’erano le sedie ma alle tre ci svegliavano e dovevamo andarcene. Poi da Firenze me ne sono andato a Milano che pensavo, essendo una città grande, la città della moda, avrei trovato lavoro. Niente. Dopo Milano, dove sono stato otto mesi, sono stato a Bologna, ma ero senza dormitorio e ci sono rimasto solo due settimane. Ora sono qui a Torino da due settimane. Fra due giorni sono fuori dal dormitorio e non so dove andare a dormire, non c’è nessuno che mi ospita. Mangio nelle mense e al mattino vengo qui, che ci sono tante cose buone, latte, cappuccino, marmellata. Ho conosciuto ragazzi messi peggio di me, che hanno avuto esperienze peggiori delle mie, perché hanno avuto problemi con la giustizia. E si può anche capire. Non è normale a ventidue anni stare come sto io.  Faccio la vita del cane e non so come uscirne. Io so però che non voglio fare cazzate… Ragazze ne ho avute, sì. Ho avuto anche una relazione lunga con una che aveva un bambino, ma non mi sentivo pronto per fare il padre… Adesso vorrei fare un corso di pasticceria secondo la tradizione della mia Sicilia. Ho fatto delle domande e sto aspettando che mi rispondano. Noi siciliani siamo i migliori pasticceri. A me piace lavorare con i dolci, e anche mangiarli. Ché se poi riesci a trovare un posto in un bar a cinque stelle non è che prendi mille, millecinquecento euro: prendi il doppio. Io voglio arrivare in alto». © RIPRODUZIONE RISERVATA

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