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Perché si sta alzando il mare. Le cause, i rischi, e che cosa si potrebbe fare. Intervista a Carlo Bisci

di Italia Libera   
Perché si sta alzando il mare. Le cause, i rischi, e che cosa si potrebbe fare. Intervista a Carlo...

Il livello del mare, sorprendentemente, non si alza tutto alla stessa maniera. Il fenomeno è più accentuato negli Oceani. Ma questo non significa che l’Italia, che è bagnata dal Mediterraneo, non sia esposta a un grave rischio. Con Carlo Bisci, Direttore del Master in “Sistemi informativi geografici per la Governance del Territorio” dell’Università di Camerino, parliamo di cause, rischi, e di quello che si potrebbe concretamente fare per impedire le conseguenze più gravi provocate dal “cambiamento” del mare

L’intervista di LAURA CALOSSO

NONOSTANTE IL DIBATTITO sia acceso riguardo alle modalità per affrontare il problema, i dati raccolti sull’innalzamento dei mari evidenziano criticità in molti luoghi del mondo, e una situazione non uniforme. Per chiarire il quadro abbiamo rivolto alcune domande al professor Carlo Bisci, Direttore del Master in “Sistemi Informativi Geografici per la Governance del Territorio” dell’Università di Camerino.

— L’innalzamento dei mari è davvero in corso?

«È ormai universalmente accettato dal mondo scientifico il fatto che negli ultimi decenni la riduzione delle precipitazioni nevose con incremento di quelle piovose, accompagnata da un forte arretramento delle fronti dei ghiacciai, ha causato una sensibile diminuzione del quantitativo di acqua immagazzinata sotto forma di ghiaccio sui continenti e, quindi, un innalzamento del livello medio degli oceani e dei mari, in cui le acque di fusione vanno a confluire».

— Quali mari sono soggetti a questo fenomeno?

«Gli oceani e i mari “veri” (ovvero quelli collegati tra di loro, a differenza dei laghi salati) sono tutti soggetti al fenomeno dell’innalzamento del loro livello medio. Nel caso del Mediterraneo, però, la limitata connessione con l’Oceano Atlantico e le alte temperature medie che lo caratterizzano, con conseguente alto tasso di evaporazione dell’acqua, portano a un ritmo di sollevamento significativamente minore rispetto alla media mondiale. Dovrebbe comunque attestarsi a diverse decine di centimetri entro la fine del secolo attuale».

— Esiste una relazione con il riscaldamento globale e la fusione dei ghiacci?

«Ovviamente, il cambiamento climatico in corso – che ha come prima caratteristica un innalzamento globale, anche se per nulla omogeneo, delle temperature medie a causa del rapido e forte aumento della concentrazione dei gas serra (soprattutto anidride carbonica, metano e vapore acqueo) – è la causa primaria, se non unica, del fenomeno di fusione delle masse glaciali, e quindi dell’aumento degli afflussi verso i mari, con conseguente aumento del loro livello medio».

— L’Italia è esposta a rischi?

«Trattandosi di un fenomeno globale, tutti i territori costieri del mondo sono soggetti alla pericolosità connessa con il sollevamento del livello medio del mare, anche se, come già detto, nel caso del Mediterraneo i tassi di sollevamento si prevede siano un po’ inferiori alla media.

Il rischio per le nostre fasce litoranee è quindi comunque elevato, visto anche che in massima parte abbiamo coste basse. Purtroppo, lo sfruttamento turistico “selvaggio” ha portato a costruire stabilimenti balneari, strutture viarie e persino abitazioni e strutture ricettive a pochi metri dalla riva.

È poi utile ricordare che, all’aumentare del rischio, il cambiamento climatico in corso comporta oltre all’innalzamento delle temperature medie anche un aumento dell’energia dell’atmosfera, ovvero a un aumento di frequenza e intensità delle mareggiate più forti che già ora riescono a entrare abbondantemente nell’entroterra urbanizzato. A Pesaro, ad esempio (nonostante l’Adriatico centrale sia un’area meno soggetta a moto ondoso estremo), pochi anni fa l’acqua del mare è riuscita a raggiungere una quota di circa tre metri e mezzo».

—  Le coste sono state private decenni fa dalle dune di sabbia che proteggevano il litorale. Questo ci espone al l’innalzamento dei mari o soltanto all’erosione?

«Le dune costiere in natura bordano quasi ovunque il retrospiaggia; però in Italia, come in buona parte del mondo più antropizzato, sono ormai quasi completamente scomparse da decenni dato che su di esse sono stati costruiti edifici, strade, ferrovie ecc.

In questo modo si è quindi sistematicamente perso un potente (e gratuito) alleato per la difesa delle aree costiere, dato che le dune, anche se non connesse in alcun modo con l’innalzamento del livello dei mari, sono comunque in grado di agire da “dighe” impedendo ai frangenti di superarle e quindi di inondare i terreni retrostanti, provocando gravi danni alle strutture e all’agricoltura».

— Quali attività andrebbero svolte sulle coste per prevenire pericoli eventuali?

«Purtroppo le nostre coste soffrono ormai da decenni della mancanza di una pianificazione territoriale di area vasta che, soprattutto durante gli anni del “boom economico”, ha consentito il verificarsi di un insieme di eventi negativi concomitanti quali la massiccia estrazione di inerti dagli alvei fluviali, la rettificazione e cementificazione dei corsi d’acqua, l’abbandono di coltivi, la realizzazione di dighe e briglie, l’impermeabilizzazione di terreni antropizzati ecc. Nell’insieme, tutto questo ha ridotto fortemente l’apporto alle foci fluviali di quei detriti che, distribuiti lungo costa dal moto ondoso, consentivano la stabilità delle spiagge andando a rimpiazzare i sedimenti trasportati al largo perché troppo fini (i granelli sono soggetti a usura).

Ciò ha portato prima a una generalizzata anche se disomogenea tendenza all’arretramento della linea di riva e quindi, nel tentativo assai spesso “estemporaneo” di risolvere il problema, alla costruzione di strutture rigide di difesa costiera (pennelli, massicciate e barriere emerse o sommerse). Queste ultime spesso sono riuscite a mitigare localmente i fenomeni erosivi ma quasi sempre hanno comportato una migrazione sottoflutto di tali fenomeni, costringendo via via alla costruzione di ulteriori opere fino a rendere “rigida” e artificiale gran parte della linea di riva.

Purtroppo, quasi ovunque, è ormai  praticamente impossibile ripristinare il normale trasporto solido dei fiumi, anche se un aiuto non trascurabile potrebbe venire dal dragaggio e riposizionamento più a valle del materiale accumulato alle spalle di dighe e briglie, nonché dal ripristino dell’uso agricolo di terreni collinari.

A livello locale, poi, sarebbe auspicabile una revisione (con eventuale ridimensionamento o eliminazione) del sistema delle protezioni rigide (e, soprattutto, dei pennelli trasversali che bloccano il flusso lungo riva dei sedimenti, disperdendoli al largo) affiancata da una sistematica operazione di ripascimento artificiale dei litorali, ovvero dal periodico sversamento lungo le spiagge in arretramento di detriti di dimensioni e quantità opportuni. Questo materiale andrebbe a sostituire ciò che i fiumi non riescono più a trasportare, ma purtroppo comporterebbe un impatto notevole nelle zone in cui viene cavato».

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