“Paz con la naturaleza”: nasce in Colombia la Coalizione mondiale per la Pace con la Natura
Sette mila miliardi di dollari all’anno di incentivi fiscali e sussidi sono messi a disposizione di attività economiche che aggravano la crisi climatica. In base al “Quadro globale per la biodiversità Kunming-Montreal” (Global Biodiversity Framework o Gbf), una convenzione dell’Onu firmata a Montreal nel 2022, entro il 2030 dovrebbero essere tagliati 500 miliardi all’anno di sussidi governativi ritenuti dannosi per la natura. Due anni dopo, la Conferenza Internazionale sulla biodiversità dell’Onu appena conclusa a Cali in Colombia ha evidenziato che il 75% della superficie terrestre della Terra e il 66% dei suoi oceani sono già stati alterati dall’attività umana. La svolta può avvenire con il coinvolgimento delle comunità indigene: «la pace con la natura significa soprattutto pace per coloro che la proteggono» (António Guterres, segretario Onu). Il decreto del governo colombiano, che riconosce 115 comunità indigene come autorità ambientali nei loro territori, è un esempio che incoraggia i passi avanti fatti in alcune aree critiche del Pianeta per la protezione degli ecosistemi: contro la deforestazione in Brasile, Colombia e Indonesia, per l’espansione delle aree protette nel bacino del Congo, con la Legge sul Ripristino della Natura dell’Unione Europea
◆ L’articolo di ANNALISA ADAMO AYMONE
► A livello globale, oltre la metà del Pil (55%) – ovvero circa 58.000 miliardi di dollari – dipende in misura moderata o elevata dalla natura e dai suoi servizi. Eppure, l’attuale sistema economico attribuisce alla natura un valore prossimo allo zero, determinando uno sfruttamento insostenibile delle risorse naturali, il degrado ambientale e il cambiamento climatico. Il denaro continua a riversarsi in attività che alimentano la crisi della biodiversità e del clima: si stima che i pagamenti diretti, gli incentivi fiscali e i sussidi che aggravano il cambiamento climatico, la perdita di biodiversità e il degrado degli ecosistemi, ammontino a quasi 7.000 miliardi di dollari all’anno.
L’urgenza dell’argomento era emerso in tutta la sua complessità durante il negoziato Onu sulla biodiversità biologica tenutosi a Montreal, Canada, nel dicembre 2022, il seguito al quale 196 Paesi hanno adottato il Quadro globale per la biodiversità Kunming-Montreal (Global Biodiversity Framework o Gbf), il primo accordo globale per garantire la tutela della natura, la stabilità dei servizi ecosistemici fondamentali per la sicurezza umana, lo sviluppo economico sostenibile, la lotta contro il cambiamento climatico. Stati Uniti, Vaticano, Corea del Nord e Yemen sono stati gli unici paesi a rimanere fuori dalla convenzione che ha l’obiettivo finale di proteggere nel più breve termine almeno il 30% delle terre, degli oceani, delle zone costiere e delle acque della Terra.
Il patto, dalla portata epocale, prevedeva quattro obiettivi e 23 target da raggiungere entro il 2030 tesi a mettere un freno alla perdita di biodiversità con un netto taglio di sussidi governativi, ben 500 miliardi di dollari annuali, dannosi per la natura. A due anni di distanza la Conferenza Internazionale sulla biodiversità dell’Onu è stata riconvocata a Cali in Colombia per definire il futuro degli ecosistemi del nostro pianeta dando finalmente un ruolo di primo piano alle comunità indigene e locali che da sempre si battono per la salvaguardia dell’ambiente. Il nuovo vertice dal titolo emblematico “Paz con la naturaleza” (Pace con la natura) si è aperto con una versione dell’inno nazionale colombiano costituita dai canti di uccelli appartenenti a una quarantina di specie a cui si sono aggiunti anche i versi di altri animali (scimmie, giaguari, balene, rane, etc.) oltre i suoni del vento, del mare, della pioggia, tutto registrato nei diversi habitat del Paese, dai Caraibi al Pacifico, dall’Amazzonia alle pianure d’alta quota dei Páramos. Un canto di lode alla biodiversità di cui proprio la Colombia vanta la maggiore ricchezza per kilometro quadrato.
La Conferenza (Cop16), conclusasi il primo novembre scorso, dopo aver messo al centro del tavolo politico la questione delle risorse finanziarie necessarie per raggiungere «gli obiettivi ambiziosi stabiliti nel Quadro globale per la biodiversità», ha avuto il grande merito di aver promosso una riflessione allargata attraverso il coinvolgimento dei cittadini nei processi decisionali tanto da essere stata definita la “Cop dei popoli”. Alla plenaria svoltasi in Colombia è intervenuto anche il Segretario generale delle Nazioni Unite António Guterres che ha sottolineato l’urgenza della situazione con statistiche che fanno molto riflettere: circa il 75% della superficie terrestre della Terra e il 66% dei suoi oceani sono già stati alterati dall’attività umana. Il Segretario Generale dell’Onu ha anche chiesto l’istituzione di un organismo permanente all’interno della Convenzione sulla diversità biologica per garantire che le voci degli indigeni siano ascoltate durante i processi decisionali perché – ha affermato – «la pace con la natura significa soprattutto pace per coloro che la proteggono». In questa prospettiva, non a caso proprio alla vigilia della Cop 16, il governo colombiano ha firmato un decreto che riconosce 115 comunità indigene come autorità ambientali nei loro territori, assegnando loro, tra altri compiti, la protezione degli ecosistemi, la pianificazione dei bilanci, le decisioni sull’uso del territorio e la gestione delle risorse legate alla cura della natura.
A parere del Segretario Guterres, malgrado le enormi difficoltà di realizzazione degli impegni sottesi agli accordi, le iniziative fin qui prese risultano essere estremamente promettenti così come gli sforzi per ridurre la deforestazione in Brasile, Colombia e Indonesia, l’attenzione del Bacino del Congo sull’espansione delle aree protette, elogiando anche la Legge sul Ripristino della Natura dell’Unione Europea e lo storico Accordo sulla Biodiversità Marina delle Aree oltre la Giurisdizione nazionale.
Intanto, però, il Living Planet Report (Lpr) 2024 del Wwf ha avvertito che gli impegni nazionali e le azioni sul campo da parte dell’Italia sono ben al di sotto di quanto necessario per raggiungere gli obiettivi fissati per il 2030 ed evitare pericolosi punti di non ritorno. Secondo il Wwf la Strategia nazionale per la Biodiversità italiana, pur risultando sulla carta sufficientemente allineata ai 23 target del Gbf e con l’obiettivo di proteggere il 30% delle aree marine e terrestri entro il 2030 (target 3), manca ancora di un Piano di implementazione che sia adeguatamente finanziato affinché le ambizioni della Strategia stessa possano tradursi in azioni concrete e incisive. In Italia la superficie terrestre protetta si ferma al 21,68% dell’intero territorio nazionale. In definitiva in soli 5 anni – secondo il Report – il nostro Paese dovrebbe creare la metà delle aree protette terrestri che ha creato in oltre 100 anni da quando nacquero i primi due parchi nazionali italiani, Parco Nazionale del Gran Paradiso e Parco Nazionale d’Abruzzo. Per ciò che riguarda il mare le cose vanno ancora peggio perché solo l’11,62% della superficie marina italiana è protetta.
Il report del Wwf avvisa che, mentre il Pianeta si avvicina a pericolosi punti di non ritorno che rappresentano gravi minacce per l’umanità, nei prossimi cinque anni sarà necessario un enorme sforzo collettivo per affrontare la duplice morsa della crisi climatica e biologica. Al momento il calo più forte si registra negli ecosistemi di acqua dolce (-85%), seguiti da quelli terrestri (-69%) e poi marini (-56%). Inoltre si evidenzia un catastrofico calo del 73% della dimensione media delle popolazioni globali di vertebrati selvatici oggetto di monitoraggio in soli 50 anni (1970-2020). La perdita e il degrado degli habitat, causati principalmente dai nostri sistemi alimentari, rappresentano la minaccia più frequente per le popolazioni di specie selvatiche di tutto il mondo, seguita dallo sfruttamento eccessivo, dalla diffusione delle specie invasive e di patologie.
In definitiva a fronte di una simile situazione il buon esempio dato dalla Colombia potrebbe tuttavia non bastare: solo 33 dei 196 paesi firmatari del Quadro globale Kunming-Montreal hanno finora presentato il proprio piano di azione e le risorse mobilitate, restando ben al di sotto dei 20 miliardi di dollari all’anno che i paesi ricchi si erano impegnati a versare entro il 2025. Il presidente colombiano Gustavo Petro ha sottolineato nel suo discorso che il suo governo sta puntando moltissimo sulla buona riuscita di questo vertice, in particolare in direzione di un accordo globale che permetta ai paesi poveri di scambiare il loro debito estero con servizi ambientali come la conservazione dell’Amazzonia, nella convinzione che «l’unica ragione d’essere dell’umanità sia la vita stessa». © RIPRODUZIONE RISERVATA
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