Orfeo e le Sirene, i dubbi degli archeologi sull’opera che Sangiuliano ha voluto a Taranto

Quando la tentazione del cronista è quella di dare un giudizio estetico su un’opera presentata come un capolavoro, può liberamente azzardarsi di definirla “brutta”. E qui siamo nel soggettivo, a maggior ragione se il cronista è tale e non si considera uno specialista. Però poi – e il caso è quello del gruppo di terracotta “Orfeo e le Sirene” – se c’è qualche dubbio sull’origine di queste statue, ora esposte al museo archeologico di Taranto, è bene chiedere lumi a chi all’archeologia ha dedicato la vita da studioso ed esperto. Per avere magari delle conferme sui propri dubbi. E scoprire qualcosa in più
L’articolo di ARTURO GUASTELLA
SI PUÒ DIRE, SENZA tema, che Orfeo con la sua lira e le Sirene con il loro canto possano ammaliare l’incauto cronista e precipitarlo agli Inferi, che il gruppo di Orfeo e le Sirene — esposti al museo archeologico di Taranto — sono davvero assai brutti? E che, comunque, appaiono ben distanti dalla statuaria fittile tarantina, i cui artigiani ci hanno lasciato in eredità ben altri esemplari delle loro opere in terracotta. Per esempio, nelle opere simili di sicura provenienza tarantina e pugliese, Orfeo viene effigiato in veste orientale, con tanto di berretto frigio, e le Sirene, con i loro “ricciolini”, non hanno equivalenti nella statuaria fittile tarantina. E, poiché chi scrive, pur interessandosi di archeologia da decenni, non è uno specialista — per cui il suo parere conta davvero molto poco — abbiamo voluto conoscere il pensiero in merito di tre archeologici di chiarissima fama.
Così dopo aver reso il dovuto merito al Nucleo Speciale dei Carabinieri, che è riuscito ad ottenerne la restituzione dal Paul Getty Museum, di Malibù, per approfondire il discorso, abbiamo girato questo quesito (dubbio) ai professori, Francesco D’Andria, Emanuele Greco e Piergiovanni Guzzo, il quale ultimo quasi trent’anni fa, si era interessato, per primo, a questo gruppo fittile che, in pompa magna, nei giorni scorsi il ministro della Cultura, Sangiuliano ha voluto personalmente portare al MarTa.
«In realtà — dice il professor D’Andria —la fattura del gruppo dell’Orfeo e le Sirene appare piuttosto insolita nella produzione fittile di quel periodo (IV sec. a.C.) in Puglia e, nello specifico, nel tarantino; inoltre la tua osservazione su di un Orfeo senza il berretto frigio, e sulla fattura inusuale delle Sirene, penso sia corretta e induca a cercare i confronti in altri ambiti di produzione delle statue in terracotta, anche molto lontani dal IV secolo a.C.”. “E, comunque- continua l’Accademico dei Lincei- sarebbe il caso che un programma di analisi archeometriche fosse effettuato nei laboratori del Cnr, e, allo stesso tempo, in qualche Istituto straniero di grande prestigio e obiettività, come quello di Mannheim in Germania, il cui rigore scientifico non potrebbe essere, in alcun caso, essere messo il discussione».
E uno. Ad un altro Accademico dei Lincei, il professor Pier Giovanni Guzzo, il gruppo fittile portato in pompa magna dal ministro nella Città dei Due Mari non è ignoto:
«Certo a riguardare questo Orfeo e le Sirene, che avevo studiato molti anni fa, qualche dubbio lo ha fatto sorgere anche in me, essendo la sua fattura piuttosto comune in Macedonia o al nord della Tessaglia e non nel tarantino e in Puglia. Comunque ha ragione il professor D’Andria ad auspicare un supplemento di indagini, ad opera magari, del nostro Consiglio Nazionale della Ricerca».
E due. Stesso quesito al professor Emanuele Greco, per molti anni Direttore della Scuola Archeologica di Atene, e, come i primi due, archeologo di livello internazionale:
«Su Orfeo e le Sirene, io condivido l’opinione di Francesco d’Andria, ma al momento non si può dire niente di più… Ho scritto a Francesco D’Andria, esprimendo il mio consenso alla sua riflessione, chiedendogli, anzi, se non sia il caso, di far girare un appello da firmare».
E tre. Come si vede, la fattura inusuale di questo gruppo fittile, in Magna Grecia, qualche dubbio lo ha instillato anche in questi tre eccelsi studiosi, per cui, davvero, per sgomberare il campo da ogni equivoco, sarebbe il caso di approfondire le indagini in un laboratorio pubblico e di assoluto prestigio come è il nostro Cnr. E, il pensiero malandrino che coglie il cronista, riguarda una vicenda sepolta nel tempo, ma ben nota agli archeologi.
E riguarda i cosiddetti “Tondi policromi di Centuripe”, dal nome di una colonia greca in Sicilia, Kenturipe, che si era distinta, fin dal V sec. a.C., per la produzione di ceramica di gran pregio, tanto che alcuni suoi grandi vasi e manufatti, sono esposti nel museo archeologico di Palermo, e al British Museum di Londra. Forse fu la rinomanza dei ceramisti di Centuripe, il motivo per cui, quando furono rinvenuti sette “tondi policromi”, riuscì ad ingannare archeologi esperti, come Giulio Emanuele Rizzo e Guido Libertini, che ne avallarono, senza alcun dubbio, l’autenticità. Erano gli anni ’30 del secolo scorso e il Duce in persona, ne garantì, con decreto la loro autenticità, tanto che con una cerimonia nazionale, i “sette tondi policromi” furono regalati al Museo Nazionale archeologico di Napoli. Allora fu uno storico dell’arte, e docente universitario, Carlo Albizzati, sfidando le ire del regime, ad avanzare fieri dubbi sull’autenticità, di quelli che ora sono conosciuti come i “tondi di Centuripe”, come prototipi di falso archeologico. Allora mancò poco che il povero Albizzati, fosse addirittura mandato al confino, querelato, fra l’altro dall’archeologo Emanuele Rizzo, che si era ritenuto leso nella sua professionalità. E, fu anche condannato, anche se quella volta — allora, come ora — grazie all’azione lenta della Giustizia, la condanna si fermò al primo grado, perché, dieci anni dopo (e intanto la gente faceva la fila al museo di Napoli, per ammirarli), un’analisi approfondita del colore, stabilì, senza alcun dubbio, che quei tondi di Centuripe erano un falso clamoroso. Certo, ora, non è il caso del gruppo di Orfeo e le Sirene, ma perché non eliminare qualsiasi dubbio affidandolo agli esperti del Cnr e dei prestigiosi Laboratori in Germania? © RIPRODUZIONE RISERVATA
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