Nell’addio alla Regina Elisabetta II c’è anche una lunga pagina di storia ippica

Oggi a Londra l’ultimo saluto della Gran Bretagna alla sua illustre sovrana. Probabilmente sarà anche un addio a un modo di regnare e di perpetuare le tradizioni del Regno Unito: tra queste il connubio tra la Corona e il mondo delle corse dei cavalli. Come proprietaria e allevatrice, Elisabetta II ebbe tante soddisfazioni morali e anche materiali (con oltre 8 milioni di sterline di somme vinte). Di fronte a tanta passione e competenza (sceglieva lei gli stalloni per le sue fattrici dopo aver studiato gli incroci di sangue) non poteva mancare, alla sua scomparsa, l’omaggio dei grandi protagonisti dell’ippica mondiale, a cominciare dello sceicco del Dubai Mohammed bin Rashid Al Maktoum che ha fatto crescere le generazioni di fenomeni che dagli anni ’80 a ieri hanno dato i maggiori dispiaceri ai colori della regina
L’articolo di CESARE PROTETTÌ
IL POPOLO BRITANNICO ha dato il suo lungo, commosso e straordinariamente partecipato addio alla Regina Elisabetta II. Probabilmente sarà anche un addio a un modo di regnare e di perpetuare le tradizioni del Regno Unito: tra queste il connubio tra la Corona e il mondo delle corse dei cavalli. Era stato re Carlo II, nel XVII secolo, a fare di Newmarket la capitale delle corse di galoppo in piano; era stata la regina Anna a fondare nel 1711 l’ippodromo di Ascot e fu re Edoardo VII il proprietario di Minoru, il vincitore del Derby del 1909. Ma nessuno ha mai avuto la passione e la competenza per le corse e per l’allevamento come la regina Elisabetta II, che nel corso degli anni con i suoi cavalli ha vinto, tranne il Derby di Epsom, tutte le corse classiche inglesi, compresa la Gold Cup, con Estimate nel 2013.
Dal padre, Giorgio VI, Elisabetta ereditò, insieme alla corona, i colori di scuderia (giubba viola con alamari dorati, maniche rosse e cap nero), portati in giro per il mondo dai suoi fantini nelle corse più prestigiose. In occasione del suo Giubileo di platino, 40 di loro si sono riuniti per formare una spettacolare guardia d’onore. Ma tutto questo, dai cavalli ai fantini, non ha mai appassionato più di tanto il figlio Carlo, attratto solo dal polo, né i nipoti William e Harry.
Io non ho mai incontrato la regina Elisabetta ma so bene, per esperienza personale, come batte il cuore di un proprietario e allevatore di una purosangue il giorno delle Oaks, la più importante corsa di selezione per femmine di tre anni. Questa corsa, nata nel 1779 a Epsom (Surrey) per iniziativa del Conte di Derby, si svolge da moltissimi anni in tutti i paesi di grande tradizione ippica. L’Italia era tra questi, prima che la politica entrasse nel mondo delle corse e la devastasse in pochi anni. Alla regina proprio le Oaks (quelle inglesi) diedero le emozioni più intense: prima con Carrozza (nel 1957) e poi, vent’anni dopo, con Dunfermline, che si sarebbe confermata super campionessa in settembre, a Doncaster, nel St Leger, corsa sempre Gruppo 1, la più lunga delle cinque “classiche” inglesi. In quegli arrivi — raccontano i suoi biografi — la regina, per l’esultanza, poteva facilmente perdere il suo impeccabile self control. (Qui l’articolo e il video della corsa: https://royalcentral.co.uk/uk/queen/racing-memories-the-queen-wins-the-epsom-oaks-in-the-year-of-her-silver-jubilee-161082/).
Chi invece ha incontrato di persona la regina e ci ha parlato (di cavalli da corsa) è stato il mio collega Pio Mastrobuoni, inviato speciale e capo del Servizio Diplomatico dell’Ansa prima di diventare portavoce del governo pentapartito del 1992 guidato da Giulio Andreotti, con il quale condivideva la passione per i cavalli e le corse. Pio mi ha affidato suoi ricordi in una testimonianza per il libro “Pezzi di Storia” (Istimedia, 2021). «La regina l’avevo intravista — scrive Pio Mastrobuoni — durante la sua prima visita, a metà degli anni Sessanta, quando era stata invitata ad assistere al Derby di galoppo alle Capannelle. All’ippodromo di via Appia, a Roma, c’era una folla strabocchevole, un po’ per curiosità, data la presenza di una regina, e molto perché a quei tempi l’ippica italiana viveva uno periodo felice della sua storia, grazie alle imprese del mitico Ribot. Non furono molti ad accorgersi che la sovrana — scesa in pista per congratularsi col vincitore del derby, Otello Fancera — evitò per un pelo di prendersi un calcio dal cavallo, innervositosi nel tondino del dissellaggio a causa della ressa di fotografi e appassionati».
Durante la sua seconda visita non c’erano corse in programma e l’ippica italiana non era più quella di un tempo. «A fare gli onori di casa — ricorda Pio — c’era Sandro Pertini, galante e premuroso, al posto di Antonio Segni. Nel programma della visita di Elisabetta II era stato incluso un incontro con la stampa in un grande albergo del centro, ma la totalità dei giornalisti presenti dava l’impressione di snobbare la regina, attorniando di preferenza il principe consorte. Si tenevano alla larga da Elisabetta II un po’ per timidezza e un po’ per soggezione». Il capo del cerimoniale della Repubblica, l’ambasciatore Marcello Guidi spinse allora un recalcitrante Pio ad andare a scambiare qualche battuta con la testa coronata più famosa al mondo. «Maestà, io l’amo molto — esordì Pio — perché condividiamo una identica passione». La replica arrivò immediata, con un’espressione divertita disegnata sul volto. «Quale passione?». «La passione per i cavalli, Maestà». «Lo sguardo della Regina si illuminò – ricorda Pio – e da quel momento non ci mancarono argomenti da trattare. Parlammo a lungo della situazione dell’ippica in Gran Bretagna e in Italia, di fantini, allenatori e proprietari, di premi al traguardo e di imposte. Tra i proprietari inglesi, le ricordai di aver conosciuto Sir Cristopher Soames, ultimo governatore britannico in Rhodesia (oggi Zimbabwe)».
Allora Pio Mastrobuoni non poteva neppure immaginare che avrebbe rivisto la regina qualche anno dopo a Buckingham Palace in veste ufficiale, da portavoce del Governo. «Si ricordava di me — racconta — o almeno questo mi fece credere, e mi dedicò qualche minuto per una piccola appendice al nostro precedente scambio di opinioni sulla situazione dell’ippica in Italia».
Nel lungo addio di questi giorni alla sua regina, il mondo delle corse di galoppo non poteva non renderle il dovuto omaggio: due giorni di sospensione di tutte le gare ippiche e due minuti di silenzio alla ripresa delle corse, a Doncaster. Naturalmente, in tanti decenni di onorata carriera come proprietaria e allevatrice, Elisabetta II ebbe tante soddisfazioni morali e anche materiali (con oltre 8 milioni di sterline di somme vinte). Di fronte a tanta passione e competenza (sceglieva lei gli stalloni per le sue fattrici dopo aver studiato gli incroci di sangue) non poteva mancare, alla sua scomparsa, l’omaggio dei grandi protagonisti dell’ippica mondiale, a cominciare dello sceicco del Dubai Mohammed bin Rashid Al Maktoum che, sui prati inglesi del Dalham Hall Stud e delle altre 12 scuderie della Godolphin a Newmarket, ha fatto crescere le generazioni di fenomeni che dagli anni ’80 a ieri hanno dato i maggiori dispiaceri ai colori della regina. Lo sceicco fu più bravo di lei a mettere sotto contratto Lanfranco “Frankie” Dettori, il fenomenale fantino italo-inglese che riuscì a vincere sette corse su sette in un pomeriggio ad Ascot il 28 settembre 1996, rovinando alcuni allibratori che avevano accettato la scommessa impossibile. E tuttavia The Queen, l’anno prima, nella riunione del Royal Ascot, era riuscita a portare “Frankie” in sella al suo Phantom Gold che, allenato da Lord Huntingdon, le regalò la prestigiosa vittoria nelle Riblesdale Stakes.
Oggi la regina Elisabetta non lascia ai suoi familiari solo i suoi amati cani, ma più di 100 cavalli, di cui due le sono stati regalati proprio quest’anno in occasione del suo giubileo di platino: uno dal presidente francese Emmanuel Macron e un altro dal presidente dell’Azerbaigian, Ilham Aliyev. Chi li erediterà? Potrebbero essere — scrivono alcuni media inglesi — la figlia della regina, la principessa Anna, e sua figlia Zara, che sono state entrambe amazzoni olimpiche. Anche se, come direbbero i puristi, tra ippica ed equitazione c’è di mezzo il mare. © RIPRODUZIONE RISERVATA