Maschile e femminile al Senato? Pussa via! La vendetta politica di Fratelli (e sorelle) d’Italia

Fin dalle elementari sappiamo che la lingua italiana ha solo due generi, il maschile e il femminile. Il neutro non esiste. Ed allora perché chiamare senatore la senatrice, segretario la segretaria, il presidente la presidente? Perché s’è fatto sempre così, contro il vocabolario, ed è ben evidente; ma lo si fa, da decenni almeno, anche contro la realtà e l’evidenza dei fatti, da quando le assemblee parlamentari sono formate da donne ed uomini eletti dai cittadini e dalle cittadine, con pari diritti e pari doveri. Ad affossare la riforma del regolamento del Senato ci ha pensato il partito della Meloni (con la complicità della Casellati)
Il commento di IGOR STAGLIANÒ
L’AVEVA CHIAMATO “Disposizioni per l’utilizzo di un linguaggio inclusivo” l’emendamento con cui la senatrice Alessandra Maiorino voleva rendere aderenti alla realtà le comunicazioni istituzionali del Senato. E quindi il nuovo regolamento di Palazzo Madama avrebbe dovuto prevedere che la parola sarebbe stata data all’onorevole senatore o senatrice, il documento inviato ai componenti e alle componenti delle Commissioni parlamentari, la convocazione al segretario o alla segretaria dell’Ufficio di presidenza, e così via.
Fin dalle elementari sappiamo che la lingua italiana ha solo due generi, il maschile e il femminile. Il neutro non esiste. Ed allora perché chiamare senatore la senatrice, segretario la segretaria, il presidente la presidente? Perché s’è fatto sempre così, contro il vocabolario, ed è ben evidente; ma lo si fa, da decenni, anche contro l’evidenza dei fatti, da quando le assemblee parlamentari sono formate da donne ed uomini eletti dai cittadini e dalle cittadine, con pari diritti e pari doveri.
Ed invece è andata a finire che — colpo di genio dei senatori e delle senatrici del partito di Giorgia Meloni — è stato chiesto il voto segreto, concesso immantinentemente dalla presidente Maria Elisabetta Alberti Casellati, ed è cascato subito subito …il vocabolario, in attesa di ben altri show-down promessi dai Fratelli e sorelle d’Italia nel parlamento prossimo venturo: i 152 “sì” al linguaggio inclusivo non sono bastati ad approvare l’emendamento della senatrice pentastellata. E all’appello sono mancate ben 18 senatrici del centro sinistra assenti al momento del voto. Ai problemi di sempre, in una parità che stenta a farsi strada — il gap salariale, le discriminazioni sul lavoro, la scarsità di servizi alla famiglia, il soffitto di cristallo —, si aggiunge la “vendetta politica” di affossare un piccolo avanzamento nell’uso della lingua italiana. A chiarire il concetto ci ha pensato la senatrice Isabella Rauti (due lauree: in lettere e in pedagogia): «Malgrado il richiamo alla parità uomo-donna, quel testo rappresenta l’anticamera dell’ideologia gender che punta a una società liquida».
Perbacco! E noi a pensare che si trattasse di dare un nome alle persone e alle loro funzioni. D’altronde, esibendo come salvacondotto «l’unico partito italiano con una leader», il buon sangue della senatrice Rauti non mente. Figlia del repubblichino fondatore dell’ultra destra fascista Ordine Nuovo, ultimo segretario della Fiamma Tricolore (che arde ancora nel simbolo della Meloni), il frutto non poteva cadere molto distante da cotanto venerato albero. Mala tempora currunt et peiora premunt, gente. Meditate cittadine e cittadini. Meditiamo bene tutti quanti: 1922 – 2022, un secolo esatto da una fatidica marcia. Le tragedie si trasformano spesso in farsa, ed è vero. Ma è meglio non rischiare, giusto? © RIPRODUZIONE RISERVATA