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“Marcello Mio” di Christophe Honoré: ironico e malinconico, con Chiara Mastroianni nei panni del padre

di Italia Libera   
“Marcello Mio” di Christophe Honoré: ironico e malinconico, con Chiara Mastroianni nei panni del padre

Christophe Honoré torna al cinema per la sua settima collaborazione con Chiara Mastroianni in Marcello mio, dal 23 maggio al cinema. Cosa accadrebbe se il mito di Marcello Mastroianni tornasse in vita sotto le vesti della figlia Chiara? Al centenario dalla sua nascita, Marcello è il vero protagonista di questa favola ironica che conquista con la sua malinconia e irriverenza. Un omaggio che riunisce Catherine Deneuve, Fabrice Luchini, Melvil Poupaud, Nicole Garcia e Stefania Sandrelli, interpretando sé stessi tra il romanzato e il reale

◆ La recensione di GIULIA FAZIO

“Marcello come here”. Si apre con una scenetta alquanto clownesca e l’iconica frase pronunciata da Anita Ekberg ne La Dolce Vita quest’opera che si dipana tra la crisi d’identità di una “figlia di” e la messa in scena delle più celebri interpretazioni dell’attore italiano più famoso di sempre: Marcello Mastroianni. Presentato al Festival di Cannes, e in contemporanea uscito nelle sale dal 23 maggio, Marcello Mio ricorda il grande attore al centenario dalla sua nascita.

Chiara Mastroianni è figlia d’arte, questo si sa. È evidente dal nome, dal volto – che palesa un’incantevole somiglianza con il padre – dalla grazia ereditata dalla madre Catherine Deneuve, e dalla carriera che si è scelta, proseguendone le orme, o accogliendone l’eredità artistica. Ma Chiara ha una crisi identitaria. Tra finzione e realtà la storia ci presenta una crepa nella sicurezza della protagonista, cui fattore scatenante è una frase, durante un provino, pronunciata dalla regista Nicole Garcia: «più Mastroianni che Deneuve». Presa alla lettera, Chiara inizia a vestirsi e pettinarsi come il padre e a farsi chiamare Marcello. Se nella vita di tutti i giorni questo l’avrebbe portata con un biglietto di sola andata in una clinica psichiatrica, nella vita luccicante e magnifica delle star del cinema – e nella favola cinematografica – questo comporta piuttosto un viaggio nell’assurdo felliniano. Chiara diviene il nottambulo Mario de Le Notti Bianche, poi Guido Anselmi di 8½, ma anche Pippo Botticella in Ginger e Fred, in una carrellata di ruoli, emozioni e personaggi indimenticabili rivisti secondo la stravaganza di Honoré. Un omaggio al cinema e alla figura paterna di Chiara, ma anche un pensiero nostalgico di una figlia che ricorda con amarezza il vuoto lasciato dalla perdita. Seppur Mastroianni era pur sempre papà Marcello che soleva chiamarla “piccola mia” o “polpetta”, strappando una lacrima per la scelta liberatoria di aprire il cassetto dei ricordi con gli spettatori.

La storia è trattata con candida ironia nonostante il pericolo di cadere nell’eccesso. Il terzo atto perde il mordente della prima parte, divenendo un’allucinazione delirante del regista. Ciò che più commuove sono i ricordi di Chiara dell’infanzia, quando con il padre premevano le orecchie sul pavimento per ascoltare la Callas al piano di sotto cantare durante le prove. La commozione è dunque inevitabile per un film dalle mille sfaccettature – alcune più riuscite di altre. Una menzione speciale va senza dubbio alle interpretazioni di Fabrice Luchini e Melvil Poupaud: le scene più divertenti sono contrassegnate dal loro talento da commedianti. Perché Marcello mio fa ridere, fa commuovere, e sa raccontare – con sfacciata irriverenza – una favola contemporanea, in un mondo senza divi, ci ricorda la loro immortalità. © RIPRODUZIONE RISERVATA

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di Italia Libera   
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