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“Liceo Giulio Cesare, una storia degli anni ’70”: nostalgia e sgomento nell’affresco a colori forti di un’epoca

di Italia Libera   
“Liceo Giulio Cesare, una storia degli anni ’70”: nostalgia e sgomento nell’affresco a colori forti...

Il libro di Enrico Girmenia (con prefazione di Walter Veltroni) ripercorre tempi e scontri che sembrano poter ritornare, specialmente dopo le prime fiammelle delle violenze del marzo 2023 a Firenze davanti al liceo Michelangelo. L’autore ci ricorda che una intera generazione ha provato a cambiare questo Paese e i suoi costumi, portando un vento di novità che fa ancora sentire i suoi effetti a distanza di tanti anni. «E tuttavia — scrive Girmenia, oggi psichiatra — non possiamo dimenticare che la droga ha distrutto un’intera schiera di ragazzi finiti in braccio alla disperazione e che molti di quelli che si sono salvati oggi si chiudono in casa in volontario esilio, isolandosi da un mondo che percepiscono come privo di significati». Lunedì 8 maggio alle 18.30 a Roma presentazione alla Libreria “Tra le righe” di viale Gorizia 29, con la partecipazione dell’autore

Chi è Enrico Girmenia

Occupandosi di giovani emarginati, di detenuti e tossicodipendenti, Enrico Girmenia ha sempre difeso una Sanità che sia al fianco dei poveri e della parte più sofferente della società. Volontario della Croce Rossa Italiana, ha partecipato a numerose missioni umanitarie in campo nazionale e internazionale, operando soprattutto nel settore della medicina di base e nelle emergenze sanitarie, senza mai abbandonare la sua passione per la scrittura. Come saggista ha pubblicato per la Casa Editrice Armando “L’analisi esistenziale” (2003), “Essere o apparire” (2005), “Il complesso di Abramo (2013), “L’eutanasia nazista” (2016) e “Psicologia della guerra moderna” (2019). E poi è arrivato “Liceo Giulio Cesare. Una storia degli anni Settanta” (2022, Albatros editore), il suo primo racconto a sfondo biografico.

La presentazione di CESARE PROTETTÌ

LA PASSIONE CIVILE, il desiderio di sentirsi protagonisti del proprio destino, l’ansia di essere utili per chi soffriva per mancanza di diritti o di libertà: tutto questo agiva nel cuore e nella ragione di molti giovani di una generazione che, 50 anni fa, negli anni del liceo, era intrisa dei valori prodotti dalla grande rivoluzione dei costumi degli anni Sessanta. Uno di loro, Enrico Girmenia — che si sarebbe laureato in Lettere e in Medicina e Chirurgia e poi specializzato in psichiatria — ha tirato fuori dal cassetto i suoi diari di liceale, ricostruendo quel tempo in cui rincorreva l’utopia della società perfetta e faceva le sue scelte su da che parte stare nella società. Ne è venuto fuori un libro “Liceo Giulio Cesare, una storia degli anni Settanta” che sarà presentato stasera alla libreria Tra le righe di viale Gorizia, a Roma, a due passi da quel liceo. Qualcuno potrebbe aver già letto qualche pagina di questo libro sul Corriere della Sera: «Quando, con il direttore Fontana — scrive Walter Veltroni nella prefazione — abbiamo deciso di pubblicare una parte del diario sul “Corriere” lo abbiamo fatto convinti che fosse esemplare di un tempo collettivo. E che forse ragazzi con altre idee potrebbero aver scritto parole uguali e contrarie. Il libro di Girmenia, come spesso sono i diari, mette a contatto con una stagione della nostra vita. La si sia vissuta o letta sui libri, l’emozione non cambia».

Emozioni e scelte che riaffiorano sedendosi per esempio nel posto dove “Nietzsche e Marx si davano la mano…”, quel bar Tortuga cantato da Antonello Venditti in “Compagni di scuola”. Antonello Venditti era stato uno degli studenti di quel liceo insieme – in tempi diversi – a Marco Pannella, Maurizio Costanzo e tanti altri personaggi del mondo dello spettacolo, della letteratura e della politica. Scriveva Venditti in quella canzone (dell’album Lilly):

“E il tuo impegno che cresceva
sempre più forte in te…
Compagno di scuola, compagno di niente
ti sei salvato dal fumo delle barricate?
Compagno di scuola,
compagno per niente
ti sei salvato
o sei entrato in banca pure tu?”.

È la domanda che ci facevamo mentalmente in una cena di qualche tempo fa con ex compagni e compagne del liceo Mamiani, guardandoci in faccia dopo cinquant’anni, un po’ attempati, molti in pensione da tempo, ma comunque tutti mediamente ben “sistemati”.  E qualcuno, nei capannelli tra gli amici più stretti dell’epoca, lo sentivo dolorosamente domandarsi “Ma era questa la società che volevamo lasciare ai nostri figli?”. “Dove e perché abbiamo fallito?”.

Girmenia con questo libro ci ricorda che una intera generazione ha provato a cambiare questo paese, portando un vento di novità che fa ancora sentire i suoi effetti a distanza di tanti anni. «E tuttavia — scrive l’autore — non possiamo dimenticare che la droga ha distrutto un’intera schiera di ragazzi finiti in braccio alla disperazione».  In quegli anni in Italia cominciavano ad arrivare, soprattutto dal mondo anglosassone, nuove suggestioni. La musica rock, il cinema alternativo, la letteratura di Hemingway e Dos Passos, il pacifismo e i “figli dei fiori”, furono tutte delle novità che contribuirono a scuotere un mondo troppo provinciale e perbenista come quello italiano. E tutti furono spiazzati da questa richiesta di rinnovamento». La canzone di Bob Dylan Forever Young fu una sorta di inno generazionale: “Che tu possa sempre fare qualcosa per gli altri. E lasciare che gli altri facciano qualcosa per te. Che tu possa costruire una scala verso le stelle. E salirne ogni gradino.

Il libro di Girmenia ci riporta, anche attraverso queste suggestioni, in un mondo che non esiste più, ma che fa ancora sentire i suoi effetti su tutti noi che viviamo in un Paese così profondamente cambiato. Un racconto che si snoda sullo sfondo di grandi avvenimenti e fondamentali incontri: la guerra del Vietnam e il mondo degli hippy, il mito dell’Oriente e il sogno di un viaggio in India, l’amore per i libri di Kerouac e Pasolini, l’incontro con la politica e la contestazione. 

«Nessuno di noi vive al riparo del proprio tempo — scrive Walter Veltroni — e talvolta i condizionamenti degli eventi generali determinano il cammino della nostra vita assai più di quanto noi possiamo immaginare e talvolta capire. Enrico racconta con grande forza questo intreccio, la compenetrazione del formarsi di una vita di adolescente con i sommovimenti della fine degli anni Sessanta e della prima metà dei Settanta. In quei tempi era assai difficile, anche a volerlo, separarsi dal grande flusso della storia…  È stato un tempo che la memoria non ha il diritto di ripulire dal suo lato oscuro: la follia ideologica che poi è diventata guerra e violenza e morte».

Bastano i titoli di alcuni paragrafi del libro di Girmenia per ricordare questi lati oscuri e la violenza di quegli anni: La strage di Piazza Fontana, Antisemitismo a scuola, L’ambiguità del pacifismo, La guerra del Kippur e le domeniche a piedi, Le Olimpiadi di Monaco del 1972, La politicizzazione del ’68 e l’utopia della società perfetta, Beat generation e New Left americana, La guerra del Vietnam, Il rogo di Primavalle, I delitto del Circeo, Il colpo di stato in Cile del 1973, Si diffonde l’eroina. Altri paragrafi riportano a personaggi fondamentali di quegli anni: Kerouac e il suo “Sulla strada”, Angela Davis a Roma, Joan Baez, Il grido d’allarme di Pasolini, fino all’ultimo: Una conclusione che non conclude.

Nel libro c’è anche il racconto di una Roma che cambiava rapidamente, moltiplicando gli abitanti e le contraddizioni. I ceti popolari che venivano espulsi da centro storico per lasciare il posto ai turisti, ai cittadini benestanti e alla politica. E nascevano i ghetti di Tor Bella Monaca e di Corviale. È il mese di giugno 1976 e Girmenia scrive sul suo diario: «Sulla Tiburtina stanno costruendo intere file di palazzi tutti grigi e anonimi in cui è prevedibile che le persone usciranno fuori di testa… Bisogna assicurare un tetto a molti che la casa non ce l’hanno. Però vedo che stanno facendo delle vere e proprie deportazioni degli abitanti del centro verso questa assurda e terribile periferia da cui le persone non usciranno più. E alla fine gli abitanti si adatteranno alla vita da alveare che i politici hanno previsto per loro. Grigiore e lavoro. Un mondo in cui tutto è uguale e non c’è colore… Una landa monotona che produrrà solo omologazione e tristezza esistenziale… Aumenteranno i drogati e i delinquenti…”. 

Girmenia, all’interno di una famiglia del ceto medio, getta uno sguardo all’indietro anche sulla borgata Fidene, dove don Penazzi l’insegnante di religione della sua classe aveva proposto ai suoi studenti di andare un giorno alla settimana ad aiutarlo a dare ripetizioni ai ragazzi poveri. Anche qui tante case in costruzione (siamo nell’ottobre 1971) e ancora qualche baracca dove vivono prevalentemente i muratori meridionali. E c’è fango dappertutto perché l’amministrazione comunale non ha costruito neppure i marciapiedi. Molti dei ragazzi non capiscono bene neanche l’italiano, ma — scrive Girmenia — l’opera di don Penazzi contiene in sé un doppio messaggio: offrire loro la possibilità di migliorarsi a scuola e al tempo stesso portare un gruppo di liceali ad occuparsi di una realtà che normalmente non conoscerebbero».  E oggi? «Oggi si profilano nuovi pericoli, ancora più subdoli e difficili da decifrare. Nuove sfide che richiedono nei giovani la più ampia coesione e l’esercizio della critica, così come hanno fatto gli artefici della controcultura degli anni Sessanta, i primi a lanciare, con la loro protesta, un grido di allarme per i destini dell’uomo». © RIPRODUZIONE RISERVATA

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