La violenza di genere e il reato di femminicidio: Meloni fa uno spot e si affida al populismo penale

La violenza contro le donne è un problema molto serio nel nostro Paese; esprimere un giudizio negativo sul disegno di legge annunciato dal ministro Nordio ai primi di marzo risulterebbe di certo molto impopolare. Eppure, qualche riflessione critica può essere opportuna esplicitarla. Qual è l’effettiva utilità pratica di un nuovo reato, visto che per l’omicidio aggravato è già prevista la medesima pena, cioè l’ergastolo? L’unica vera utilità di questa nuova fattispecie di reato sarebbe meramente simbolica che suscita perplessità anche di carattere costituzionale. Se ne può parlare senza sterili anatemi?
◆L’intervento di MATTEO BERSANI
Il 7 marzo, in vista della festa della donna, il governo Meloni ha presentato un disegno di legge che mira ad introdurre nel nostro ordinamento penale il reato di femminicidio come fattispecie autonoma. Una misura che, nelle intenzioni dell’esecutivo, vuole dimostrare attenzione e impegno nella lotta alla violenza di genere. Questo disegno di legge ha trovato un deciso apprezzamento da tutte le forze politiche, sia di maggioranza che di opposizione. D’altra parte, è innegabile che il problema della violenza di genere sia estremamente serio e preminente nel nostro Paese; per questo, esprimere un giudizio negativo su tale provvedimento risulterebbe di certo molto impopolare. Eppure, questa nuova fattispecie delittuosa presenta molte criticità, anche di carattere costituzionale.
Il presupposto fondamentale di questo intervento è la volontà del legislatore di inasprire le pene per i delitti commessi contro le donne. Si stabilisce, infatti, che la pena prevista per il reato di femminicidio è l’ergastolo. Tuttavia, non si rileva alcuna utilità pratica di questo provvedimento, dato che, per il reato di omicidio aggravato, era già prevista la medesima pena. Basti pensare ad uno dei casi di femminicidio che più ha fatto clamore nella nostra opinione pubblica, il caso Turetta. Al termine di quel processo, l’imputato fu condannato per omicidio aggravato e gli fu comminata proprio la pena dell’ergastolo. Di fatto, il femminicidio non è altro che un omicidio con delle aggravanti; per questo non si evince alcuna utilità pratica nell’iniziare a considerarlo una fattispecie autonoma, tantomeno dal punto di vista della pena.
L’unica vera utilità di questa nuova fattispecie di reato sarebbe meramente simbolica. Ma questo, pur velatamente, non l’ha nascosto nemmeno il ministro della Giustizia, che, in un passaggio della conferenza stampa di presentazione del provvedimento, ha dichiarato: «costituisce soprattutto una manifestazione potente di un’attenzione a questa problematica». Si tratta di un esempio plastico di “populismo penale”, ovvero di provvedimenti che vengono adottati soltanto per avere un impatto emotivo sull’opinione pubblica, pur senza una reale rilevanza pratica. In realtà, bisogna ammettere che un qualcosa di davvero “epocale”, come sostiene il ministro Nordio, questo disegno di legge lo ha davvero. Infatti, con il femminicidio, entra nel nostro ordinamento penale il linguaggio di genere. Testualmente, si prevede che viene punito «chiunque cagiona la morte di una donna […] in quanto donna». Condizione, peraltro, difficilmente dimostrabile nella pratica.
In generale, nel nostro ordinamento, alcune condotte vengono criminalizzate per tutelare dei beni giuridici che il legislatore considera particolarmente importanti. Ad esempio, nel caso dell’omicidio, viene protetto il bene della vita. Nel caso del femminicidio si vuole creare un nuovo reato (diverso dall’omicidio) per proteggere il bene della vita femminile. Ma questo non comporta un’evidente disparità di trattamento tra i sessi? L’articolo 3 della Costituzione sancisce che «tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzioni di sesso […]». L’incompatibilità di questo principio con il reato di femminicidio è molto evidente, perciò la sua costituzionalità è francamente molto dubbia. Inoltre, in tutto ciò, cosa accadrebbe nel caso in cui ad essere vittima di delitto non fosse biologicamente una donna ma una persona transgender o nel mezzo di un percorso di transizione sessuale? L’ordinamento penale è uno strumento talmente forte che può addirittura limitare i diritti fondamentali e le libertà personali, perciò più di ogni altro dovrebbe evitare qualsiasi tipologia di diseguaglianza.
Come si è cercato di esplicare in queste righe, questo disegno di legge così elogiato da ogni parte politica, presenta non poche criticità. In parole povere, si tratta di un semplice spot del governo contro la violenza sulle donne. Però, per gli spot e il populismo, non si gioca con le leggi penali. La soluzione migliore, invece che sprecare il tempo con questi provvedimenti meramente simbolici, sarebbe stata incentivare una sensibilizzazione alla diversità e all’educazione con degli interventi strutturali. Bisognerebbe puntare sulla prevenzione, anziché sperare di intimorire i criminali riproponendo pene interminabili. Il problema di fondo è che questo, purtroppo, passerebbe troppo in sordina e, soprattutto, finirebbe per non essere abbastanza efficace nell’incrementare il consenso dell’esecutivo. © RIPRODUZIONE RISERVATA
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