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La radicalizzazione della scena, il Centro ambito e l’inane contesa tra Bibì (Renzi) e Bibò (Calenda)

di Italia Libera   
La radicalizzazione della scena, il Centro ambito e l’inane contesa tra Bibì (Renzi) e Bibò (Calenda)

I due partitini che testarono quello spazio elettorale raccolsero, sommati insieme, un suffragio intorno all’8%, cifra che prometteva la prospettiva della doppia cifra, che sarebbe oggi superiore sia a Forza Italia che alla Lega. Fu il classico caso di suicidio non assistito di Azione e Italia Viva. Tutto naufragò a causa della vanità e della permalosità dei due comprimari: Renzi e Calenda. Il motto di Matteo è “cogli le opportunità”, qualsiasi opportunità. Carlo invece sembra un ragioniere che ha eletto l’equidistanza a regola fondativa della sua “centralità”. Fuori dal Parlamento europeo si sono auto azzoppati, ma ne vedremo ancora delle belle

◆ Il pensierino di GIANLUCA VERONESI

► Per mezzo secolo siamo stati governati da uomini di centro. Ma la Democrazia Cristiana godeva di un apprezzamento così vasto da essere costretta ad organizzarsi per “correnti” onde offrire, ad un elettorato molto articolato, ricette personalizzate in funzione delle diverse sensibilità, pur all’interno di un unico e solidale “moderatismo” di partito. Naturalmente le correnti, oltre che a presidiare un consenso pluralista, servivano anche a far diventare leader nazionali i loro capi corrente, a vincere i congressi interni, ottenere collegi elettorali sicuri e conquistare prestigiosi incarichi in aziende pubbliche. A forza di caratterizzarsi e differenziarsi, le correnti “estreme” sono diventate poi partiti autonomi.

Oggi il centro sembra scomparso. Ciò è dovuto alla radicalizzazione della scena politica italiana in seguito alla netta vittoria della destra. A cui ha fatto seguito – fisiologicamente – una più netta polarizzazione del Pd che ha portato alla segreteria Elly Schlein. Ma alle elezioni generali di due anni fa potevi scommettere che uno spazio ci fosse ancora? Potevi pensare che elettori moderati ma politicamente attivi, informati ed europeisti potessero parcheggiare lì, al centro, il loro voto, in attesa di verificare Meloni all’opera? Se parcheggio c’è stato, esso ha avuto più la forma dell’astensione.

Detto questo, i due partitini che testarono quello spazio elettorale raccolsero, sommati insieme, un suffragio intorno all’8%, percentuale che prometteva la prospettiva della doppia cifra, che sarebbe oggi superiore sia a Forza Italia che alla Lega. Fu il classico caso di suicidio non assistito. Tutto naufragò a causa della vanità e della permalosità dei due comprimari: Renzi e Calenda. Noi italiani siamo masochisti, pensiamo di avere la peggiore classe dirigente d’Europa ma due leader così sarebbero più che sufficienti a costruire una presenza politica moderna, stimolante e con le giuste relazioni internazionali. Due uomini politici di tutto rispetto, intelligenti e preparati. Che tuttavia non hanno capito che la politica è attività collettiva, faticosa, ingrata, che viene quasi sempre equivocata e non uno spettacolo massmediale o una performance da prima donna.

Mi fanno ridere coloro che sostengono che bisognerebbe trovare un uomo “terzo” che per prestigio e statura sappia fare ai due da federatore. Neanche a Pico della Mirandola i due accetterebbero di fare da gregari. Renzi ama stupire e spiazzare, Calenda – al contrario – dimostrare serietà e combattere la demagogia. Ciascuno dei due pensa di avere inventato l’altro e di essere stato ripagato con l’ingratitudine (Calenda fu a capo della rappresentanza italiana a Bruxelles e poi ministro nel governo Renzi). L’ex sindaco di Firenze è uno scatenato movimentista, viaggia a mille all’ora, ha il senso dell’ironia e della provocazione. Calenda ha il passo lento e cerca le contraddizioni logiche nel ragionamento altrui (e ne trova tantissime).

Renzi bada poco alla coerenza e punta sempre a massimizzare il risultato. Per Matteo (e anche per Elly) un goal annullato è già un buon pretesto per mischiare le carte. Il suo motto è “cogli le opportunità”, qualsiasi opportunità. Carlo invece sembra un ragioniere che ha eletto l’equidistanza a regola fondativa della sua “centralità”: se ha dato ragione al Pd nelle due ultime polemiche, darà ragione al Governo alla prossima, qualunque essa sia. 

Certo, non essere presenti nel parlamento europeo, è un grave smacco per due politici così ambiziosi, che sanno che tutto ciò che c’è di importante succederà lì. In tanto provincialismo italiano la “geopolitica” è indispensabile. Ne sono così consapevoli che uno ne ha fatto addirittura un mestiere con “solide” soddisfazioni. Il Paese ha perso un’occasione per sempre? Tutto il contrario: ne vedremo delle belle. © RIPRODUZIONE RISERVATA

di Italia Libera   
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