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La nuova strage sul lavoro, stavolta in un deposito dell’Eni a Calenzano. E l’Italia resta sempre il Paese del “dopo”

di Italia Libera   
La nuova strage sul lavoro, stavolta in un deposito dell’Eni a Calenzano. E l’Italia resta sempre...

Le leggi che tutelano la sicurezza del lavoro possono (e debbono) essere ulteriormente potenziate, ma già dal 2008 sono sufficienti a fermare la scia di sangue nei cantieri, nelle piccole e nelle grandi imprese. Mancano i controlli da parte degli organi di vigilanza, e la giustizia penale non sembra far più paura a nessuno. Cresce un senso d’impunità perché i processi penali sui morti di lavoro o non si fanno, o si fanno con una tale lentezza o superficialità che prima di arrivare al verdetto finale della Cassazione si concludono con la prescrizione del reato. La Procura nazionale in materia di sicurezza sul lavoro darebbe incisività e forza al contrasto dei comportamenti che alimentano stragi ripetute e stillicidi quotidiani. E, quando accade un infortunio in un grande ipermercato, in un deposito di carburanti, su una gru, su un ponte, su una funivia, su una linea ferroviaria, si potranno disporre anche altri accertamenti: in quale stato versano gli altri ipermercati, gli altri depositi, le altre gru, gli altri ponti, le altre funivie, le altre linee ferroviarie nel Paese? Prospettate le aggravanti del reato di omicidio colposo

◆ L’analisi di RAFFAELE GUARINIELLO, giurista

Dopo. È diventata la nuova parola d’ordine. Infortuni, disastri, nelle piccole come nelle grandi imprese. Ma dopo. Già: dopo. Dopo come prima. Almeno per ora. Non che manchino nuove norme. Solo che non affrontano problemi nodali. O, se li affrontano, li affrontano in termini insufficienti. Uno degli ultimi esempi: la patente a punti. Domanda: produrrà davvero l’effetto d’innalzare i livelli di sicurezza nel nostro Paese? Risposta: temo di no. Le imprese non sono tenute ad ottenere la patente a punti se operano nel settore – attualmente quanto mai bersagliato da infortuni e disastri – degli appalti e subappalti intra-aziendali, e per giunta la ottengono anche a condizioni palesemente insufficienti: tipo il mero “possesso” del Documento di Valutazione dei Rischi, non importa dunque se incompleto, insufficiente, inadeguato, generico, non veritiero, e, dunque, proprio le ipotesi che abitualmente emergono nella prassi come causa d’infortuni. Con una conseguenza dirompente: che si apre la strada al rilascio della patente a punti anche se il datore di lavoro abbia sostanzialmente violato un obbligo fondamentale come la valutazione dei rischi.

E allora? E allora occorre comunque non rassegnarsi. Una fortuna ce l’abbiamo. Le leggi che tutelano la sicurezza del lavoro possono (e debbono) certo essere ulteriormente potenziate, ma già dal 2008 sono in grado di fornire strumenti preziosi. Basti evocare tre principi:

nelle imprese gestite da società di capitali, gli obblighi inerenti alla prevenzione degli infortuni, posti dalla legge a carico del datore di lavoro, gravano sui componenti del consiglio di amministrazione  ed è questo datore di lavoro che non può permettersi di sbagliare, né può essere perdonato, perché ha l’obbligo di analizzare, secondo la migliore evoluzione della scienza tecnica, tutti i fattori di pericolo concretamente presenti all’interno dell’azienda, e che è chiamato a rispondere anche nel caso in cui per un errore non sia stata adottata idonea misura di prevenzione le misure antinfortunistiche debbo essere adottate in qualsiasi luogo in cui il lavoratore deve o può recarsi per provvedere ad incombenze di qualsiasi natura in relazione alla propria attività, anche fuori dei locali aziendali, per la strada o lungo l’autostrada, all’estero. Principi, per giunta, destinati ad accrescere ulteriormente il proprio peso sotto la pressione sempre più incalzante esercitata dalle Istituzioni Europee, e, in particolare, dall’Eu-Osha (Agenzia europea per la sicurezza e la salute sul lavoro), su vari fronti, dai rischi emergenti all’Intelligenza Artificiale. E principi che – secondo quanto avrebbe intenzione di proporre la Commissione che al ministero della Giustizia si sta occupando di sicurezza sul lavoro – si vorrebbe rafforzare mediante la previsione di apposite aggravanti del reato di omicidio colposo.

Tutto questo, però, sulla carta. I principi occorre farli rispettare. Sentiamo spesso dire che mancano i controlli da parte degli organi di vigilanza, e questo è certamente vero. Ma determinante è purtroppo il fatto che la giustizia penale non sembra far più paura a nessuno. E ben se ne comprende la ragione: i processi penali sui morti di lavoro o proprio non si fanno, o si fanno con una tale lentezza o superficialità che prima di arrivare al verdetto finale della Cassazione si concludono con la prescrizione del reato se non addirittura con l’assoluzione. Inevitabile che possa diffondersi un senso d’impunità, l’idea che le regole c’erano e ci sono, ma che si potevano e si possono violare senza incorrere in effettive responsabilità. È che troppe sono le procure della Repubblica chiamate ad operare anche in materia di sicurezza sul lavoro. Con questo risultato. Che vi sono procure della Repubblica (poche) specializzate, e procure della Repubblica (la maggior parte) non specializzate, e per lo più con un organico a tal punto ridotto da impedire ai pochi magistrati presenti di farsi la competenza e l’esperienza necessarie. Rimane istruttivo il caso ThyssenKrupp. Ci sono voluti 10 anni per arrivare alla fine del processo. Ma il processo si è salvato dalla prescrizione. Perché? Perché si sono impiegati 2 mesi e mezzo per fare le indagini. E non perché a condurle fossero magistrati più bravi degli altri. La ragione è che le indagini furono fatte da magistrati specializzati. 

Ecco perché dobbiamo creare la Procura nazionale in materia di sicurezza sul lavoro. Anche perché altrimenti resta largamente insoddisfatta un’ulteriore esigenza, quella di svolgere finalmente in tutto il territorio nazionale azioni sistematiche e organiche di prevenzione in ordine ai problemi che maggiormente insidiano la vita e la salute dei lavoratori, traendo, altresì, ma non solo, spunto dalle tragedie ormai consumate. Accade l’infortunio in un grande ipermercato, in un deposito di carburanti, su una gru, su un ponte, su una funivia, su una linea ferroviaria. Più che mai necessario è sviluppare indagini incisive e rapide sullo specifico evento. Ma non basta. Occorre anche porsi degli interrogativi: in quale stato versano gli altri ipermercati, gli altri depositi, le altre gru, gli altri ponti, le altre funivie, le altre linee ferroviarie nel Paese? Si tratta di interrogativi che allo stato attuale rimangono senza risposta. Ogni procura della Repubblica ha un’area limitata di competenza territoriale, e non può certo mettersi ad allargare le indagini nelle altre zone del Paese. Ben diverso sarebbe l’approccio di una Procura nazionale, legittimata a promuovere finalmente in tutto il territorio nazionale i necessari accertamenti.  

Si tratta di un’esigenza – la specializzazione – che riguarda i pubblici ministeri, ma a ben vedere anche i giudici di merito. Ce ne dà una riprova una recentissima sentenza della Cassazione. Nel corso di lavori di manutenzione di una idrovia appaltati da una agenzia interregionale, due dipendenti della s.r.l. appaltatrice sono travolti da una repentina e violenta inondazione, e muoiono per annegamento. Il Tribunale condanna per omicidio colposo i responsabili dell’agenzia committente e della s.r.l. appaltatrice. Ma poi la Corte d’appello li proscioglie per prescrizione del reato. La Cassazione rileva però che la prescrizione è stata applicata per errore, e allora annulla il proscioglimento e rimanda gli atti alla Corte d’appello. Solo che l’infortunio è accaduto anni e anni fa, e, quindi, il reato rischia effettivamente di prescriversi prima della fine del procedimento. © RIPRODUZIONE RISERVATA

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