L’Italia dei malati con la valigia. Ecco perché l’autonomia differenziata minaccia il diritto alla salute

L’Italia dei malati con la valigia. Ecco perché l’autonomia differenziata minaccia il diritto alla salute

È uno dei nodi più preoccupanti dell’autonomia differenziata: la sanità. Quella che dovrebbe essere diritto di tutti, ma rischia di essere il diritto mancato di tutti: per assenza di nuove risorse, per tagli al bilancio, per burocrazia e disorganizzazione, per mancanza di personale, per la concorrenza del privato.  C’è il rischio che vada addirittura ad aumentare il divario tra Nord e Sud, anche in questo campo, dove c’è già il fenomeno dei malati che chiedono di curarsi in altre regioni. Le prime richieste per una maggiore autonomia anche in campo sanitario sono state presentate da Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna sei anni, fa quando a capo del governo c’era Paolo Gentiloni, e una pre-intesa con queste tre regioni è stata siglata nel febbraio del 2018

L’articolo di COSIMO GRAZIANI

NEL DIBATTITO SULLA RIFORMA dell’autonomia differenziata voluta dal governo Meloni, il tema della sanità è tra le questioni più spinose. In un Paese in cui la disparità regionale nel settore è una piaga che va avanti da anni, il timore fondato è che la voragine si ampli ancora di più fino a diventare incolmabile e minare quello che più di tutti è il pilastro dello stato sociale – tra l’altro già fortemente sofferente per i postumi della pandemia. Nell’ultimo rapporto GIMBE sul regionalismo differenziato nella sanità sono riportati i dati del ministero della Salute che certificano la discrepanza. La differenza socioeconomica tra Nord e Sud è anche causata dalla differenza di prestazioni sanitarie garantite da ogni regione. Tali prestazioni sono definite “Livelli essenziali di assistenza” (Lea) e il ministero ogni anno valuta il loro adempimento. L’Osservatorio Gimbe ha analizzato quello del periodo 2010-2019 e le regioni che garantiscono di più queste prestazioni sono Emilia-Romagna, Toscana, Veneto, Piemonte e Lombardia. I sistemi regionali che li garantiscono di meno sono quelli della Puglia, della Valle d’Aosta, della Calabria, della Campania, della provincia di Bolzano e della Sardegna – anche l’Osservatorio, nella sua misurazione, specifica che le ragioni a statuto speciale non sono soggette alle stesse valutazioni delle altre regioni da parte del ministero.

Altro fenomeno riportato dal centro Gimbe è quello della mobilità intraregionale per ragioni sanitarie. In questo caso la spaccatura da Nord e Sud risulta ancora più evidente: per misurare il fenomeno si usano i valori delle compensazioni finanziarie tra regioni per i servizi erogati ai cittadini non iscritti alle Asl dove le stesse vengono erogate. Per misurare l’attrattività di una regione si contano i fondi ricevuti per i servizi forniti a persone registrate in una Asl differente rispetto a quella del servizio. Le regioni che ricevono più compensazioni sono Lombardia, Emilia-Romagna, Toscana, Veneto e Molise, quelle che ricevono pazienti provenienti da altre parti del Paese.  Le regioni da cui i pazienti “scappano” di più sono Campania, Calabria, Lazio, Sicilia e Puglia, che infatti registrano un debito maggiore in questo meccanismo di compensazioni.

Tutta la riforma dell’autonomia differenziata si basa sul principio per nulla democratico che chi ha di più sta da solo e gli altri si arrangino, non a caso è portata avanti dalle regioni più sviluppate economicamente e più integrate nei mercati internazionali. E si basa su una maggiore iniziativa delle regioni sull’autonomia, che secondo l’articolo 2 dello schema di disegno di legge approvato dal governo lo scorso 2 febbraio trasmette l’atto per l’attribuzione dell’autonomia direttamente al Presidente del Consiglio dei ministri – scavalcando il Parlamento – che viene interpellato solo quando la trattativa tra Governo e Regioni cessa per l’approvazione. Sembrerebbe che la riforma vada ad intaccare alcuni aspetti importanti del nostro ordinamento giuridico, esattamente come sembrerebbe vada ad intaccare la garanzia del diritto alla salute per i cittadini. Le richieste per una maggiore autonomia anche in campo sanitario non sono state presentate adesso in concomitanza con la bozza del 2 febbraio, ma vengono discusse dal 2017, anno in cui iniziarono le trattative tra regioni e Governo Gentiloni. Con la riforma tali richieste potrebbero essere concesse.

Esistono però parecchie perplessità riguardo le proposte portate aventi dalle tre regioni, che come abbiamo visto sono quelle che garantiscono i maggiori servizi e a cui fanno riferimento molti cittadini delle altre regioni. Un punto su cui le tre regioni cercano di lavorare allo stesso modo è l’integrazione tra lavoro e preparazione universitaria, il che in sé non è negativo considerata la necessità del ricambio di dottori di cui necessita il nostro sistema. I dubbi sorgono per quanto riguarda le funzioni al sistema tariffario, la remunerazione, la governance delle aziende e degli enti, la gestione del personale.

Sul sistema di rimborso sanitario e tariffario – aspetto limitato solamente ai residenti della regione – il rischio è di garantire costi più bassi e impedire a chi risiede in altre regioni di accedere ad un servizio più conveniente o totalmente assente nella regione di provenienza. Si verrebbe a creare così una violazione del diritto alla salute garantito nella Costituzione. ​Altro aspetto critico è la gestione del personale e la remunerazione. La Regione Veneto ha chiesto maggiore libertà nella gestione del personale, inclusa la regolamentazione dell’attività libero-professionale. Tale richiesta può sfociare in più medici pagati in partita Iva per risparmiare sui costi? Se così fosse, la preoccupazione maggiore riguarderebbe la remunerazione per questi professionisti – le partite Iva in Italia sono spesso sottopagate – e le condizioni di lavoro. Inoltre, sottolinea l’Osservatorio Gimbe, la richiesta di contrattazione regionale integrativa rischia di sfociare in una concorrenza tra le regioni e di indebolire in maniera persistente la contrattazione collettiva nazionale e il ruolo dei sindacati.

Ultima criticità è la gestione delle strutture: mentre l’Emilia-Romagna ha sottolineato che la sua richiesta riguarda l’organizzazione della rete ospedaliera – domanda: si continuerà con la creazione di grandi strutture ospedaliere per decine di migliaia di utenti o si tornerà alla creazione di piccole strutture più diffuse? – la Lombardia e il Veneto giustificano la loro richiesta per rendere maggiormente coerenti con le specifiche necessità delle singole regioni. In altre parole si lascia spazio allo sviluppo di alcuni settori clinici rispetto ad altri. C’è da chiedersi se questo sia il giusto modo di garantire la sanità e se tale modo non lasci indietro coloro che vengono colpiti da patologie che non rispecchiano le esigenze della comunità.

Un’ultima riflessione viene osservando le richieste che potrebbero essere esaudite se la riforma dell’autonomia venisse approvata da questo governo: qual è il ruolo dei privati in tutto ciò? La gestione dei costi e dei servizi nel nostro paese negli ultimi decenni è passata per un ruolo sempre maggiore dei privati nei suoi servizi essenziali. A fronte di tanti benefici spesso sbandierati – come proprio la migliore fornitura dei servizi e la gestione dei costi – ma che non hanno trovato riscontro nella realtà, nella sanità il ruolo del pubblico ne è uscito a pezzi e sostituito poco a poco. Siamo sicuri che nelle regioni più industrializzate d’Italia l’autonomia non vada in questa direzione, magari creando differenze di prestazione anche per quegli abitanti che avrebbero dovuto giovare delle riforme? © RIPRODUZIONE RISERVATA