L’identità storica di Balneolum, la mangiatoia della bonifica e l’incultura della classe dirigente di Napoli

L’identità storica di Balneolum, la mangiatoia della bonifica e l’incultura della classe dirigente di Napoli

In tutti questi anni la bonifica di Bagnoli ha rappresentato un’enorme voragine per l’erario. Prima del commissariamento si sono spesi circa 600 milioni di euro. Il nuovo piano approvato dal Commissario nel 2019 stima in 1.800 milioni di euro le somme necessarie. La nuova gestione commissariale ha aumentato questa cifra. Se dopo 30 anni di sprechi, di studi e di immobilismo dobbiamo ancora affidare consulenze milionarie per studiare, di nuovo, la questione, vuol dire che non si è capito cosa è accaduto. La storia del sito ha trasformato una bonifica, non necessaria, in un perverso meccanismo di inefficienza. Dotato, però, di diabolica efficienza, tenendo tutto immobile e assorbendo risorse pubbliche senza sosta

L’articolo di CARLO IANNELLO, giurista
È UNA DELLE PAGINE di mala gestio più tristi della storia del Paese. L’ultimo atto di questa più che trentennale vicenda della bonifica di Bagnoli è rappresentata da una recente sentenza della Corte d’Appello che ha assolto gli amministratori condannati in primo grado per la mancata bonifica dei suoli. Per capirne la gravità occorre fare un passo indietro. La storia comincia nel 1991, anno della dismissione dell’Italsider. Appena insediata, la giunta Bassolino nel 1993 lavorò per una pianificazione che restituisse Bagnoli ai cittadini, prevedendo un grande parco verde e il recupero della spiaggia. Ogni trasformazione era subordinata alla bonifica dei suoli. 

Nel 1996 la legge affidò la bonifica all’Iri (che costituì la Bagnoli s.p.a), la quale non fece praticamente nulla. Nel 2002 il compito di bonificare l’area passò alla Bagnolifutura, una società comunale nata con una missione che non poteva che condurla al fallimento: divenuta proprietaria dei suoli, si sarebbe dovuta far carico di tutte le attività onerose (bonifica e infrastruttazione), vendendo poi i suoli ai privati, che avrebbero lucrato l’immenso  profitto dell’immobiliarista. Ma anche questo progetto perverso non andò in porto. Dopo aver bonificato una parte dei suoli (prima che la magistratura contestasse la correttezza della bonifica), la società indisse plurime gare, andate tutte deserte, nonostante le condizioni per i privati, gara dopo gara, fossero ritoccate sempre in senso più favorevole alla speculazione. Nessun operatore di mercato dava fiducia alla Bagnolifutura che nel 2014 è farsescamente fallita per iniziativa della creditrice Fintecna, cioè di un pezzo dello Stato. Dopo il fallimento, per evitare che i suoli fossero venduti all’asta, l’allora governo Renzi li attribuì con decreto legge a Invitalia e affidò il governo dell’area a un commissario. 

In tutti questi anni la bonifica di Bagnoli ha rappresentato un’enorme voragine per l’erario. Prima del commissariamento si sono spesi circa 600 milioni di euro. Il nuovo  piano approvato dal Commissario nel 2019 (dopo 5 anni di lavori!) stima in 1.800 milioni di euro le somme necessarie. La nuova gestione commissariale ha ritoccato verso l’alto questa cifra: la sola bonifica del mare, comprensiva anche della rimozione di una colmata di 20 ettari che sfregia la costa, costerebbe un altro miliardo, ma ha persino messo in dubbio, seguendo un consolidato copione, che ciò sia tecnicamente possibile.

Torniamo alla recente sentenza. I giudici hanno ribaltato il giudizio di primo grado che aveva condannato, fra gli altri, anche alcuni amministratoti di questa società stabilendo che «il fatto non sussiste». Premesso che occorre attendere le motivazioni, possiamo comunque formulare due ipotesi. La prima rivoluzionaria. Il «fatto non sussiste» vorrebbe dire che la bonifica è avvenuta correttamente e che non ci sarebbe stata nessuna mala gestio. Si dovrebbe, dunque, aprire subito l’area alla città. Questa lettura legge l’assoluzione sul piano penale come un’assoluzione anche dell’incapacità gestionale. Ma c’è una seconda ipotesi, più verosimile. Il «fatto non sussiste» implicherebbe solo che nessun reato è stato commesso, senza alterare la triste pagina della gestione del sito. Infatti, il giudice penale non dà patenti né di buona né di cattiva amministrazione.

L’insipienza del ceto politico-amministrativo locale e nazionale ha di fatto sequestrato l’area ai cittadini, non riuscendo a fare ciò che in qualsiasi altra parte del mondo avrebbe richiesto alcuni mesi e pochi soldi: una messa in sicurezza. A Bagnoli serve un cambio culturale: solo bandendo dal lessico politico e amministrativo il concetto di bonifica si potrà uscire dall’inferno a tutti noto. Il codice dell’ambiente ritiene la messa in sicurezza permanente equivalente alla bonifica. Solo che è veloce ed economica. Sin dall’inizio, dunque, si è scelta una strada che ha trasformato Bagnoli in un buco nero per le casse pubbliche.

La rimozione della colmata e il ripristino della balneabilità del mare ne sono il simbolo. Il ceto politico cittadino, considerando un ostacolo insormontabile (sic!) la rimozione della colmata e la restituzione del mare ai cittadini pone le premesse per un copione senza fine. Levare delle pietre (per lo più loppa, cioè scarti industriali, i cui metalli pesanti sono stati inertizzati dall’altoforno) è diventata un’operazione ‘inconcepibile’, non certo sul piano tecnico, ma su quello culturale, perché non si comprende cosa sia un attentato ai valori culturali. 

La classe dirigente di questa città, Laurina e post Laurina, ha consegnato a Napoli opere orrende che hanno segnato in negativo la sua storia urbanistica (dalla muraglia cinese di via Kagoshima al palazzo Ottieri, dal Centro Direzionale alla Linea Tranviaria Rapida che da oltre trent’anni — come Bagnoli — assorbe enormi finanziamenti ma che ancora deve essere utilizzata, da quartieri invivibili interamente abusivi, come Pianura, a quelli simbolo del sacco di Napoli e della speculazione edilizia, immortalati dal film di Francesco Rosi). Una classe dirigente che non ha mai compreso il valore della cultura, di cui il paesaggio è espressione, che si è battuta per affermare antivalori ben rappresentati dalle realizzazioni citate, non può concepire di rimuovere la colmata, di rendere balneabile il mare e di restituire a Bagnoli la sua identità storica e culturale: quella dei bagni termali, da cui il nome Balneolum. Così, contrabbanda l’inconcepibilità culturale con una fantomatica impossibilità tecnica, priva di ogni fondamento.

Se si superasse questo immane ostacolo culturale si comprenderebbe che i soldi già stanziati sono abbondantemente sufficienti per mettere in sicurezza due o tre Bagnoli e per renderne balneabile il mare. Ma se dopo 30 anni di sprechi, di studi e di immobilismo dobbiamo ancora affidare consulenze milionarie per studiare, di nuovo, la questione, vuol dire che non si è ancora capito cosa è accaduto a Bagnoli negli ultimi 30 anni. La storia del sito ha visto trasformare una bonifica, non necessaria, in un perverso meccanismo di inefficienza. Un meccanismo dotato di diabolica efficienza, che riesce a tenere tutto immobile e, allo stesso tempo, assorbe risorse pubbliche senza sosta. In altre città del mondo con i soldi già spesi avrebbero messo a posto il sito e i quartieri circostanti, cominciando da una leggera mobilità su ferro. Mentre da noi i piani recenti prevedono, oltre a bonifiche non necessarie, altre costose e demenziali opere, come un nuovo svincolo della tangenziale a Bagnoli. Il mare non bagna Napoli e nemmeno Bagnoli. © RIPRODUZIONE RISERVATA
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