L’eroica rivolta delle donne iraniane e la ridicola vicenda (vissuta) delle cravatte proibite

Prosegue senza sosta la ribellione di massa contro il regime di Teheran. E continua la repressione sanguinosa della Repubblica Islamica con le esecuzioni capitali di tanti giovani che solidarizzano con le loro compagne al grido “Donne, vita e libertà”. Quella che segue è l’esperienza vissuta nel Paese mediorientale dall’ingegner Alessandro Martelli, esperto di sicurezza sismica, chiamato a presiedere un convegno internazionale da un suo amico sottosegretario sotto la Presidenza di Khatami. Un racconto per esprimere solidarietà nei confronti di chi si batte contro la mentalità repressiva degli adepti dell’ayatollah Khomeini: «Giunto in camera, mi soffermai sul divieto, ai dipendenti pubblici iraniani, di indossare la cravatta. Quanto agli stranieri, trovai scritto che, ad essi, indossare la cravatta non era vietato, anche se era caldamente sconsigliato. Al convegno mi presentai in giacca e cravatta fra il grande imbarazzo del mio ospite. Me la dovetti cavare con la prima cosa che mi venne in mente…»
L’intervento di ALESSANDRO MARTELLI
IN IRAN, LA VENDITA (quantomeno) delle cravatte era stata teoricamente bandita già nel lontano 1979 (dopo che la rivoluzione khomeinista aveva trasformato il Paese in una Repubblica islamica), in quanto esse erano considerate simbolo della decadenza occidentale. La loro messa al bando, però, fu ignorata fino al 2005 quando, come Presidente dell’Iran, subentrò a Mohammad Khatami (che aveva governato il Paese dal 1997) Mahmoud Ahmadinejad, un bieco personaggio, noto per la sua brutalità (amici iraniani mi dissero allora che egli era uso uccidere personalmente prigionieri politici sparando loro alla testa).
Prima del 2005, quando Presidente era ancora Khatami, mi ero già recato in Iran un paio di volte almeno. Ero stato invitato a tenere conferenze sulla sicurezza sismica da associazioni scientifiche iraniane ed a partecipare ad incontri, sul tema suddetto, organizzati dall’Ambasciata italiana e, allora, non avevo mai incontrato seri problemi. Fui nuovamente invitato a Teheran pure poco dopo l’inizio della presidenza di Ahmadinejad, ad aprire un convegno internazionale, quale Presidente di un’associazione internazionale che lo patrocinava. Chi mi aveva invitato era un noto e valente professore, già allora mio amico, che era stato Sottosegretario durante la presidenza di Khatami.
Giunto in albergo, anzitutto mi fu caldamente sconsigliato, dal portiere, di accogliere ragazze nella mia camera (pena l’arresto!); poi egli mi consegnò alcune pagine da leggere, contenenti le nuove regole da rispettare in Iran, imposte da Ahmadinejad. Giunto in camera, lessi e mi soffermai su quella che confermava il divieto, ai dipendenti pubblici iraniani, di indossare la cravatta. Quanto agli stranieri, trovai scritto che, ad essi, indossare la cravatta non era vietato, anche se era caldamente sconsigliato.
Dato che non mi è mai piaciuto sottostare ad imposizioni idiote, sebbene io, da sempre, non ami le cravatte e le indossi il meno possibile (solo quando è strettamente necessario), la mattina dopo mi presentai al convegno in giacca e cravatta. Appena mi vide, l’amico professore corse da me e mi domandò preoccupatissimo: «Hai la cravatta?». «Certamente», risposi, «ho letto le vostre nuove regole ed ho ben notato che indossare la cravatta è vietato a voi, ma non a me, che sono straniero!».
Il professore si allontanò molto perplesso, ma, poco dopo, mi si riavvicinò, esclamando, ancor più preoccupato: «Però tu sarai l’unico con la cravatta, al tavolo della presidenza, e pure in sala ce ne saranno al massimo due o tre!». Io ribadii: «Come ti ho detto prima, ho letto che indossare la cravatta non è vietato agli stranieri come me!». Il professore si allontanò nuovamente, più che perplesso, ma poi mi si avvicinò per la terza volta, esclamando: «Ricordo bene che, l’anno scorso, a quell’incontro che abbiamo avuto all’Ambasciata italiana, tu la cravatta non l’avevi! Perché te la sei messa proprio oggi?». Non potevo certamente dirgli il vero motivo che mi aveva spinto ad indossare la cravatta quel giorno. Quindi, gli risposi la prima cosa che mi venne in mente (non so proprio perché quella): «Perché sono cristiano».
L’amico professore mi guardò sbalordito e sbalordito si allontanò nuovamente. Però, poco dopo, tornò raggiante e si mise a raccontare a tutti che io indossavo la cravatta per mostrare a tutti la mia religiosità. Molto a stento mi trattenni da scoppiare in una fragorosa risata. Comunque, da quel momento, tutti iniziarono a guardarmi sorridenti ed ammirati ed il numero di cravatte, nella sala (non so come), aumentò considerevolmente. Lascio ogni commento a chi di voi ha avuto la pazienza di leggere il succitato resoconto di quella mia avventura iraniana. © RIPRODUZIONE RISERVATA