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L’abisso della solitudine e la profondità dell’amore in “Estranei”, l’intenso film di Andrew Haigh

di Italia Libera   
L’abisso della solitudine e la profondità dell’amore in “Estranei”, l’intenso film di Andrew Haigh

Il regista britannico si ispira all’omonimo romanzo di Taichi Yamadadel 1987, instillandovi episodi autobiografici, come il coming out e l’alienazione esistenziale. Adam, interpretato da Andrew Scott, è uno sceneggiatore di film e serie tv sulla quarantina con il blocco dello scrittore. La monotonia delle sue giornate viene interrotta dall’arrivo di Harry (Paul Mescal), affascinante ragazzo di trent’anni che sembra essere il solo altro inquilino del palazzo. Al di là della storia d’amore, ciò che sembra attanagliare la mente dello scrittore è però qualcosa di più profondo e lontano dal presente: il trauma della perdita. Le diverse visite alla casa familiare divengono l’unico modo per poter immaginare un rapporto in età adulta con i suoi genitori, scomparsi a seguito di un incidente stradale quando aveva dodici anni

◆ La recensione di GIULIA FAZIO

► In un’ampia vetrata il riflesso di uomo si confonde con la moltitudine di luci dello skyline di Londra. Il suo sguardo si perde nel vuoto e in sottofondo Power of Love dei Frankie Goes to Hollywood abbraccia la scena con la sua melodia enigmatica e nostalgica. Questa è la premessa di Estranei, la nuova poesia cinematografica di Andrew Haigh, dal 29 febbraio al cinema. Il regista britannico ha conquistato il pubblico internazionale con il travolgente dramma matrimoniale 45 anni, e torna a farci emozionare con una delicata storia di solitudine: un viaggio introspettivo nel trauma della perdita, ma anche l’occasione di una seconda possibilità. Il regista adatta l’omonimo romanzo di Taichi Yamada del 1987, un classico della narrativa giapponese contemporanea, instillandovi episodi autobiografici, come il coming out e l’alienazione esistenziale.

Adam, interpretato da Andrew Scott, è uno sceneggiatore di film e serie tv sulla quarantina con il blocco dello scrittore. Fissa le pagine bianche del computer senza riuscire a completare il suo lavoro, aggirandosi come un sonnambulo per l’appartamento. L’incomunicabilità e la solitudine sono due aspetti del sentire del protagonista, egli è infatti disconnesso dal mondo, e l’edificio impersonale e asettico in cui abita è lo specchio della sua malinconia. A rompere la monotonia delle sue giornate arriva Harry (Paul Mescal), affascinante ragazzo di trent’anni che sembra essere il solo altro inquilino del palazzo. Già dal loro primo incontro il regista indugia sull’evidente paura di Adam nell’accogliere, ma anche la sua necessità di sentirsi meno solo. Al di là della storia d’amore, ciò che sembra attanagliare la mente dello scrittore è però qualcosa di più profondo e lontano dal presente. Il blocco che sta attraversando l’uomo è principalmente di natura emotiva, mostrato attraverso l’esigenza di guardare le istantanee nella scatola riposta sotto al letto che lo raffigurano adolescente abbracciato ai genitori. 

Il ritorno al passato come luogo in cui riscoprire sé stessi è un topos ricorrente. Il sobborgo di Dorking, in cui il protagonista si reca per ripercorrere i luoghi dell’infanzia, diviene anche l’unica possibilità di fuga dalla sua solitudine esistenziale. Nella cittadina incontra il padre e la madre, intrepretati rispettivamente da Jamie Bell e Claire Foy, ma sono più giovani di lui e tutto sembra essersi fermato agli anni Ottanta, dai loro abiti all’arredamento. Dopo un iniziale spaesamento, le diverse visite alla casa familiare divengono l’unico modo per poter immaginare un rapporto in età adulta con i suoi genitori, scomparsi a seguito di un incidente stradale quando aveva dodici anni. Egli affronta così un grande dolore ritagliandosi uno spazio immaginario dove comunicare ed essere ascoltato, accompagnato da sempre dalla consapevolezza di sentirsi “estraneo” all’interno del suo nucleo familiare, e nei vari contesti sociali, a causa della sua omosessualità. Estraneità che ha riversato anche nella vita da adulto, isolandosi emotivamente a seguito del trauma della perdita. 

Il regista ha scelto di girare nella sua casa d’infanzia, donando al film un’impronta personale che dalla location si estende anche ai contenuti narrativi. Egli soffia come uno scultore nella propria statua la sua stessa anima, rendendo questa sensazionale opera contemporanea così profonda e intensa in quanto intima e sincera. La bellezza visiva delle luci e dei riflessi che punteggiano le inquadrature, dovuta all’eccellente direzione della fotografia di Jamie Ramsay, crea una sintonia armonica e onirica con il montaggio di Jonathan Alberts. Estranei manifesta in sé tutto il potere del cinema in una straordinaria poetica espressiva. © RIPRODUZIONE RISERVATA

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