Ipotesi di reato: soccorso illecito. Il decreto Piantedosi e la sua guerra aperta alle Ong
Il ministro dell’Interno ha scelto un titolo pieno di enfasi, “Disposizioni urgenti per la gestione dei flussi migratori”, ma il suo decreto non è né urgente né gestisce i flussi migratori. Il suo evidente obiettivo è quello di ostacolare le attività di soccorso delle Ong, benché — secondo le stesse statistiche fornite dal Viminale — portino in salvo soltanto un dieci per cento circa dei migranti che poi raggiungono le coste italiane. E per fermare queste navi la strategia del governo interviene sulla fase più delicata, e cioè quella del soccorso in mare, coronando oltretutto la lesione di funzioni delle Capitanerie di Porto: sulla scelta del porto di sbarco dei naufraghi, su chi è autorizzato a intervenire, sul trattamento a bordo la competenza è ormai passata quasi del tutto al Viminale, e i naufraghi sono stati ridotti al rango di clandestini. Una serie di norme architettate per dissuadere e ostacolare l’attività delle Ong. Ma la cosa più grave di tutte è aver voluto introdurre l’ipotesi di “soccorso illecito”
L’analisi di VITTORIO ALESSANDRO
IL DECRETO PIANTEDOSI sulle Ong, nonostante il roboante titolo “Disposizioni urgenti per la gestione dei flussi migratori”, mira semplicemente a contenere e a ostacolare la parte di soccorsi (il dieci per cento circa, secondo le statistiche del Viminale) svolta dalle navi umanitarie, creando una evidente disparità di trattamento fra le persone salvate. Il provvedimento, secondo una strategia ormai consolidata, piuttosto che gestire i flussi interviene in realtà a soffocarne la fase più delicata, quella del soccorso in mare in cui è in gioco la vita di migliaia di persone. Per questo e per altri motivi, la normativa avrebbe meritato il confronto parlamentare evitato con l’emanazione del decreto legge, non si capisce in ragione di quali condizioni di necessità e urgenza. Certamente esse non sono ravvisabili in quel nesso fra soccorso e ragioni di sicurezza richiamato nella relazione di accompagnamento al decreto, nesso che risulta infondato e perciò in contrasto con le convenzioni internazionali e con le norme interne. L’ingresso delle navi soccorritrici nelle acque territoriali e nei porti nazionali, infatti, sopporterebbe limiti soltanto per un conclamato pericolo nei confronti dell’ordine pubblico e della sicurezza, non certo per supposti e pregiudiziali rischi. Nel presentare il decreto, il ministro dell’Interno ha spiegato che l’allontanamento delle Ong dal Mediterraneo (conseguito imponendo un unico soccorso per missione; assegnando il porto di sbarco lontano dall’area dei soccorsi; prevedendo gravi sanzioni amministrative a carico del comandante e della nave) costituirebbe una deterrenza alle partenze.
Molti studi, invece, hanno accertato, con statistiche alla mano, che i barconi partono anche quando il canale di Sicilia è sguarnito delle navi di soccorso: per esempio, proprio nel giorno dell’instradamento alla Spezia della nave Geo Barents di Medici senza Frontiere con un primo carico 69 persone, nessun’altra unità Ong presidiava le acque tra la Libia e la Sicilia, ma ugualmente quasi 200 migranti sono approdati a Lampedusa autonomamente o grazie ai soccorsi istituzionali; il giorno precedente ne erano arrivati un centinaio e, quasi nelle stesse ore, un barcone era naufragato al largo di Garabulli, circa sessanta chilometri da Tripoli: 8 morti, 58 dispersi e 84 sopravvissuti riportati nell’inferno dei centri di detenzione libici. Il “pull factor” non è per nulla costituito dalle navi di soccorso nel canale, che esse siano private o istituzionali, ma dalla necessità di fuggire dalle prigioni libiche, dalle favorevoli condizioni del mare e dalla vicinanza geografica delle sponde europee. Ha affermato ancora il ministro dell’Interno che il soccorso non spetta alle navi Ong, ma alle motovedette della Capitaneria di Porto e della Guardia di Finanza: in effetti il soccorso è un obbligo dello Stato esercitato, però, non quale prerogativa riservata ma anche, e per esplicita previsione di legge, coordinando l’azione di chiunque sia in grado di prestarlo, moltiplicandone l’efficacia e le possibilità. Il riferimento del ministro al ruolo delle Capitanerie di Porto sembrerebbe un omaggio alla loro funzione ed è invece fuorviante, poiché il nuovo decreto sancisce piuttosto lo svuotamento delle competenze del Corpo sul soccorso marittimo.
Resta e si accresce smisuratamente l’impegno degli equipaggi militari, ma le funzioni di strategia generale, cioè quel ruolo di coordinamento assunto dalla Centrale operativa delle Capitanerie ai sensi della convenzione di Amburgo del 1979, si assottigliano fino a scomparire nei soccorsi con grandi numeri, la cui competenza — prima sulla scelta del porto di sbarco dei naufraghi, poi sulle modalità, su chi è autorizzato a intervenire, sul trattamento a bordo — è ormai passata quasi del tutto al Viminale, e i naufraghi sono stati ridotti al rango di clandestini. I risultati sono paradossali e talvolta imbarazzanti. Navi umanitarie mandate a chiudere il soccorso a centinaia di miglia e a vari giorni di navigazione dal luogo di recupero dei naufraghi, selezione in banchina per accertare chi abbia il diritto di toccare terra, attribuzione ai comandanti di navi straniere della funzione (quella sì, esclusivamente statale) della raccolta delle richieste di asilo. Il nuovo decreto corona la lesione di funzioni delle Capitanerie di porto affidando alla polizia le indagini sui soccorsi, un procedimento di nuova istituzione. Nonostante le norme del codice della navigazione sulla dichiarazione di evento straordinario da rendere all’autorità del porto, e sull’inchiesta marittima sommaria e formale, il comandante della nave che abbia salvato persone — sancisce il decreto con espressione involuta — dovrà comunicare «alle autorità di pubblica sicurezza le informazioni richieste ai fini dell’acquisizione di elementi relativi alla ricostruzione dettagliata dell’operazione di soccorso posta in essere». Ed è ancora la polizia che riferirà al prefetto (come in questi giorni alla Spezia per Geo Barents) se la nave abbia salvato persone in conformità alla legge, perché questa è infine la pericolosa novità del decreto: l’aver disegnato l’ipotesi di soccorso illecito. © RIPRODUZIONE RISERVATA