In Turchia il nuovo hub del gas verso l’Europa. Il piano di Putin che potrebbe tentare l’Italia

La guerra in Ucraina e le sue conseguenze sono già costate all’Italia decine di miliardi di euro di spesa per gli incentivi a famiglie e imprese contro il caro-energia. Il futuro però potrebbe riservare una sorpresa: il gas russo ci potrebbe raggiungere attraverso un’altra strada che passa dalla Turchia. Con Erdogan che potrebbe deciderne il prezzo. Russia e Turchia avrebbero già cominciato a lavorare al progetto di un hub dell’energia, a nord di Istanbul, dove ci sono già delle infrastrutture usate per lo stoccaggio di gas naturale, e che verrebbero implementate con l’obiettivo di una distribuzione su grande scala
L’articolo di LAURA CALOSSOSIAMO CERTI CHE i progetti per rendere l’Italia indipendente dal gas russo siano fattibili? Il gas russo che non passa per la porta, non corre forse il rischio di passare dalla finestra? Se avrete la pazienza di leggere, capirete perché certi dubbi sono legittimi. Le azioni umane possono talvolta portare a fini diversi da quelli perseguiti. Si chiama “eterogenesi dei fini” e aleggia su di noi. Non solo la Russia riesce ad aggirare i vincoli occidentali, come spiegato anche dalla trasmissione televisiva Report, Rai Tre, in un’inchiesta dal titolo “L’effetto delle sanzioni in Russia” ma addirittura spingono i russi verso il potenziamento di antichi progetti. Uno di questi è il corridoio Nstc, per il trasporto di merci sulla rotta Russia-Iran, fino all’India. Secondo Bloomberg si tratta di una «nuova rotta commerciale transcontinentale che si estende dal confine orientale dell’Europa all’Oceano Indiano, un passaggio di 3.000 chilometri (1.860 miglia) al di fuori della portata di qualsiasi intervento straniero».
Russia e Iran starebbero spendendo miliardi di dollari per accelerare il passaggio dei carichi lungo i fiumi e le ferrovie collegate dal Mar Caspio. I dati di tracciamento delle navi raccolti da Bloomberg mostrano decine di navi russe e iraniane — alcune soggette a sanzioni — già posizionate sulla nuova rotta. «È un esempio di come la competizione tra grandi potenze stia rapidamente rimodellando le reti commerciali in un’economia mondiale che sembra destinata a frammentarsi in blocchi rivali. La Russia e l’Iran, sottoposte a forti pressioni a causa delle sanzioni, si stanno organizzando insieme, e guardano entrambe verso Est. L’obiettivo è proteggere i legami commerciali dalle interferenze occidentali e costruirne di nuovi con i giganti economici asiatici in rapida crescita».
Il corridoio consentirebbe alla Russia e all’Iran di ridurre di migliaia di chilometri le rotte esistenti. All’estremità settentrionale del percorso c’è il Mar d’Azov, delimitato dalla penisola di Crimea, dalla costa sud-orientale dell’Ucraina — compreso il porto di Mariupol, occupato dai russi — e dalla foce del fiume Don. Non a caso, il presidente russo Vladimir Putin ha dichiarato che il Mar d’Azov «è diventato un mare interno» per la Russia. Questo fa capire che lo scontro per mantenere il controllo su quest’area è per i russi un tema esistenziale, che potrebbe spingerli a scelte estreme (compreso l’uso di armi nucleari) qualora venisse minacciato il territorio di conquista utile a riposizionarsi anche sotto il profilo commerciale. Ciò significa che per i Paesi occidentali, come l’Italia, con un export verso la Russia piuttosto consistente (ad aprile 2022 esportavamo merci per circa 7,5 miliardi) il danno economico potrebbe essere ingente. Puoi imporre controlli sulle rotte marittime, dominate dagli americani, ma le rotte terrestri sono difficili da controllare. Dunque il danno prodotto dalle sanzioni potrebbe alla lunga colpire in modo massiccio l’Europa, costretta a rinunciare a gas russo a buon mercato e alle esportazioni verso Mosca. Il gas russo smetterà davvero di arrivare a noi? No. Potrebbe comunque arrivare in Europa, ma un prezzo stabilito dai turchi, e per vie diverse da quelle finora in funzione. Come dichiarato dal Ceo di Gazprom, Aleksey Miller, Russia e Turchia hanno già iniziato a lavorare all’implementazione del progetto per un hub del gas proprio in Turchia.
«Oltre alla partita vinta sulla questione dei profughi, gestita molto abilmente da Ankara con i 7 miliardi di euro messi in campo dall’Unione Europea nel corso degli anni, e alla battaglia sul grano, le cui tonnellate transitano ormai ogni giorno dallo Stretto del Bosforo per arrivare a destinazione sui mercati mondiali» scrive Marco Ansaldo sulla rivista di geopolitica Limes, il leader turco si trova inaspettatamente fra le mani un terzo asso. Che, da solo, vale tutta la partita: l’offerta di fare della Turchia il nuovo hub del gas per l’Europa». La Tracia turca, regione a nord di Istanbul confinante con la Grecia e con la Bulgaria, dovrebbe essere l’area scelta per l’hub. «Qui hanno sede preesistenti infrastrutture per lo smistamento del gas che dovranno ora essere espanse e adattate a una distribuzione su ben più ampia scala. L’impianto è quello sotterraneo di stoccaggio del gas naturale a Silivri, uno dei più grandi d’Europa, situato a circa 60 chilometri a nord-ovest della metropoli sul Bosforo» scrive Limes. «Erdoğan è mosso dal bisogno di dotare il proprio paese di una fornitura adeguata di propellente, cercando di mantenere la complicata equidistanza fra Kiev e Mosca e salvaguardando il proprio ruolo di mediatore. Putin ha invece la necessità di aggirare l’Ucraina, suggerendo la realizzazione di un’infrastruttura che consenta al gas di passare lungo il Mar Nero in acque turche».
E l’Italia? Cosa farà? Non solo ha subìto la crescita delle bollette che hanno determinato un impegno pari a 54,4 miliardi iscritti a Bilancio per contenere l’impatto dei rincari energetici su famiglie e imprese, ma dopo il Qatargate, che vede molti italiani di spicco coinvolti nello scandalo, potrebbe ritrovarsi nelle condizioni di abbassare la testa e ingoiare rospi. Gli emiri di Doha hanno minacciato di limitare o addirittura cancellare le quote di metano destinate all’Europa e soprattutto all’Italia. Senza il gas qatarino, approvvigionarsi dal nuovo canale russo-turco potrebbe essere un’opzione da cogliere al volo, per non rischiare di rimanere senza forniture. In sostanza, lo slancio interventista nella guerra d’Ucraina, iniziato con il governo Draghi e portato avanti in assoluta continuità dal governo Meloni, slancio spontaneo o forzato che sia, rischia di costarci molto caro, in tanti sensi. © RIPRODUZIONE RISERVATA