Il dibattito sulla denatalità lascia spesso fuori dal campo della discussione le motivazioni psicologiche – e non solo economiche – dei Millennials o comunque delle coppie più giovani, quelle che sono nelle condizioni fisicamente migliori per generare. Coppie che sono preoccupate del mondo in cui i loro figli verrebbero…al mondo. Una forma di eco-ansia, di preoccupazione per la salute del pianeta, al quale si aggiungono – dal 2020 – gli effetti della pandemia e successivamente della guerra in Ucraina
L’articolo di Fabio Balocco
“AVERE FIGLI, O non avere figli. Questo è il problema”. Ma se proprio diventare genitori si deve sia uno il pargolo, uno e non di più. Questo, in soldoni, il ragionamento delle giovani (o non più tanto giovani) coppie di oggi. Diciamo la generazione dei cosiddetti “Millennials”. Giovani non toccati dalla forbice ricchi/poveri (anzi, sarebbe meglio dire “miseri”, la povertà si sceglie come bene afferma padre Cesare Falletti), non toccati perché fanno parte di quella piccola-media borghesia che ancora esiste e a cui l’incentivo alla nascita fa letteralmente un baffo. Perché non è solo un problema di pecunia mettere al mondo figli, sono altre le problematiche, oscure ai politici, che preferiscono buttare tutto sui soldi: “Ti do un po’ di denaro così ti convinci ad avere un figlio” Una classe politica che ancora una volta si appalesa per quello che è: ignorante, volgare, stupida anche. Certamente per i Millennials il problema è anche economico (a cui si aggiungono i servizi all’infanzia del tutto carenti) ma non nel senso che siano nuovi poveri, bensì nel senso che il lavoro, la carriera, e appunto i soldi, gli occupano talmente tanto spazio che i figli vengono dopo: se vengono. Pensiamo alla classica coppia di oggi: lei e lui che lavorano tutto il giorno e arrivano a fine settimana “cotti”: c’è spazio temporale per un figlio? La spinta genitoriale (tra l’altro laica, non più religiosa…) permane ma sarà così forte da indurre a mettere al mondo più di un figlio, sempre ammesso che venga? Questo è un problema, ma non è l’unico.
Ce n’è un altro molto più sfuggente e meno banale, che il ceto politico si bada bene dall’ammetterne l’esistenza: l’atteggiamento dei Millennials di fronte al futuro. Un futuro incerto, perché il presente è problematico, a dir poco. Guardiamo solo cos’è capitato nel mondo dal 2020 in poi: la pandemia e la guerra. E non più una guerra che non ci riguardava (si fa per dire) come l’Iraq o l’Afghanistan, ma una guerra che ci tocca direttamente come quella in Ucraina. Ma vogliamo essere un po’ più sensibili? Vogliamo estendere il nostro angolo di visuale? E che dire allora della sesta estinzione di massa o del drammatico Antropocene? C’è un termine coniato in questi anni dall’American Psychological Association Mental Health and our Changing Climate. Il termine è eco-ansia. La paura del futuro che colpisce consciamente o inconsciamente i giovani d’oggi, specie quelli che non hanno problemi ad arrivare a fine mese.
Senza giungere alla convinzione che l’uomo, responsabile dello scempio della Natura, debba estinguersi, sicuramente il timore di lasciare ai figli un mondo sempre più inospitale ha una qualche rilevanza sul dubbio con cui iniziavo questo articolo. E, con particolare riferimento al cambiamento climatico, ecco la scienza creare il termine solastalgia, che nasce dalla bizzarra unione delle parole inglesi solace (conforto, consolazione) e nostalgia. Il padre, il filosofo australiano Glenn Albrecht, che così la definisce: “il senso di desolazione che le persone provano, consciamente o inconsciamente, quando l’ambiente che le circonda viene radicalmente trasformato dal cambiamento climatico”. Un’angoscia che può sicuramente aumentare nel momento in cui la sensibilità ci dice chiaramente che la colpa non è solo di altri, che bruciano carbone o petrolio, ma che noi stessi contribuiamo, seppure in misura infinitesimale, al cambiamento in negativo. Siamo vittime e carnefici. © RIPRODUZIONE RISERVATA