Il volto inedito di Giovanni Verga: esattore, scapolo impenitente e amante implacabile
Maggiore di cinque fratelli, il più grande esponente del verismo italiano doveva assicurare da primogenito la buona amministrazione dei beni di famiglia e, soprattutto, la sua costosa vita a Firenze e a Milano. Qui aveva cominciato a frequentare i migliori salotti delle città e tante belle donne con cui accese grandi passioni (durate, talvolta, decenni) evitando pervicacemente di farsi mettere da loro «la catena al collo» del matrimonio. Nel monumentale epistolario (23 volumi in via di pubblicazione da Interlinea) le infuocate lettere alle sue donne — che gli valsero parole sprezzanti di Giosuè Carducci, a cui aveva insidiato l’amante — e la corrispondenza tambureggiante con il fratello Pietro sull’esazione degli affitti per le proprietà di famiglia nel catanese. Le ristrettezze economiche lo inseguiranno per tutta la vita, fino alla nomina di senatore a vita che arriverà a 80 anni, causa, tra l’altro, di un prolungato “silenzio letterario”
◆ L’articolo di CESARE A. PROTETTÌ
► Al centro del vecchio borgo marinaro di Aci Trezza c’è la Casa del Nespolo, alla quale si crede si sia ispirato Giovanni Verga per raccontare la vita povera e sfortunata di una famiglia di pescatori siciliani, i Malavoglia. Un busto dello scrittore, con magnifici baffoni a manubrio, troneggia un po’ più in basso, a pochi metri dalla chiesa di San Giovanni. La casa, che ospita un piccolo museo, va visitata accompagnati da una delle preparatissime giovani guide (Giulia, Mattia e Damiano) che vi prestano servizio civile e che sanno illustrare molto bene la storia ed i contenuti delle due sale visitabili, probabilmente istruiti a dovere dall’anima della Pro Loco, Massimo Pellegrino. Sono loro che danno risposte e accendono curiosità sulla figura del più grande esponente del verismo italiano che fu, tra l’altro, uno scapolo impenitente, capace di far innamorare di sé molte donne, nubili e sposate: tra le più note Caterina (Lina) Cristofori Piva, l’amante di Giosuè Carducci, figlia del medico e letterato Andrea Cristofori e moglie del militare in carriera Domenico Piva. A Verga Carducci aveva riservato parole sprezzanti: «è siciliano, non può essere altro che un vigliacco ridicolo parvenu».
Damiano ci introduce alla prima stanza del museo dove c’è una raccolta di foto e stampe del film di Luchino Visconti La terra trema, girato proprio ad Aci Trezza. Nella seconda ci sono oggetti di uso comune nelle famiglie dei pescatori della metà dell’Ottocento, che aiutano il visitatore a capire di più sulle condizioni di vita della povera gente in questo bellissimo angolo di Sicilia dove riecheggiano versi di poemi omerici (come quelli dell’Odissea sulla vicenda di Ulisse e del ciclope Polifemo) e racconti mitologici: su tutti quella dell’amore negato tra il pastorello Aci e la ninfa Galatea, una delle cinquanta Nereidi figlie delle divinità marine Nereo e Doride.
In questa seconda stanza Damiano porta la nostra attenzione sulle riproduzioni di alcune lettere private di Giovanni Verga che era il maggiore di cinque fratelli (Mario, Rosa, Pietro e Teresa i nomi degli altri). Sono poche lettere, incorniciate semplicemente e trascritte a stampa, a fianco di ogni pagina per renderne più agevole la lettura. Tra queste le missive inviate, con ritmo tambureggiante, al fratello Pietro e che riguardano principalmente l’esazione di affitti per le proprietà di famiglia nel catanese. Da esse traspare una urgenza di soldi legata al suo stato di primogenito che doveva assicurare la buona amministrazione dei beni di famiglia, ma soprattutto la costosa vita dello scrittore a Firenze e a Milano dove aveva cominciato a frequentare i migliori salotti delle città e belle donne, a cominciare da Giselda Fojanesi, una bellissima ragazza diciottenne alla quale scrive, tanto per mettere subito le cose in chiaro: «Non prenderò mai moglie, perché non sposerei una più ricca di me. Né io sono abbastanza ricco per sposare una povera: sarebbe una insopportabile mortificazione per me vedere mia moglie rimodernarsi un abito vecchio, non potendosene fare uno nuovo».
E Verga manterrà il suo proposito: non si sposò mai. Eppure – come rileva la storica e saggista Maria Olivieri sulla rivista Balarm – Giovanni Verga era un uomo a suo modo fedele alle sue donne: il suo legame con Giselda, andata in sposa al suo amico e compagno di studi Mario Rapisardi, durò più di 35 anni; quello con la contessa milanese Paolina Lester Greppi circa 40 anni e altrettanto quello con la contessa Dina Castellazzi di Sordevolo, donna avvenente, elegante, brava pianista e pittrice, destinataria di 521 lettere d’amore infuocate. Meno della metà (207) le lettere scambiate con la contessa Paolina Greppi, sposata con K. Bingley Garlam Lester, incontrata quando lui aveva 40 anni e lei 44.
Le lettere a Dina sono quelle che ci illuminano maggiormente sulla stagione del “silenzio letterario” dello scrittore: Verga, in ristrettezze economiche, si era incupito e era ormai profondamente deluso dalla vita, dagli uomini e perfino dalla letteratura che non gli dava da vivere. Altre lettere ci fanno capire la sua pena nel destreggiarsi tra debiti e prestiti, passività, canoni e cambiali che segnano la situazione economica di Giovanni e della famiglia. A 80 anni arriva la nomina di senatore a vita. Lo stipendio da parlamentare lo salva da una vita di stenti, ma due anni dopo arriverà la morte.
L’epistolario verghiano è dunque una miniera d’oro per conoscere gli umori e i lati meno noti della personalità di questo scrittore che abbiamo tutti studiato a scuola nelle sue opere fondamentali. Ed è naturale che ci sia attesa per la conoscenza del Verga ancora inedito che emergerà a breve dalle lettere che stanno per essere pubblicate da Interlinea in un’edizione integrale e critica in 23 volumi. La pubblicazione dell’epistolario completo – promosso, con il ministero della Cultura, dal Comitato per l’Edizione Nazionale delle Opere di Giovanni Verga e dalla Fondazione Verga presieduta da Gabriella Alfieri − si avvia con i primi due volumi delle Lettere ai nipoti Giovannino, Caterina e Marco, figli del fratello Pietro, a cura di Giuseppe Sorbello. All’epistolario in ordine cronologico è stato scelto di anticipare la pubblicazione di una serie di carteggi organizzati per corrispondente.
Nel piano dell’opera i primi tre volumi sono dedicati proprio ai carteggi con la famiglia (madre, fratelli, nipoti e parenti vari). Seguono due volumi di lettere alle donne amate e poi sette volumi di carteggi con amici e sodali ai quali si aggiungono cinque volumi di carteggi con intellettuali e scrittori. Ma non è finita. Completano il monumentale epistolario due volumi di carteggi con editori (uno intero per i carteggi con Treves), illustratori e musicisti; tre con i traduttori, tre con impresari, attori, avvocati.
Come si può intuire, sono soprattutto le lettere alle sue donne che rivelano aspetti inediti di questo scrittore capace di accendere grandi passioni. Riusciva però a tenerle sotto controllo perché non voleva – come puntualizzerà più volte – che le donne gli mettessero «la catena al collo». © RIPRODUZIONE RISERVATA
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