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“Il silenzio dell’amianto”: un libro-inchiesta sulla guerra giudiziaria contro le vittime del lavoro

di Italia Libera   
“Il silenzio dell’amianto”: un libro-inchiesta sulla guerra giudiziaria contro le vittime del lavoro

Il mio lavoro nasce da un’inchiesta del 2017 su un documento redatto da 22 scienziati indipendenti italiani (fra cui Benedetto Terracini e i suoi allievi della scuola torinese, autori del maggiore screening epidemiologico svoltosi in Italia relativamente all’amianto). Il documento, mai pubblicato da alcun giornale, criticava duramente la disinvoltura di numerosi colleghi nello schierarsi dalla parte delle imprese fornendo loro argomenti scientifici addirittura falsi. Come l’aver sostenuto sulla rivista della Società italiana di epidemiologia che l’amianto dell’Amiantifera di Balangero (Torino), la cava più grande d’Europa, non “ha mai ucciso nessuno”

Il libro di ALBERTO GAINO
HO APPROFONDITO IL percorso  che la giustizia italiana ha riservato alle vittime del lavoro su un versante che pare, ma non è, solo un’eredità del passato: l’amianto. Quella dell’amianto nei tribunali italiani è una storia paradigmatica: una sentenza della Quarta sezione penale della Cassazione, del 2010, ha reso impossibile condannare i crimini di impresa per la malattia più grave causata dall’esposizione all’amianto, cioè il mesotelioma maligno e di conseguenza per le altre (come il tumore del polmone) provocabili anche da altri fattori di rischio (come il fumo di sigaretta). Un giurista di Brescia (Luca Masera) ha definito il cuore di quella sentenza una probatio diabolica. Non solo perché i suoi autori hanno ribaltato un’architettura giuridica consolidata sul perno dei crimini di impresa riconoscibili nell’omissione continuata di non aver previsto e introdotto cautele rispetto all’utilizzo dell’amianto nella produzione. La ormai storica sentenza “Cozzini” si è appoggiata a scienziati molto vicini alle imprese e che, con il ruolo di consulenti di parte, hanno cominciato a mettere sistematicamente in dubbio in tutte le aule di giustizia italiane gli studi indipendenti, a partire da quelli dello Iarc (l’agenzia sul cancro dell’organizzazione mondiale della sanità).

Il conflitto di interessi non è preso in considerazione. Il mio lavoro di inchiesta nasce nel 2017 da un documento di 22 scienziati indipendenti italiani (fra cui Benedetto Terracini e i suoi allievi della scuola torinese, autori del maggiore screening epidemiologico svoltosi in Italia relativamente all’amianto, sulla popolazione di Casale Monferrato). Il documento, mai pubblicato da alcun giornale, criticava duramente la disinvoltura di numerosi colleghi nello schierarsi dalla parte delle imprese fornendo loro argomenti scientifici addirittura falsi. Come l’aver sostenuto sulla rivista della Società italiana di epidemiologia che l’amianto dell’Amiantifera di Balangero (Torino), la cava più grande d’Europa, non “ha mai ucciso nessuno”.

Girano molti soldi attorno ai processi di amianto e mai si rilevano i conflitti di interesse di certi professori universitari. In  questi anni si è condotta nel silenzio dei media una autentica guerra giudiziaria senza esclusione di colpi (un professore di medicina del lavoro e 7 notissimi avvocati di impresa hanno presentato un esposto alla Procura di Roma ipotizzando gravi reati a carico di Guariniello, di alcuni suoi consulenti, fra cui un dirigente dell’Istituto Superiore di Sanità, e di un ministro della Salute, Balduzzi). Siamo al punto che autorevoli giuristi invitano pubblicamente le vittime a rivolgersi alla magistratura civile. Siamo al punto che altri notissimi giuristi parlano pubblicamente degli imprenditori condannati per i morti sul lavoro al Petrolchimico di Porto Marghera come di capri espiatori.

Luciano Gallino ha colto questa guerra giudiziaria come un segno evidente della lotta di classe che gli imprenditori stanno conducendo contro i lavoratori vittime del lavoro. Gustavo Zagrebelsky si è invece soffermato sul conflitto di interessi ignorato e che è alla base degli interessi per cui le imprese schierano nei tribunali i migliori avvocati e i consulenti tecnici più disponibili a sostenere che di amianto ci si ammala, non in seguito ad un’esposizione cumulativa, ma alla prima o alle prime esposizioni, anzi, persino il caso può avervi avuto un ruolo.  In questo modo sono stati assolti anche i vertici Olivetti e la dozzina di ammiragli accusati, nei rispettivi ambiti processuali, di non avere preso provvedimenti contro l’amianto cui erano stati esposti  lavoratori, cittadini e militari: “Il fatto non sussiste”. Sono ormai decine le sentenze che in pochi anni hanno azzerato il diritto delle vittime del lavoro. Si è persino recuperata, fra le motivazioni per assolvere, la “causa del fumo come alternativa a quella dell’amianto”, mentre sino a pochi anni fa giudici più attenti tenevano conto dei tanti studi scientifici sulla sinergia fra esposizione all’amianto e fumo di sigaretta nel provocare il tumore del polmone.

La mia inchiesta giornalistica passa per queste sentenze attraverso le voci di giuristi e scienziati indipendenti per approdare a quelle delle vittime (della Società italiana amianto di Grugliasco, Eternit di Casale Monferrato, Fibronit di Broni, Amiantifera di Balangero, Isochimica di Avellino, Officine di riparazione dei treni di tutta Italia, migranti pugliesi in Svizzera e di Taranto, Arsenale Militare e Ilva). E’ anche una storia del conflitto fra lavoro e salute, di conquiste e sconfitte. Adesso, siamo alla vigilia di nuove importanti  sentenze per amianto — a Napoli è stata appena chiesta in Corte d’Assise la condanna a 23 anni e 9 mesi di Stephan Schmidheiny, ultimo esponente della dinastia svizzera dell’amianto, per 8 vittime dello stabilimento Eternit di Bagnoli — e conta ricordare che questo minerale è tuttora un grande business nel mondo, dove miete ogni anno 250-260 mila nuove vittime.

ll mio libro (236 pagine, pubblicato a marzo 2021 dall’editore torinese Rosenberg & Sellier) ha un titolo — Il silenzio dell’amianto — che vuole evocare come questa storia di morte sia stata archiviata  (un’eredità del passato, nient’altro) ma sia tutt’altro che conclusa. Solo in Italia, alla fine di questo secolo, conteremo circa 100 mila morti e sulla collettività si sarà scaricato il debito sociale degli inquinatori di amianto per ben oltre 100 miliardi di euro. Tanto occorrerà per chiudere i conti con l’amianto e farlo sparire dalle fabbriche che utilizzano ancora impianti coibentati con amianto, condotte  dell’acqua potabile, fabbriche abbandonate, tetti e impianti di ospedali, scuole, caseggiati privati. Agli attuali ritmi di smaltimento saremo un paese free amianto solo negli ultimi anni del secolo. Non è il caso di scuotere un po’ questo silenzio? © RIPRODUZIONE RISERVATA
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