Il secolo lungo di Enrico Berlinguer: “liberò” il Pci ma la “terza via” non bastava

Fino al difficile 1956 della rivolta ungherese e della repressione sovietica, fece una lunga gavetta come responsabile della Fgci. Divenne poi vicesegretario nazionale e segretario della Federazione Mondiale della Gioventù Democratica. Da segretario nazionale entrò in urto quasi subito con il Partito comunista sovietico, parlò di “eurocomunismo”, propugnò il “compromesso storico” con la Dc. Aprì ai cattolici parlando di un Pci laico e democratico «non teista, né ateista o antiteista» ma nulla ha mai riconosciuto a Craxi, neppure l’Achille Lauro, Sigonella e altri atti di governo. Dopo la sua morte il partito entrò in una fase confusa, eleggendo alla segreteria Alessandro Natta che andò a Mosca con Cossutta
L’articolo di VITTORIO EMILIANI
SOLTANTO QUANDO ENRICO morì a Padova la famiglia Berlinguer apprese che il loro congiunto percepiva una lauta indennità come europarlamentare. Non l’avevano mai vista perché andava direttamente al partito mentre loro, moglie e tre figli già grandi, due femmine e un maschio, se l’erano sempre cavata con una certa fatica. Sul rigore morale di Enrico Berlinguer, sulla sua rettitudine, sulla sua lontananza da pratiche clientelari, non c’erano mai stati né mai ci furono dubbi, fin da quando era il giovane vice-segretario del Pci, né vi furono dopo quando salì a reggere la non facile segreteria nazionale a Botteghe Oscure.
Era una certa sua durezza a non convincere. Da studente aveva cercato di salvare, assieme al fratello Giovanni, il Cudi, cioè l’organizzazione universitaria degli universitari, fallendo l’obiettivo perché la stragrande maggioranza degli iscritti di quegli anni ’50 appartenevano alla media e alla piccola borghesia e votavano o per l’Ugi (Unione Goliardica Italiana) ed erano liberali di sinistra, poi radicali, socialdemocratici, repubblicani (socialisti più tardi) o cattolici di varie correnti, e quindi Intesa Cattolica. O neo-fascisti nel Fuan. E l’Unione Nazionale delle Rappresentanze, cioè l’Unuri, era stata governata inizialmente da cattolici integralisti come Agostino Greggi e poi da coalizioni Intesa-Ugi. Il laicismo era molto forte nelle Università al punto che lo stesso Magnifico Rettore dell’Ateneo Pavese, il cartografo e romanista Plinio Fraccaro, rimproverò noialtri della goliardica Asup quando per un seggio perdemmo la maggioranza assoluta. L’Università, che allora contava poco più di 226mila iscritti fuoricorso compresi, non poteva essere terreno fertile per i comunisti e per la sinistra in genere.
Anche quando negli anni ’70 esplose con virulenza il fenomeno terroristico nella base del Pci rimase a lungo, tenace, la giustificazione dei “compagni che sbagliano”. Almeno fino all’assassinio a Genova del sindacalista comunista Guido Rossa, il 24 gennaio 1979, questo giustificazionismo si mantenne piuttosto diffuso. Tutte cose che hanno pesato sulla vicenda di Enrico Berlinguer che anche in Unione Sovietica dovette passare dall’apertura kruscioviana alla chiusura burocratica brezneviana durante la quale tiene in Italia una posizione defilata. Non nelle missioni nell’Urss, allorché chiede spiegazioni esplicite sul siluramento di Krusciov e al ritorno da Mosca legge ai giornalisti un comunicato nel quale dice di aver espresso riserve e preoccupazioni su quel siluramento «con grande franchezza».
Dopo una lunga gavetta, come responsabile Fgci — fino al difficile 1956 della rivolta ungherese e della repressione sovietica con l’uscita dal Pci di numerosi intellettuali e di un solo politico importante Antonio Giolitti e però con l’emorragia di ben 70mila iscritti in un biennio —, Berlinguer diviene segretario del Lazio, vice-segretario del partito e segretario della Federazione Mondiale della Gioventù Democratica. Giunge a far parte della direzione nazionale nel 1960 rivendicando, fin dall’anno successivo, la diversità delle vie nazionali al socialismo che caratterizzano costantemente la sua linea politica. Finalmente è segretario nazionale del Pci dopo aver pronunciato da vice di Longo, infermo, il più duro discorso ascoltato da un delegato estero. Nel quale egli parla apertamente di “eurocomunismo”.
Un orizzonte non facile perché il Pci ha quali partners europei Georges Marchais e Santiago Carrillo. Ma il voto ai diciottenni e la buona amministrazione locale gli fanno sfiorare un terzo dell’elettorato con punte altissime in Emilia-Romagna. Se nelle amministrative del 1975 aveva conquistato col Psi (e talora il Psdi) grandi Comuni quali Milano, Torino, Venezia, Napoli e l’anno dopo Roma con Argan e in seguito Petroselli, a livello nazionale tenta una intesa con la Dc di Moro chiamata “compromesso storico”. Di “storico” non avrà molto perché durerà poco, subendo una sorta di rigetto allorché il governo appoggiato dal Pci affronta lo spinoso problema dell’equo canone e una moltitudine di compagni che pagavano, specie nei quartieri dell’Istituto Case Popolari, canoni bassissimi, si trovarono con un “loro” governo a dover versare cifre ben più alte.
Ricordo che per il mio giornale di allora, il Messaggero, girai per grandi sezioni del Pci, a cominciare da Bologna “rossa” dal dopoguerra, a tastare il polso della base con dibattiti che coinvolgevano decine e decine di iscritti. Vecchi e giovani. A Roma mi trovai in una situazione imbarazzante perché ero entrato in modo direi clandestino in una sezione periferica del Pci dove il dibattito ferveva fra vecchi ancora filosovietici e giovani polemicamente del tutto autonomi. Solo che ad un certo punto si decise di votare alzando la tessera e io non sapevo come cavarmi d’imbarazzo. Per mia fortuna decisero di terminare lì il dibattito perché il relatore, Leo Canullo, doveva andare altrove, e di esprimere poi un voto per cui in quel vuoto potei eclissarmi senza dare nell’occhio.
Alle elezioni politiche del giugno 1976 i comunisti guadagnano parecchi voti, ma ne guadagna pure la Dc. Coi socialisti praticamente fermi. Nell’ottobre dell’anno seguente Berlinguer, abilmente, apre al mondo della Chiesa scrivendo una lettera al vescovo di Ivrea, l’avanzato monsignor Luigi Bettazzi, parlando di un Pci laico e democratico «non teista, né ateista o antiteista» che tenga conto di un socialismo cristiano. Ma urge entrare nel governo e di non esserne soltanto una decisiva stampella. Ma il successivo incredibile rapimento di Moro da parte delle Br con la strage della scorta richiede che tutte le energie siano concentrate nella lotta al terrorismo con lucidità, senza scivolare sul terreno delle leggi speciali. Ma fra i rapitori prevale il partito della uccisione di Moro su quello (Morucci e Faranda) del suo rilascio, ritenendo che la Dc sia uscita già abbastanza screditata sia dalle lettere di Moro che dagli scandali che hanno investito (quello della Lockeed) i partiti di governo soprattutto il fedele Psdi di Tanassi.
Le dimissioni clamorose di Leone e l’ascesa al Quirinale di Pertini cambiano lo scenario politico. Alle politiche anticipate del 3 giugno 1979 il Pci arretra dal 34,4 al 31,4 per cento dei suffragi perdendo consensi fra i giovani e fra i ceti popolari, mentre la Dc alla Camera si issa al 38,3 per cento. Alle europee identico risultato: su la Dc e giù il Pci. Mentre alle regionali si rafforza per la prima volta il Psi. E nella seconda parte del 1980 Berlinguer — che nulla ha riconosciuto a Craxi, neppure l’Achille Lauro, Sigonella e altri atti di governo — commette un errore strategico. Ai cancelli della Fiat Mirafiori dove in migliaia sono in cassa integrazione e per quasi 15.000 risultano i licenziamenti annunciati, Berlinguer promette l’appoggio del Pci se si giungerà ad una clamorosa occupazione delle fabbriche.
È un errore strategico perché il vento ormai soffia all’incontrario con la marcia dei 40mila per la fine della vertenza in atto da 35 giorni. Inoltre gli scandali dei petroli e in altri settori, il dilagare della corruzione spingono Berlinguer a porre con Scalfari la «questione morale» contro tutte le forze di governo e a definire esaurita la «spinta propulsiva» della rivoluzione socialista di Ottobre. Vanno superati sia quella rivoluzione comunista, sia il riformismo socialista o socialdemocratico «in quella che noi chiamiamo la terza via». Posizione duramente attaccata all’interno da Armando Cossutta e dal mondo sovietico, dalla stessa Pravda che di fatto scomunica il Pci. Berlinguer attacca duramente l’installazione a Comiso dei missili Cruise. Siamo al giugno 1984, Berlinguer è stato rieletto segretario del Pci, il 7 giugno tiene un comizio a Padova in vista delle europee, ma viene colto da un malore, prosegue, nonostante le invocazioni dei più vicini a non insistere. Morrà per emorragia cerebrale l’11 giugno.
Il Pci precipita in una sorta di stato confusionale. Nel susseguente congresso, invece di operare una scelta coerentemente riformista con Luciano Lama — che ha portato la Cgil fuori dalla Federazione Sindacale Mondiale ferma ad anni lontani e quindi sclerotizzata —, i delegati votano per Alessandro Natta che come primo atto va a Mosca accompagnato da Cossutta («l’oro di Mosca» di cui parlerà un dirigente importante quale è il milanese Gianni Cervetti vale dunque ancora). Dove ormai c’era uno degli ultimi fantasmi dell’Urss, Cernienko, prima che si apra la Perestroika di Gorbaciov. Poi gli errori — col Pds, con gli Occhetto e coi D’Alema — saranno tanti. Oggi non rimane quasi nulla del glorioso Partito nato nel 1921 da una costola del Partito Socialista finito in pezzi nonostante una grande tradizione riformista da Andrea Costa, ad Anna Kuliscioff, a Filippo Turati, a Giacomo Matteotti. Lo stesso Pd è nato da Rutelli e da Letta. Da più parti si invoca un partito rosso-verde alla maniera scandinava. Ma siamo sempre agli auspici. © RIPRODUZIONE RISERVATA
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