Il mito del “nuovo nucleare”. Radioattività, scorie e sicurezza: le bugie sono sempre quelle del “vecchio”
Le regole della Fisica mal si adattano alla propaganda, per quanto “virale” possano essere i mezzi con cui viene propinata. E le regole della fissione nucleare non possono essere spacciate per qualcosa che non sono. Per quanto piccoli e ‘componibili’, attorno ad ogni nocciolo degli Smr (Small modular reactor) sono necessari il sistema che consente di estrarre l’energia, il raffreddamento, la schermatura, la sicurezza. Esattamente come nel “vecchio” nucleare. Per intenderci, non sono ‘mattoncini’ del Lego con cui giocavamo da bambini: stavolta per costruire i “piccoli reattori modulari” propagandati dalla nostra Confindustria. In queste brevi istruzioni per l’uso, Angelo Tartaglia, fisico emerito del Politecnico di Torino, spiega che la “sicurezza intrinseca” non esiste, benché gli si dia la caccia da decenni. E ci ricorda che, alla fine, “è sempre la somma a fare il totale”. Questo, però, lo aveva detto a suo tempo, in modo impareggiabile, il Principe De Curtis di Bisanzio, in arte Totò
◆ L’analisi di ANGELO TARTAGLIA, fisico e ingegnere nucleare
► Il tema del rilancio del nucleare è ormai pressoché virale, come usa dire oggi: i maggiori mezzi di comunicazione quasi ogni giorno ne parlano, il governo ha attivato una piattaforma per il nucleare “sostenibile”, Confindustria sponsorizza il “nuovo” nucleare dei piccoli reattori modulari da collocare niente meno che all’interno delle industrie dei suoi associati. Una lobby sostenuta da aziende che contano di fare (o in qualche misura già fanno) affari col nucleare è attivissima nel promuovere il ritorno a quella forma di energia. Tutto è sempre condito di parole magiche che certamente risolveranno tutti i problemi. Il nucleare sarà di “nuova generazione” (quindi ancora non c’è), sarà “sostenibile” (così dice il ministro, senza sapere bene cosa possa voler dire), sarà “sicuro” e “pulito”…
Entriamo nel merito (anche se il merito dei problemi, soprattutto in politica, è generalmente secondario). Il processo di cui si parla è quello della fissione nucleare e se c’è la fissione, quale che sia la “generazione” del reattore (vecchio, nuovo, futuro o futuribile) ci sono i prodotti della fissione: se si spezza qualcosa in due, poi ci sono i frammenti. I prodotti della fissione sono un ampio ventaglio di isotopi di elementi diversi variamente radioattivi, alcuni con tempi di dimezzamento (o emivita: tempo in capo al quale la radioattività si dimezza) che vanno dai giorni alle migliaia di anni. Nella fissione si liberano anche dei neutroni, essenziali per mantenere la continuità del processo con relativa liberazione di energia, ma che vengono anche necessariamente assorbiti da ciò cui il materiale fissile (U235) è mescolato (per lo più U238) rendendolo radioattivo o, nel caso dell’U238, convertendolo in plutonio (Pu239 e 240) il quale (il 239) ha un’emivita di 24mila anni ed è particolarmente idoneo per le applicazioni militari. L’insieme dei materiali in cui è stata indotta la radioattività e dei prodotti della fissione costituisce le “scorie” nucleari. Più energia si produce in un reattore, più scorie si generano.
La radioattività è comunque nociva per la biosfera e pertanto occorre segregare le sostanze radioattive in modo che non possano venire in contatto con esseri viventi per un tempo lungo quanto basta perché l’attività residua sia solo più dell’ordine di quella dei minerali da cui si era partiti o del fondo naturale (la radioattività in natura c’è per via di isotopi come quelli dell’uranio o anche del potassio o del torio, a emivita misurata in centinaia di milioni o miliardi di anni). Per scendere sotto la soglia che ho citato occorre aspettare tempi dell’ordine delle decine di migliaia o centinaia di migliaia di anni, il che significa che volendo (a questa data anche dovendo) realizzare un deposito “definitivo” bisognerebbe oggi trovare una soluzione che garantisca per un futuro di millenni e millenni la totale segregazione delle scorie. Quanto questo sia credibile lo si desume dalla considerazione che le prime città mesopotamiche rimontano a poco più di 5000 anni fa e che nel frattempo è successo di tutto; che l’umanità vive da sempre (anche oggi) in uno stato di guerra permanente; che la Valle della Morte (deserto salato tra California e Nevada) 10000 anni fa era ancora un grande lago.
Non essendo quanto sopra contestabile gli sponsor del nucleare dicono varie sciocchezze, contando sulla non conoscenza dei fatti da parte del proprio uditorio e sul rifiuto di volersi preoccupare di un futuro non immediato a fronte della possibilità di poter continuare ad avere vantaggi immediati. Si sente allora che le scorie sono “poche”, e indubbiamente sono quantitativamente molto meno delle ceneri derivanti dalla combustione del carbone nelle corrispondenti centrali; questo però non sposta affatto il problema della pericolosità a lungo e lunghissimo termine. Comunque a scala mondiale si tratta di produzioni annue di scorie altamente radioattive misurate in decine di migliaia di tonnellate; se si considerano quelle di media attività l’unità di misura diventano le centinaia di migliaia di tonnellate/anno.
Capita anche di sentire che in fondo la radioattività non fa poi così male visto che in natura ci conviviamo da sempre. Il fatto è che a basse dosi il danno radioattivo ha natura statistica: aumenta la probabilità di indurre evoluzioni patologiche (tipicamente varie forme neoplastiche) a partire dagli organismi che si trovino ad essere più deboli o fragili. Non mi sembra per nulla tranquillizzante, a meno di pensare che i “fragili” tanto se ne devono andare comunque.
E la sicurezza? “Ma i prossimi reattori saranno a sicurezza intrinseca”. La cosiddetta “sicurezza intrinseca” si riferisce a reattori in cui, se la liberazione di potenza si alza bruscamente, un qualche processo fisico intrinseco interrompe la fissione senza bisogno di alcun intervento dall’esterno: bella idea, su cui sono in corso ricerche letteralmente da decenni. Reattori così semplicemente non esistono. Un’altra versione della “sicurezza” intrinseca non si basa sull’automatico spegnimento della fissione, ma sul fatto, in caso di incidente, di contenerne all’interno del reattore le conseguenze: si tratta di inserire un nocciolo di potenza non troppo grande in un sistema di contenimento (vessel interno in acciaio e guscio esterno in cemento armato) ampiamente sovradimensionato in modo che quando il guaio capita tutto ciò che succede nel nocciolo (parziale fusione, liberazione di vapore e gas ad alta temperatura e pressione e così via) rimane confinato senza essere disperso nell’ambiente. Il reattore a quel punto rimane lì come un monumento all’irresponsabilità umana inaccessibile, inamovibile e ripieno di un guazzabuglio di radioattività e alte temperature. Meglio di Chernobyl, ma non particolarmente tranquillizzante.
E i “piccoli reattori modulari”? L’idea anche qui non è affatto nuova ed è venuta in mente per ovviare ad un inconveniente delle centrali nucleari, che è quello di non essere praticamente regolabili: il reattore o si accende o si spegne; non si regola. Se allora invece di un unico nocciolo ce ne fosse uno composito, di piccoli noccioli distinti, spegnendoli o accendendoli uno ad uno si potrebbe conseguire la regolazione della potenza dell’intera centrale. Comunque intorno al nocciolo sono necessari: il sistema che consente di estrarre l’energia, il raffreddamento, la schermatura, la sicurezza, che non sono per nulla modulari; il tutto dimensionato sulla potenza massima della centrale. A leggere alcune narrazioni giornalistiche e le dichiarazioni del presidente di Confindustria o magari del ministro (che forse vivono nel mondo di Barbie) viene fuori qualcosa come il lego che si compone e scompone a piacimento. Che dire poi del trasporto qua e là di materiali radioattivi (poco in entrata, moltissimo in uscita dagli impianti) e della relativa sicurezza?
Il vero problema è l’isterica difesa di un’economia materialmente insostenibile. Chi ne ha nell’immediato i maggiori vantaggi si rifiuta di vedere quello che sta succedendo in un sistema complesso sull’orlo di un collasso globale. Purtroppo sono in molti ad adottare la massima di Groucho Marx: “Perché dovrei preoccuparmi dei posteri? Cos’hanno mai fatto i posteri per me?”. Il guaio è che ormai i “posteri” rischiamo di essere noi stessi domani mattina. © RIPRODUZIONE RISERVATA
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