Il “mal di vivere” a Roma e i trenta anelli dell’albero della Psicoanalisi nelle periferie della capitale

Con l’emergenza Coronavirus e per essere vicini alle persone che subiscono il trauma della pandemia e del lockdown, i “Laboratori Psicoanalitici” dei quartieri popolari hanno attivato già nel marzo 2020 un Servizio di ascolto telefonico, confluito poi temporaneamente nel servizio organizzato dal ministero della Salute; un pronto soccorso psicologico gratuito e continuato, fino a giugno 2021. Tutto nel solco dell’impegno civile di maestri come Cesare Musatti, Adriano Ossicini e Paolo Perrotti: aperti al territorio, solidali e democratici, praticando tariffe popolari. Molto attiva la collaborazione scientifica con Istituti universitari, nazionali e internazionali sul disagio sociale che genera angoscia e sofferenza psichica. L’esperienza del “Laboratorio” di San Lorenzo e dei centri clinici e culturali nelle periferie
L’inchiesta di ANNA MARIA SERSALE
PER I COSTI delle sedute e per il tipo di approccio, lontano dalla gente, la psicoanalisi era di fatto classista, riservata alle élite, ai ceti più abbienti. Ma un professore, a Roma, negli Anni Settanta, scardina quello schema. Vuole che la terapia psicoanalitica sia al servizio di tutti, vuole portarla anche nei quartieri di periferia, creando luoghi aperti all’ascolto e all’accoglienza. Per lui la cura della sofferenza psichica non poteva essere un privilegio di pochi, con l’esclusione delle persone più fragili, di chi vive in condizioni economiche disagiate. Quel professore era Paolo Perrotti, figura originalissima della psicoanalisi italiana. Diceva che il percorso terapeutico doveva essere accessibile a tutti, a “prezzi popolari”. E la pratica clinica doveva confrontarsi con le grandi questioni sociali e politiche, rispondendo ai bisogni del territorio. Ma chi era Perrotti? Come e perché sparigliava tutto? Cattedra alla Sapienza, poi didatta della Società di psicoanalisi, la scienza per lui non poteva essere separata dall’impegno civile. Era un figlio d’arte (il padre Nicola era stato un celebre psicoanalista, tra i fondatori della Società freudiana e primo direttore della rivista “Psiche” che aveva fondato).
L’idea da cui era partito Perrotti negli anni si dimostra un’idea rivoluzionaria. Risponde a una visione umana, politica e sociale, che sarà il motore di una serie di iniziative. La più importante sarà la costituzione nella capitale di sei “Laboratori Psicoanalitici”, che si svilupperanno come centri clinici e culturali e che daranno vita a un movimento di psicoanalisti che nella attività professionale ancora oggi condividono e attuano i “criteri sociali” del loro maestro, aprendosi ai bisogni del territorio, integrando la psicoanalisi nel tessuto urbano, nelle comunità locali, per occuparsi di chi ha disturbi della psiche, stati di sofferenza o voglia conoscere se stesso, per orientarsi tra le mille difficoltà della vita, tra precarietà, contraddizioni, instabilità dei sentimenti, relazioni conflittuali, lutti, vecchiaia. Insomma, per combattere quel male d’esistere che genera angoscia, consapevoli del fatto che la sofferenza psichica non è meno grave di quella fisica.
In quei Laboratori sono nate anche le terapie di gruppo. Ma per essere realmente democratica la psicoanalisi secondo Perrotti doveva abbattere un altro muro, quello dei costi. Ancora oggi chi bussa alle porte dei Laboratori fondati dal professore trova analisti che si fanno carico dei pazienti a “tariffe sociali”, una sorta di prezzo calmierato, meno di un terzo della media ordinaria. Chi avrebbe mai immaginato che, lontano dalle stanze di analisi dove spesso approdavano signore ammalate di noia, anche a San Lorenzo, a Centocelle, al Tiburtino, a San Giovanni, alla Piramide e a Prati, ci sarebbero stati luoghi dove operai, studenti, disoccupati, casalinghe, madri coraggio alle prese con la tossicodipendenza di un figlio, potevano trovare ascolto.
Psicanalisti specializzati erano lì, nei Laboratori, per fare terapia in modo democratico e solidale, anche a coloro che faticavano ad arrivare a fine mese. Certamente, hanno i loro studi privati dove lavorano, ma non hanno mai abbandonato quell’idea rivoluzionaria di stare tra la gente. In gran parte venivano dalla Sapienza, cresciuti con le teorie freudiane, rivisitate alla luce anche di altri grandi analisti. Abituati ai gruppi di studio, ai seminari, ai confronti continui, al dialogo mai interrotto tra colleghi, dei sei Laboratori fondati (tranne l’ultimo) da Perrotti, morto nel 2005. Un impegno civile che non si è mai interrotto. Sono ancora oggi gli eredi diretti di quel professore che ha portato la psicoanalisi in periferia e da tre generazioni continuano con passione quel lavoro.
«Era il 1972 quando Perrotti fonda “Lo Spazio”, un luogo di ricerca, aperto al pensiero, una scuola vivacissima, in cui far coesistere — racconta Paola dall’Albero, psicoanalista — il rigore scientifico dell’attività clinica e l’attenzione alle trasformazioni che venivano dalla società; luogo di dialogo, di discussione, di confronto prezioso per tutti noi». Il professore per realizzare quel progetto la prima pietra la mette a San Lorenzo, quartiere simbolo, costola dell’università al tempo della contestazione studentesca. Allora c’erano le lotte operaie e il sindacato si batteva per i diritti dei lavoratori e per i contratti con il giusto salario. L’onda lunga del Sessantotto ancora riempiva le piazze, c’erano mobilitazioni continue, cortei, occupazioni, erano gli anni della lotta di classe, degli scontri ideologici e della società che cambiava. Perrotti dà una risposta alle contestazioni portando la psicoanalisi nella società civile, convinto che sia una scienza «al servizio della collettività», con la possibilità di incidere, come si diceva allora, in modo profondo.
I Laboratori hanno compiuto trent’anni. Con due anni di ritardo per la pandemia, qualche settimana fa nei pressi del vecchio Mattatoio è stato fatto un convegno celebrativo dal titolo “I Laboratori Psicoanalitici di Roma: i trenta anelli dell’albero”. Attraverso testimonianze dirette e un docu-film (di Giulio Bottini e Fabrizio Orsola) gli eredi di Perrotti hanno raccontato l’evoluzione di quelle iniziative, ripercorrendo le tappe salienti.
Quando il professore fonda “Lo Spazio”, un luogo che sarà frequentato anche da artisti e filosofi, lo fa in stretta collaborazione con Cesare Musatti e Adriano Ossicini, due grandi maestri. Musatti (a metà degli Anni ’30) era stato tra i primi a porre le basi della psicoanalisi in Italia, ma il regime fascista gli aveva subito messo i bastoni tra le ruote. Le teorie di Freud non erano state bene accolte né dalle Università, né dalla Chiesa cattolica; tanto che la Società psicoanalitica italiana (Spi) fu colpita dalle leggi razziali del ’38. Musatti fu allontanato dall’insegnamento universitario (aveva la cattedra a Urbino) e declassato a insegnante di liceo.
Allo Spazio, che era una associazione, nel ’72 aveva dato un grande contributo anche Ossicini, che era stato partigiano e militante antifascista, prima di diventare medico psichiatra, politico e accademico. Passano quindici anni dall’apertura e a febbraio dell’87 l’associazione definisce meglio i propri fini: attività di ricerca, studio, formazione; cambia anche la denominazione e diventa “Lo Spazio psicoanalitico”. Da quella esperienza nasce ufficialmente il primo dei sei Laboratori, siamo nel ’90, a San Lorenzo. Ne nasceranno altri: a Prati nel ’98; Piramide nel 2000; San Giovanni e Tiburtino nel 2004; Centocelle nel 2008.
Quei Laboratori erano un’avanguardia, dopo trent’anni lo sono ancora: apertura al territorio, impegno civile, approccio solidale e democratico. Tutti lavorano a tariffe sociali. È molto attiva la collaborazione scientifica con Istituti universitari, nazionali e internazionali, mantenendo rapporti con le altre discipline, psicologia generale, neuroscienze, scienze umane e sociali, ma anche con letteratura, cinema e arte. E quando vengono istituite in Italia le scuole di specializzazione in psicoterapia, “Lo spazio psicoanalitico” è una delle prime scuole riconosciute dal Miur nel ’94.
Oggi sono 70 i terapeuti impegnati nelle diverse sedi romane. «Lavoriamo sempre nell’ottica psicoanalitica, con rigore e approfondimento», sottolinea Paola dall’Albero, che è stata anche presidente del Laboratorio storico di San Lorenzo. La capacità di ascolto è nel Dna del movimento. Scoppia l’emergenza Coronavirus e per essere vicini alle persone che subiscono il trauma della pandemia e del lockdown, i Laboratori psicoanalitici attivano già nel marzo 2020 un Servizio di ascolto telefonico, poi temporaneamente confluito nel servizio organizzato dal ministero della Salute; un pronto soccorso psicologico gratuito continuato fino a giugno 2021.
Il convegno è stata anche l’occasione per presentare diversi dati sull’attività dei Laboratori. Tra i dati più significativi il fatto che nell’ultimo anno è aumentata la richiesta da parte dei giovani tra i 20 e i 30 anni. Ma ecco i numeri. Nel solo Laboratorio di San Lorenzo hanno richiesto un primo colloquio, dalla sua costituzione, 2.298 persone; di queste 1.298 hanno iniziato un trattamento psicoanalitico. I trattamenti in analisi che vengono fatti oggi nei sei Laboratori sono 362. Limitatamente al periodo 2015-2021, le richieste di colloquio ai sei Laboratori sono state 956, di queste 740 si sono convertite in un percorso terapeutico. Il 70% delle persone che si sono rivolte ai Laboratori è in possesso di laurea o diploma di scuola media superiore. Il 44% ha un’attività lavorativa stabile, il 14% precaria, Il 9% è disoccupata. I lavoratori dipendenti sono il 26%, gli studenti il 14%, i liberi professionisti il 10%. Il 62% delle persone sono femmine. La fascia di età prevalente è quella tra i 25 e i 42 anni per i maschi e tra i 23 e i 38 per le femmine. © RIPRODUZIONE RISERVATA
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